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> Se tutti i preti possono assolvere il peccato di aborto, tutti i preti possono assolvere dal peccato di attentato al Sommo Pontefice

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Pubblicato da in Articoli su Isola di Patmos ·
Tags: Don Arielassolvere il peccato di aborto

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Togliere la riserva al peccato di aborto è stato un gesto di grande misericordia e tenerezza, manifestata attraverso la facoltà di assoluzione data a tutti quei sacerdoti che oggi più che mai mostrano di essere sempre più ferrati e preparati nel sacro ministero di confessori, soprattutto spiritualmente, basti solo vederli quando in jeans e camicia a mezze maniche passeggiano direttamente dentro le basiliche romane con i penitenti appresso, confessando in maniera colloquiale tra un sorriso e l’altro, o rispondendo durante la confessione anche al telefono cellulare …
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Sua Eccellenza Monsignor
Ariel S. Levi di Gualdo   
Vescovo di Laodicea Combusta
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… la realtà in una vignetta ?

La mia Lettera Pastorale nasce da una esperienza mistica che ho avuto sulle alture della nostra amata Chiesa particolare. Mentre infatti meditavo tra le pietre delle vetuste rovine della mia antica Chiesa cattedrale in questo angolo sperduto di Anatolia, lo Spirito Santo mi si è manifestato nella forma di una Colomba che ha preso a volteggiare su un pistacchieto. La Colomba s’è posta poi sopra una pianta di pistacchi, scomparendo poco dopo; ed alla sua sparizione la pianta ha preso fuoco. Sul momento mi sono addolorato per la inspiegabile autocombustione, anche perché i pistacchi dell’Anatolia sono molto pregiati, dicono che lo siano ancor più di quelli di Bronte. La cosa che però mi ha colpito è stato che la pianta del pistacchieto bruciava, ma non si consumava. Quella immagine mi ricordava qualche cosa, ma sul momento non capivo che cosa. Poi mi sono ricordato di una conferenza tenuta anni fa presso il Cortile dei Gentili dal Cardinale Gianfranco Ravasi, quello che parla con i massoni al sole per 24 ore [cf. QUI], ma di cui non ricordo bene il titolo esatto, all’incirca suonava così: «Rudolf Bultmann e le allegorie bibliche». A quel punto, come se la mia memoria si fosse d’improvviso risvegliata, ho sbottato:  εὕρηκα ! [eureka, che significa: ho trovato!]. Quindi mi sono detto: «Ma certo, è l’allegoria del roveto ardente del Patriarca Mosè!» [cf. Es 3,1-15].  A quel punto, mentre il fuoco ardeva la pianta di pistacchi senza consumarla, in una calma totale che pareva un fermo d’immagine, senza alito di vento e senza alcun movimento, la voce dello Spirito del Signore mi ha investito in tono di rimprovero:

– «… dimmi un  po’: ma io ti sembro forse una allegoria?».

Mi sono prostrato a terra ed ho risposto:

– «No, mio Dio e mio tutto, inizio, centro e fine ultimo di ogni cosa nei cieli e sulla terra. Tu non sei una allegoria. Il mio era un modo di dire tutto teologico, conforme alle moderne esegesi vetero e novo testamentarie, o forse non hai mai sentito parlare di Walter Kasper, di Bruno Forte, di Nunzio Galantino e di Enzo Bianchi, di Alberto Melloni …?».

Mi domanda ancòra lo Spirito del Signore:

– «E dove hai udito, di queste cosiddette allegorie?».

Replico con la faccia a terra:

– «A Roma, mio Signore. Di queste allegorie se ne parla in tutte le università pontificie. Tutto l’Antico Testamento è allegoria, ma anche il Nuovo Testamento: i miracoli del Figlio consustanziale al Padre dal quale tu procedi, sono spiegati come allegoria; il Corpo di Cristo nella Eucaristia, è una allegoria, o per meglio dire una transfinalizzazione, una transignificazione, che nasce dall’ingegno di uno dei più grandi riformatori della storia della Cristianità, Martin Lutero, che parlava di consustanziazione, lo insegnano all’istituto liturgico del Pontificio Ateneo Sant’Anselmo [cf. QUI]».

