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> Occhio allo scivolamento: dai ‘cristiani impliciti’ ai… ‘modernisti impliciti’?

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Pubblicato da in Articoli di Radio Spada ·
Tags: tradizionalisti
Nuovo articolo su Radio Spada
di jeannedarc

In rete reperiamo e offriamo ai nostri lettori questo recente articolo di don Curzio Nitoglia. [RS]
Gravità della situazione attuale: dal dialogo all’accordo

Oggi si assiste all’ultimo assalto dell’ultra-modernismo nei confronti dei tradizionalisti affinché, mediante il trabocchetto del “dialogo” (1), arrivino alla coesistenza dopo aver accettato imprudentemente e quasi inavvertitamente un mutamento teologico malaccorto e sconsiderato.
Soprattutto papa Bergoglio sta portando avanti una guerra psicologica più o meno occulta nei confronti dei tradizionalisti, la quale mira non a distruggere ma ad indebolire, pian piano, la loro resistenza agli errori modernisti (1900-1950), neo-modernisti (1950-2013) e ultra-modernisti (2013-2016).
Apatia e arrendevolezza dei buoni

In molti tradizionalisti si nota uno stato d’animo stanco, propenso all’arrendevolezza, alla remissività, che porta al temporeggiamento, alla ritirata, alle concessioni tacite e purtroppo alla resa finale passiva ed implicita, per cui si può dire parafrasando Benedetto Croce “non possiamo non dirci modernizzanti” o “siam tutti modernizzanti impliciti e anonimi” (Rahner e Schillebeeckx).
Manipolazione a-teologica bergogliana

La tattica bergogliana nei confronti dei tradizionalisti inizialmente è quella del puro “dialogare”, discutere, camminare assieme, conoscersi, incontrarsi, anche senza arrivare ad un accordo esplicito, teorico, siglato e scritto. Il marxismo, specialmente l’euro/comunismo (Gramsci, Bloch, Togliatti e Berlinguer), ha impiegato con notevole successo tale tattica nei confronti dei cattolici “ingenuamente adulti”, i quali non si sono accorti che stavano subendo una manipolazione psicologica da parte dei marxisti; così Bergoglio non vuole che i tradizionalisti si accorgano di essere manipolati a-teologicamente e traghettati verso il modernismo.
Certamente nel campo tradizionalista ci si rende conto, seppur confusamente, che si sta subendo un’evoluzione, un passaggio teologico, ma ci si vuol illudere che questo è veramente un libero e conveniente passaggio, un vero approfondimento, una propria maturazione, anche se con l’aiuto di “un’entità simpatica e generosa”: il “modernismo dal volto umano di Bergoglio” al quale non si può dir di no, ma che ben presto getterà la maschera e li renderà schiavi del “collettore di tutte le eresie”, come fa il diavolo quando tenta sub specie boni, rivestito da angelo di luce. Questo modo di agire e di essere manipolati lo chiamo “mutamento teologico inavvertito” per il quale si passa dalla Tradizione al modernismo.
Reazione naturale all’irrealismo modernista e persuasione implicita

Siccome il buon senso naturale, la sana ragione del senso comune propria della natura umana oggettiva pongono una certa resistenza alla dottrina soggettivista e irrealista del kantismo modernista (secondo cui è l’Io che crea la realtà), quest’ultimo sta evitando con Francesco I di esercitare sui tradizionalisti una persuasione esplicita (protocollo scritto e firmato di resa e accettazione del Concilio Vaticano II e del Novus Ordo Missae) e ha iniziato la tattica della persuasione implicita, che non è nuova ma fu utilizzata già dal diavolo nel paradiso terrestre quando, sotto forma di serpente, disse ad Eva che se avesse mangiato il frutto proibito non sarebbe morta, ma sarebbe diventata come un “dio” ripieno della scienza del bene e del male (Gen., III, 5).
Invece per quanto riguarda i cattolici fermamente anti-modernisti e non inclini al dialogo e al compromesso si cerca di emarginarli, disorganizzarli, scoraggiarli e ridurli al silenzio tramite la “psico-polizia-clericale” orwelliana.
La “quinta colonna nemica”