A quel punto è silenzio. Io non osavo più replicare, perché allo Spirito del Signore si risponde se lui t’interroga, l’uomo non può certo interrogare la Divina Persona dello Spirito Santo, lo può pregare, adorare e glorificare con il Padre e con il Figlio, ma non interrogare, ci mancherebbe altro, mica sono un carismatico del Rinnovamento nello Spirito Santo o un pentecostale! E mentre ero in silenzio, lo Spirito Santo ha di nuovo parlato:

– «Dovrò decidermi prima o poi ad andare a Roma per visitare la Città del Vaticano. Ne parlai tempo fa anche con le altre due Persone della Santissima Trinità. Mi hanno riferito che meriterebbe visitare la Cappella Sistina e vedere i suoi affreschi, dicono che siano molto belli. Di recente, Dio Padre, disse che sarebbe andato a visitare un luogo; Dio Figlio, il generato non creato della stessa sostanza del Padre, disse che sarebbe andato in visita a un altro luogo della Terra. A quel punto, io che procedo dal Padre e dal Figlio, dissi che sarei andato volentieri a Roma per visitare la Città del Vaticano, visto che non ci sono mai stato. Se però le cose stanno come tu “allegoricamente” dici, forse una mia visita sarebbe proprio opportuna, semmai facendomi accompagnare da uno dei miei body guard preferiti, l’Angelo Sterminatore di Sodoma e Gomorra, così gliele facciamo vedere noi, come sono fatte le allegorie, ma soprattutto com’è fatta quella vera misericordia di Dio da voi ormai mutata in melassa !.

Mi domanda lo Spirito del Signore:

– «Perché, ti eri ritirato qui in preghiera e in riflessione? Che cosa stai leggendo, su questo schermo portatile? E pensare che a Mosè dovemmo far incidere a suo tempo su due tavole di pietra. Oggi sarebbe bastato fosse salito sul Monte Sinai con un Ipad, semmai avrebbe ripreso il roveto ardente e poi l’avrebbe caricato sul canale You Tube».

Rispondo:

− «Stavo leggendo l’ultima Lettera Apostolica del Vicario in Terra del Divino Figlio, il Verbo Incarnato, Cristo Dio …»

Replica lo Spirito Santo:

– «Capisco. Tempo fa, durante uno dei nostri consueti briefing tra Padre, Figlio e Spirito Santo, il Figlio ha sollevato diverse perplessità riguardo questo suo Vicario sulla Terra esprimendoci: “Per la prima volta, sulla Terra ho un Vicario più buono e misercordioso di me, lodato da tutti coloro che hanno sempre odiato e che tutt’oggi seguitano a odiare me e la mia Chiesa, come provano i segni della mia passione rimasti impressi nel mio Corpo Glorioso. Perché se oggi mi incarnassi di nuovo, troverebbero modo e maniera per farmi fare una fine peggiore ancòra della precedente”. All’udir quelle parole del Figlio, espressi al Padre ed a Lui la domanda: “Forse siamo giunti alla fine dei tempi, alla parusia?” Il Padre mi ha replicato: “Tu, Spirito Santo, da quando hai stretto amicizia con l’Angelo Sterminatore di Sodoma e Gomorra, non vedi l’ora di seminare statue di sale nella Chiesa di mio Figlio, ed hai ragione a desiderarlo. Il Figlio ha ripreso il discorso dicendomi: “Non è ancora giunto il momento, perché il peggio non è ancora giunto”. E rivolto al Padre ed a me, ha precisato: “Eppure, a mio tempo, fui così chiaro quando dissi … “quando il Figlio dell’uomo tornerà, troverà ancora la fede sulla terra?” [cf. Lc 18, 1-8]».

E di nuovo si rivolge a me con una domanda:

– «Tu pensi che questo quesito rivolto a suo tempo dal Verbo Incarnato, il Figlio Consustanziale al Padre, l’abbiano preso anch’esso come una allegoria, o come una licenza poetica? Comunque, mi stavi dicendo poc’anzi che eri intento a leggere ed a meditare l’ultima Lettera Apostolica …».

– «Si, la stavo meditando perché pensavo di scrivere a mia volta una Lettera Pastorale indirizzata da queste antiche rovine alle anime dei Presbiteri e dei Fedeli della Chiesa particolare di Laodicea Combusta. Sai, io sono un Vescovo, ma Vescovo titolare, la mia Diocesi esiste solo sulle carte archeologiche. Per questo mi rivolgo ogni tanto alle anime dei Sacerdoti e dei Christi Fideles che un giorno furono, in questa ormai inesistente Chiesa di Laodicea Combusta».

Risponde lo Spirito del Signore:

– «Di questo non ti devi preoccupare, anche i Vescovi che sono titolari di molte grandi Diocesi, ormai sono anch’essi ridotti a rivolgersi agli spiriti dei morti, pensa a quelli della Germania, del Belgio, dell’Olanda … Può essere però che i morti tuoi ti ascoltino, perché sono morti veramente, intendo dire fisicamente morti; mentre quelli di molti altri Vescovi, che sono invece dei morti viventi, morti al senso della vita e della grazia che io elargisco a chi la accoglie e la accetta, ecco, quelli sì che sono i morti veri. O come mi disse una volta l’Apostolo Pietro, mentre in Paradiso narrava delle sue vicende a Roma, dove prima di morire crocifisso imparò durante il suo soggiorno varie espressioni dialettali: “ogni Vescovo, in fonno, se’ merita sempre li mortacci sua !». Ah, che duro lavoro ho dovuto fare con Simone, chiamato Pietro dal Verbo Incarnato, il Divino Figlio. Forse Cristo Dio lo chiamò Pietro proprio perché quel pescatore galileo aveva la testa dura come una pietra. Feci appena in tempo a riprenderlo per i capelli, mentre si stava dando di nuovo alla fuga a Roma durante le persecuzioni. Sai, la vicenda del Quo vadis Domine, non è affatto un’allegoria, è accaduto per davvero. Insomma, la grazia e la gloria del martirio, a Pietro abbiamo proprio dovuto offrirgliela tutti e tre su un piatto d’argento. Ma devo dire che lui, giunto al patibolo, ci ha messo del suo, devotamente umile com’era, chiedendo d’esser crocifisso a testa all’ingiù, non sentendosi degno di patire come il Verbo di Dio fatto uomo.».

– «Spirito del Signore, posso osare, come fece Abramo durante la sua “trattativa” con Dio Padre [cf. Gen 18, 1-33], quindi chiedere …».

– «E vuoi che io non abbia già letto nel tuo cuore? Figurati, appena io ho nominato Pietro, tu hai pensato immediatamente a Paolo, vero? Ma parla … dimmi».

– «Ecco, immagino che i due Beati Apostoli, dopo il loro abbraccio a Roma, oggi nel Paradiso veglino sulla Chiesa di Cristo…».

– «Figliolo, che veglino sulla Chiesa di Cristo, puoi starne certo, per quanto però riguarda il fatto che si siano abbracciati a Roma prima di giungere rispettivamente al loro martirio, questa sì che è una vostra bella allegoria! Figurati, per trovare un altro soggetto permaloso e dalle idee confuse come il Beato Pietro, bisogna fare un salto in avanti di duemila anni e arrivare ai tempi vostri. O pensi forse che ad Antiochia, quando il Beato Paolo lo rimproverò in toni aspri e duri [cf. Gal 2, 1-11] il Beato Pietro la prese bene? Altro che abbraccio, si impermalì come una scimmia alla quale è strappata di mano una banana! E in fondo, qual era il problema di Pietro? Il suo problema era il dire e il non dire, il cercare di stare con un piede su una staffa e uno in un’altra, ondivago e ambiguo. Ti ricorda per caso qualcuno? In ogni caso sappi una cosa: il Beato Paolo fu solamente la bocca offerta in prestito, perché il lavoro, ad Antiochia, fu tutta quanta opera mia. Fui io che per la bocca del Beato Paolo misi il Beato Pietro con le spalle al muro».