Una “quinta colonna nemica”, anche se apparentemente “simpatizzante”, si è infiltrata all’interno del mondo tradizionalista, che ultimamente ha mostrato una certa superficialità di spirito e uno spensierato ottimismo nei confronti della crisi che travaglia l’ambiente ecclesiale e il mondo intero, ed esercita su di esso un influsso implicitamente “modernizzante” per fargli accettare in cambio di “un piatto di lenticchie” (la “sistemazione canonica” e la “piena comunione”) la bontà del Vaticano II, della Messa di Paolo VI e della neo-religione olocaustica, lette – secondo l’ermeneutica della continuità – alla luce della Tradizione. Questa “quinta colonna” è tanto più efficace quanto più si presenta apparentemente anti-modernista.
Dalla rassegnazione al cedimento

Tutto ciò ha reso gran parte del mondo tradizionalista come “anestetizzato”, con le braccia incrociate remissivamente ed incline a lasciare libera la strada ai modernisti, che per il momento procedono lentamente onde non suscitare choc e reazioni. Dalla rassegnazione si può passare all’attesa leggermente favorevole e poi alla simpatia piena, dalla simpatia per il “modernista dal volto umano” si giunge alla collaborazione pratica ed infine all’accettazione almeno implicita di princìpi precedentemente giudicati inaccettabili. Nemo repente fit pessimus.
Da questo stato di inerzia e rassegnazione si passa insensibilmente al “mutamento teologico inavvertito”. È la triste realtà della nostra epoca di “grande apostasia”, nella quale solo l’onnipotenza di Dio può salvare la situazione accorciando la prova (cfr. Mt., XXIV, 15-35).
Si può perdere una battaglia ed essere sconfitti da un nemico empio, ma non ci si deve mai inginocchiare davanti al malvagio vincitore momentaneo per ottenere da lui un “indulto doloso” (monsignor Antonio de Castro Mayer) che ci consenta un modus vivendi, il quale, però, comporta la rinuncia almeno pratica ai nostri princìpi per evitare l’emarginazione e la scomunica ossia la separazione dal mondo moderno, la quale non è una pena ma una grazia, come la “persecuzione” è la più alta delle “beatitudini” insegnateci da Gesù nel Discorso della montagna (Mt., V, 3-12).

Necessità della disputa teologica
Quando sotto apparenza di prudenzialità, che in realtà è “prudenza della carne”, si rinuncia al dibattito o alla disputa teologica per confutare l’errore e dimostrare la verità, si compie un ladrocinio dottrinale, ossia si ruba la verità che Dio ci ha rivelato soprannaturalmente o che la ragione umana può cogliere naturalmente, la si nasconde e non la si dà a coloro che sono affamati di verità e di giustizia. Ciò equivale a sotterrare il “talento” che il Signore ci ha dato. La Chiesa, sull’esempio di Gesù che rimproverava i farisei, ha sempre lottato contro i falsi sistemi filosofici e teologici che sono apparsi in tutte le epoche della storia umana. Di fronte all’errore pronunciato pubblicamente, tacere significa acconsentire.
L’utopia del “paradiso in terra”