– «Spirito Santo del Signore, con l’umiltà di Abramo, vorrei ancora osare … anche se tu hai già letto cosa ho nel mio animo…»

– «Certamente, però apri la bocca, crea, parla …»

– «Mi chiedevo: non sarebbe possibile parlare anche oggi per bocca del Beato Apostolo Paolo? ».

– «E tu pensi che io non l’abbia già fatto? Di recente ho fatto di meglio ancora, perché se ad Antiochia mi rivolsi al Beato Pietro per bocca di un solo Apostolo, oggi, a Pietro, mi ci sono rivolto per bocca di ben quattro Apostoli [cf. i dubia dei quattro Cardinali QUI]. E tu dovresti anche sapere quel che è accaduto, o pensi forse che noi, nel Paradiso, non abbiamo un gruppo di Angeli che curano la rassegna stampa tutti i giorni? Presto detto quel che è accaduto: Pietro non s’è degnato neppure di rispondere. Ma lasciamo perdere, piuttosto veniamo alla tua Lettera Pastorale indirizzata ― come direbbe il Beato Pietro nato giudeo e morto romano ―, a li mortacci tua … se vuoi posso darti un paio di ispirazioni per questa tua epistola …».

A quel punto, lo Spirito del Signore, ha ispirato questa mia Lettera Pastorale …
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Venerabili Presbiteri e Diletti Figli e Figlie della Chiesa di Laodicea Combusta: pace a tutti voi e grazia dal Signore Nostro Gesù Cristo.
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il Vescovo di Laodicea Combusta riceve la grazia
dello Spirito Santo prima di scrivere la sua Lettera Pastorale
Attraverso questa Lettera Pastorale desidero illustrarvi due passi della Lettera Apostolica della Santità di Nostro Signore Gesù Cristo il Sommo Pontefice Francesco, che nel ribadire il turpe e grave peccato di aborto procurato, conferisce a tutti i Sacerdoti una facoltà che sino a poco tempo fa competeva a me, vostro Vescovo; facoltà da me delegata al Penitenziere Maggiore della nostra Diocesi, un Presbitero anziano, modello di profonda pietà sacerdotale, autorizzato ad assolvere da questo peccato riservato al Vescovo. Scrive il Romano Pontefice nella sua Lettera Apostolica:
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[12] In forza di questa esigenza, perché nessun ostacolo si interponga tra la richiesta di riconciliazione e il perdono di Dio, concedo d’ora innanzi a tutti i sacerdoti, in forza del loro ministero, la facoltà di assolvere quanti hanno procurato peccato di aborto. Quanto avevo concesso limitatamente al periodo giubilare viene ora esteso nel tempo, nonostante qualsiasi cosa in contrario. Vorrei ribadire con tutte le mie forze che l’aborto è un grave peccato, perché pone fine a una vita innocente. Con altrettanta forza, tuttavia, posso e devo affermare che non esiste alcun peccato che la misericordia di Dio non possa raggiungere e distruggere quando trova un cuore pentito che chiede di riconciliarsi con il Padre. Ogni sacerdote, pertanto, si faccia guida, sostegno e conforto nell’accompagnare i penitenti in questo cammino di speciale riconciliazione [cf. QUI].
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Come ben capite, togliere la riserva al peccato di aborto è stato un gesto di grande misericordia e tenerezza, manifestata attraverso la facoltà di assoluzione data a tutti quei Sacerdoti che mostrano oggi più che mai di esser parecchio ferrati e preparati nel sacro ministero di confessori, soprattutto spiritualmente, basti solo vederli quando in jeans e camicia a mezze maniche passeggiano direttamente dentro le basiliche romane con i penitenti appresso, confessando in maniera colloquiale tra un sorriso e l’altro, o rispondendo durante la confessione anche al telefono cellulare …
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Ebbene, Venerabili Sacerdoti della Chiesa di Laodicea Combusta, «in forza del vostro ministero» io ho deciso di concedervi la facoltà di assolvere non solo dal peccato di aborto procurato, ma anche dal delitto previsto dal canone 1370 – §1, il quale recita:
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Chi usa violenza fisica contro il Romano Pontefice, incorre nella scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica, alla quale, se si tratta di un chierico, si può aggiungere a seconda della gravità del delitto, un’altra pena, non esclusa la dimissione dallo stato clericale.
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Vi concedo facoltà di assolvere da questo peccato riservato alla Sede Apostolica, sulla base del senso di quelle proporzioni edificate sul senso comune. Infatti, riservarsi l’assoluzione di un peccato, lungi dall’essere mancanza di misericordia e di tenerezza, implica anzitutto indicare e chiarire, con la riserva stessa, la estrema gravità di quel particolare peccato; e questa si chiama sana pedagogia pastorale, da non confondere mai col legalismo, meno che mai con la mancanza di misericordia. Se infatti il peccato è una malattia e il sacerdote è il medico preposto alla cura, sempre a rigore logico domando: chi, scoprendo di essere affetto da un tumore, anziché affidarsi alle cure di uno specialista in oncologia, si rivolgerebbe al medico generico del paese? Riservarsi un peccato e rimettere l’assoluzione di tale peccato al Vescovo, od in alcuni altri casi alla Sede Apostolica, vuol semplicemente dire che il medico generico, appurando la presenza di un tumore, indirizza subito il paziente presso un bravo specialista in oncologia.
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Rivolgersi alle competenze cliniche dello specialista oncologo, implica anche ricordare e riconoscere la particolare gravità della malattia, del peccato commesso, a tal punto grave da richiedere adeguate cure specialistiche, che sarebbe la assoluzione dello stesso da parte di un particolare confessore. Questo è sempre stato il senso, tutto quanto pedagogico pastorale, non certo meramente o freddamente giuridico e legalista, del criterio della riserva di quei peccati riservati al Vescovo, come di altri riservati invece alla Sede Apostolica.
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La concessione data ai miei Presbiteri di assolvere dal delitto riservato alla Sede Apostolica previsto dal canone 1370 – §1, si basa sul genus di quella aequitas che precede lo stesso jus graeco-romanum e che risale all’antico jus gentium ; e la aequitas regge in sé e di per sé anche il senso delle proporzioni. Mi spiego meglio: attentare alla sacra persona del Romano Pontefice, può essere possibile, ma si tratta di un intento non facile da realizzare, godendo infatti Sua Santità di una rete di protezione sia interna allo Stato del Vaticano, sia soprattutto esterna, ad esempio quando si sposta in altri territori nazionali. L’attentato a San Giovanni Paolo II in Piazza San Pietro, ed ancora prima quello al Beato Paolo VI a Manila, ci dimostrano che realizzare questo delitto può essere possibile, ma proprio in virtù di questi due recenti episodi la sacra persona del Romano Pontefice oggi è particolarmente vigilata e protetta.
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Il feto abortito, come invece ben sappiamo, non gode affatto di certi meccanismi di protezione e di tutela, ed abortirlo tutto sommato è cosa estremamente facile. A questo va aggiunto che il feto non è protetto dalla Gendarmeria Vaticana, dai servizi di sicurezza, dalle varie forze di polizia durante i suoi spostamenti, ma soprattutto e anzitutto non è protetto dalla sua stessa madre che decide di sopprimere una vita umana innocente, spesso da ella giudicata come un bene disponibile e quindi sopprimibile. Il tutto grazie proprio a quell’aborto che la Signora Emma Bonino — già più volte ospite illustre del Sommo Pontefice Francesco che ebbe di recente anche a definirla «una grande italiana» [cf. QUI, QUI] — seguita a chiamare con orgoglio «grande conquista sociale».