I naturalisti ritenevano che l’uomo fosse buono per natura, senza peccato originale. Oggi l’antropocentrismo neo-modernista ripropone il “culto dell’uomo”. Purtroppo anche alcuni tradizionalisti si son lasciati sedurre da quest’insana utopia. Essi ritengono che oramai con Francesco I il vertice del Vaticano sia diretto da un “uomo di buona volontà” e quindi si può inaugurare con lui una sorta di coesistenza e convivenza pacifica, nella quale i disaccordi vengono superati senza combattimenti, ma per “rimozione inconscia”, grazie al dialogo, all’incontro e al “camminare assieme”. Questo è lo stato d’animo dell’utopismo anarcoide e sentimentalistico, propedeutico alla Repubblica e al Tempio Universali, voluti dalla massoneria e quasi ultimati col Sessantotto e col Vaticano II.
Lo slogan della massoneria e dei modernisti dialoganti (cfr. Giovanni XXIII) è il seguente: “bisogna guardare a ciò che ci unisce e non a ciò che ci divide”. Invece Pio XII, condannando il neo-modernismo, ha insegnato: “vi sono molti che…, mossi da un imprudente zelo delle anime… abbracciano un irenismo tale che, ponendo da parte le questioni che dividono gli uomini, pretendono non solo di combattere in unione di forze contro l’ateismo soggiogatore, ma anche di conciliare opinioni contrarie, persino nel campo dogmatico” (Enciclica Humani generis, 12 agosto 1950). Da queste fantasticherie, o meglio deliramenti prendono il via l’ecumenismo, il dialogo, il fare esperienza, il camminare assieme e l’accordismo universale, che apre la via all’irenismo, al relativismo soggettivista e al Nuovo Ordine Mondiale.
Infatti la brama smodata di arrivare alla concordia universale e globalizzatrice porta al desiderio di sminuire l’importanza del valore dei punti di divergenza tra gli uomini e le religioni (per esempio l’islam e il giudaismo, con i quali si dialoga in quanto confessioni monoteistiche, ponendo da parte che negano la Trinità delle Persone divine e la divinità di Cristo che sono le due verità principali della fede cristiana). In tal modo si relativizza il valore di tutte le opinioni, le certezze e i dogmi, cadendo nell’opinionismo e negando conseguentemente la verità e la falsità oggettive. Questo è uno stato emotivo e sentimentaloide, una sorta di sdilinquimento della retta ragione, proprio dell’epoca post-moderna, di cui si avvantaggia il modernismo per condurre al relativismo e all’irenismo assoluti, che fanno sognare ad occhi aperti una sorta di “paradiso in terra”, in cui tutti pensano e agiscono assieme e bene.
L’utopista modernista o “semi-tradizionalista” comincia a considerare il male, l’errore, la lotta, la sofferenza come qualcosa di assurdo che va eliminato da questo mondo. In tal modo si perde di vista la vita ultra-terrena e che la vita terrena ha solo un significato di prova per meritare il Paradiso mediante il combattimento e la persecuzione per la verità; perciò il tradizionalista ingenuo e vagamente o implicitamente utopista comincia a dialogare, ad incontrarsi e a scendere a patti con il “modernista dal volto umano”, che finalmente, dopo la spietatezza di Paolo VI, gli apre le porte di casa, come fece il lupo con “cappuccetto rosso”.
Purtroppo l’iren/tradizionalista, frettoloso e irritabile come ogni utopista, non vuol sentire ragioni né consigli e si infuria contro chiunque cerchi di impedirgli di cadere nella trappola del “mutamento teologico inavvertito” e così, come Pinocchio che schiacciò il grillo parlante, diviene vittima di se stesso e del “modernista dal volto umano”.
Si scorge qui la dialettica (tesi/antitesi/sintesi) hegeliana che tra due tesi opposte e contraddittorie non scarta quella falsa ma arriva ad una nuova tesi che, a sua volta, viene contraddetta da un’altra per dare origine ad una nuova sintesi, per cui si vive continuamente, costantemente e indefinitivamente nell’evoluzione della verità naturale e del dogma rivelato. In breve è il moto o la frenesia mentale perpetua.
Religiosamente il pericolo di oggi è proprio il relativismo, oramai dilagante e imperante, che minaccia da Giovanni XXIII a Francesco I, con un motus in fine velocior, soprattutto il cattolicesimo. Il vero cattolico fedele e anti-modernista deve lottare specialmente contro questo irenismo pacifista che addormenta le coscienze e diminuisce la purezza della fede, la quale deve essere conservata integra, poiché la negazione di un solo articolo o dogma di fede comporta la perdita totale di essa.
Alzare i bastioni

Occorre conservare integro e puro il significato della nostra fede di modo che nessuno possa avere il minimo dubbio su ciò che ci divide in questioni dogmatiche, morali, ascetiche e liturgiche. Solo la chiarezza nel pensiero e nell’esposizione della verità completa e non delle mezze-verità, più pericolose degli errori aperti, porta alla vera unità (convertibile con l’essere, il buono e il bello) e non all’ammucchiata confusionaria.
Dialogare necesse est