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Se pertanto voi tutti, Presbiteri, da oggi potete assolvere senza riserva l’abominevole peccato della soppressione di una vita umana innocente priva di qualsiasi difesa, per aequitas e comune senso delle proporzioni, io vostro Vescovo vi concedo facoltà di assolvere dal delitto previsto dal canone 1370 – §1 riservato tutt’oggi alla Sede Apostolica, qualora chicchessia attentasse alla sacra persona di uno degli uomini più difesi, protetti e controllati del mondo.
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A questa concessione, segue per altrettanto spirito di aequitas, basato anch’esso sul senso delle proporzioni, la inevitabile riforma del sacro rito della consacrazione dei Presbiteri e di conseguenza quello della Santa Messa Crismale. Durante il rito della sacra ordinazione il Presbitero promette infatti obbedienza al Vescovo ed a tutti i suoi successori, in spirito di libera e filiale devozione, mentre durante la Santa Messa del Crisma i Presbiteri rinnovano le loro sacre promesse sacerdotali dinanzi al Vescovo.
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Nella sua Lettera Apostolica, il Romano Pontefice, rivolgendosi con paterna misericordia e tenerezza ai membri della Fraternità di San Pio X, afferma con premuroso cuore di pastore :
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[12 – §1] Nell’Anno del Giubileo avevo concesso ai fedeli che per diversi motivi frequentano le chiese officiate dai sacerdoti della Fraternità San Pio X di ricevere validamente e lecitamente l’assoluzione sacramentale dei loro peccati. Per il bene pastorale di questi fedeli, e confidando nella buona volontà dei loro sacerdoti perché si possa recuperare, con l’aiuto di Dio, la piena comunione nella Chiesa Cattolica, stabilisco per mia propria decisione di estendere questa facoltà oltre il periodo giubilare, fino a nuove disposizioni in proposito, perché a nessuno venga mai a mancare il segno sacramentale della riconciliazione attraverso il perdono della Chiesa [cf. QUI]
Vi comunico pertanto, Venerabili Presbiteri della Chiesa di Laodicea Combusta, che l’obbedienza al Sommo Pontefice ed ai Vescovi in Comunione con lui e con la Chiesa, da oggi è da ritenersi abrogata «affinché a nessuno venga mai a mancare il segno sacramentale della riconciliazione attraverso il perdono della Chiesa». Infatti, se a questa Fraternità Sacerdotale che nega l’autorità dell’ultimo Concilio Ecumenico ritenendolo infarcito di eresie moderniste, che giudica i suoi documenti in palese contraddizione con la Traditio catholica ed il magistero perenne della Chiesa, ciò malgrado sono date dal Romano Pontefice di simili concessioni, per aequitas ― ma qui è il caso di dire anche per umana e cristiana coerenza ―, a qualsiasi Presbitero deve essere parimenti concessa e riconosciuta la piena facoltà di disobbedire al proprio Vescovo, ed altresì essergli soprattutto riconosciuta la facoltà di rigettare il Magistero del Sommo Pontefice. Per questo vi dico che da oggi, ciascuno, può ritenersi libero di non riconoscere, dell’Autorità e del Magistero della Chiesa, ciò che a proprio parere ed a suo libero piacimento riterrà opportuno non riconoscere, ed il tutto «per il bene pastorale di questi fedeli, e confidando nella buona volontà dei loro sacerdoti perché si possa recuperare, con l’aiuto di Dio, la piena comunione nella Chiesa Cattolica».