Nel 2000 non dialogare, secondo i modernisti, significa essere retrogradi, sorpassati, preistorici, mentre dialogare vuol dire essere aggiornati, ammodernati, al passo coi tempi. Di qui l’astio e l’antipatia nutrita dal neo-modernista verso il cattolico che dibatte teologicamente con vis polemica per difendere la verità e confutare l’errore. Il modernista, ripieno di “zelo untuoso”, ama tutti i nemici di Dio ma odia cainiticamente quello che dovrebbe essere il suo “fratello nella fede”, considerato privo di carità, animato di “zelo amaro”, e quindi lo considera come l’unico che non può e non deve essere perdonato, tranne che dia segni di resipiscenza e di apertura al dialogo ossia al cedimento, al “mutamento teologico inavvertito”. Altrimenti si debbono usare contro il “refrattario” non-dialogante tutti i mezzi della psico-polizia: la congiura del silenzio, la calunnia, la diffamazione, l’ostracismo, l’insulto. In breve, contro di lui tutto è lecito, anche l’illecito e l’immoralmente grave. Ogni contatto con lui è assolutamente vietato, è un appestato teologicamente da evitare radicalmente.
Occorre guardare ciò che ci separa e non solo ciò che ci unisce

In questo modo, da Giovanni XXIII sino a Francesco I, sono stati esclusi dai posti chiave della Chiesa militante i suoi fedeli più capaci, più ferventi, più onesti e disinteressati, mentre son stati promossi i traditori, gli eretici, gli apostati, gli ignavi e i degenerati.
Per debellare questo morbo letale del dialogo ad oltranza, che porta immancabilmente al “mutamento teologico inavvertito”, bisogna tenere bene a mente il vero principio valido, che è diametralmente opposto a quello irenistico, “occorre guardare ciò che ci separa e non solo ciò che ci unisce”. Al contrario l’irenista, il modernista e persino il tradizionalista “aperto” vede, strabicamente, solo ciò che l’unisce agli estranei e agli eterodossi e non vuol far caso, come lo struzzo che nasconde la testa sotto la sabbia, a ciò che lo separa da loro, anche in materia di fede e di morale.
Non conformatevi a questo mondo

I mondani, che cercano di conciliare il Vangelo con le tre concupiscenze, amano tutto ciò che favorisce l’ottimismo assoluto, l’amore della tranquillità come fine ultimo, anche a costo di attenuare lo spirito di fede. Francesco I ha (o sembra avere) tutte le caratteristiche che piacciono ai mondani: benevolenza, simpatia, sorriso, allegrezza, giovialità, zelo untuoso, battuta ad effetto, tanto simpatica quanto banale. Egli è il “profeta di ventura”, che annunzia un avvenire roseo, ripieno di successi, ove tutto va bene. Questa “simpatia” apparente, ma realmente sgradevole e nauseabonda, gli apre la via alla notorietà, è sempre in “prima pagina” e mai in “cronaca nera” qualsiasi cosa dica, anche la più assurda (2). Tutti gli uomini del “bel mondo” amano parlar bene di lui, nessuno (o quasi) lo critica, ripetono le sue battute, i suoi gesti, i suoi sorrisi, pensando di poter risolvere le questioni più intricate col dialogo, il sorriso, la simpatia, mettendosi un naso da clown e sognano ad occhi aperti di eliminare dal mondo la povertà, la guerra, i conflitti, le liti, le Patrie, le differenze religiose, i confini, i muri e le barriere, il potere, il comando (che pur esercita spietatamente verso in non allineati), persino le carceri.
Infatti per l’irenismo utopistico tutti gli uomini sono immacolati e senza peccato originale, quindi son sempre bene intenzionati e le divergenze che si presentano sono incidenti, frutto di equivoci e incomprensioni, che possono venir eliminati dall’incontro, dal dialogo e dal camminare assieme.
Conclusione

Attenzione! siamo cristiani solo a metà, e quindi modernisti impliciti o anonimi, quando le nostre scelte sono indecise, quando siamo arrendevoli e restii a schierarci, quando temiamo le complicazioni, l’isolamento e la sconfitta momentanea, quando siamo pronti a scendere a compromessi e a dialogare con l’errore e col male, quando non osiamo dire tutta la verità, ma solo delle mezze verità, più nocive dell’errore esplicito.

NOTE
(1) Termini simili sono “ecumenismo”, “irenismo”, “pace ad oltranza”, “coesistenza”.
(2) Ultimamente non solo ha chiesto una grazia generale per i detenuti, ma ha affermato che le carceri dovrebbero essere chiuse (anche se vi ha rinchiuso p. Manelli)… neppure la Merlìn era arrivata a tanto, ma si era fermata alle “case chiuse”.



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