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Con questa sua disposizione, la Santità di Nostro Signore Gesù Cristo, il Sommo Pontefice Francesco, ci ha detto tra le righe, sulle righe e oltre le righe che agli scismatici eretici è data facoltà di amministrare lecitamente i Sacramenti, affinché «si possa recuperare, con l’aiuto di Dio, la piena comunione nella Chiesa Cattolica». Sappiate pertanto, Venerabili Presbìteri, che tutti noi, fino a poco tempo fa, sbagliando in modo grossolano abbiamo creduto che amministrare lecitamente i Sacramenti dipendesse proprio dalla sussistente e piena comunione con la Chiesa Cattolica, non dalla speranza che un giorno, forse, questa comunione potesse essere recuperata. Pertanto, da oggi, la celebrazione e la amministrazione dei Sacramenti è da ritenersi non più vincolata alla comunione con la Chiesa, ma solo basata sulla speranza che un giorno, dopo avere celebrato e amministrato i Sacramenti a proprio piacimento, si finisca col riconoscere, forse, l’autorità della Chiesa in materia di dottrina e di fede, ed in particolare l’autorità di un intero Concilio Ecumenico ostinatamente rifiutata da coloro ai quali, il Romano Pontefice, ha ritenuto giusto concedere di sua autorità la lecita amministrazione dei Sacramenti.
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Mi rallegro, comunque, Venerabili Presbiteri, Figli e Figlie dilettissime della Chiesa di Laodicea Combusta, che tutti voi siate ormai da molti secoli anime defunte di spiriti beati, mentre io, seduto su un sasso dinanzi alle poche rovine che restano della mia Chiesa cattedrale, vi ho indirizzato questa Lettera Pastorale, dopo avere visto una pianta di pistacchio bruciare ma non consumare; dopo avere parlato con lo Spirito Santo di Dio dal quale ho appreso, tra l’altro, il suo desiderio di vedere la Città del Vaticano, che sino ad oggi non ha avuto ancora modo di visitare, ma soprattutto di poter ammirare gli affreschi della Cappella Sistina, nella quale egli dice di non essere mai entrato.
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Benedico le vostre anime, Presbiteri amatissimi, Figli e Figlie dilettissime della Chiesa di Laodicea Combusta, assicurandovi il perenne ricordo nelle mie Sante Messe di suffragio per voi.
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+Ariel Stefano
Vescovo di Laodicea Combusta
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uno scorcio di Laodicea Combusta, provincia di Pisidia, nell’Anatolia centrale,
territorio nazionale della attuale Turchia.
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POSTILLA
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Diversi lettori dell’Isola di Patmos ci hanno chiesto lumi sulla lettera di fuoco scritta da S.E. Mons. Fragkiskos Papamanolis, Ofm. capp, Vescovo emerito di Syros, Santorini e Creta, Presidente della Conferenza episcopale di Grecia [cf. QUI], ed indirizzata contro i quattro Cardinali che hanno espresso dei dubia, secondo quanto concesso dagli ordinamenti ecclesiali e dalla tradizione apostolica stessa della Chiesa [cf. Gal 2, 1-11]; si tratta delle Loro Eminenze Rev.me Walter Brandmüller, Raymond Leo Burke, Carlo Caffarra, Joachim Meisner [cf. QUI]. Già da come il Presule greco si esprime, si capisce che egli ha la rigida arroganza di un vescovo ortodosso della Georgia, ed al tempo stesso l’ignoranza di un pope che ha studiato un po’ di teologia a bastonate nelle campagne feudali della Russia zarista. Per tutta risposta vi invitiamo quindi a commiserarlo, ma al tempo stesso a riflettere su quanto oggi possiamo versare in una grave e irreversibile crisi, se a soggetti di questo genere, non contenti di averli fatti vescovi, si affida persino la presidenza di un’intera Conferenza Episcopale. Se infatti il suo argomentare fanta-dottrinale e fanta-ecclesiale non fosse tragico, sarebbe davvero degno di un comico.
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