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> Dómine, quo vadis? Storia di un cristiano

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di Isacco Tacconi


E così Pietro, vescovo della Chiesa di Roma, procedeva. Il passo svelto, per quanto lo permettesse la sua veneranda età, percorreva la regina viarum, la via Appia, lasciandosi alle spalle le mura della città imperiale, mentre dal suo interno si udivano crescere le grida e il clamore delle donne e dei bambini marchiati dall’infame segno del Cristo. Plotoni di legionari irrompevano nelle case dei seguaci del Nazareno, li chiamavano “cristiani”. I loro padri presi e torturati, le mogli spogliate e stuprate, i figli venduti come schiavi. Pietro si asciugò il sudore sulla fronte con la manica della tunica, aggiustò la bisaccia e inghiottendo la saliva nella gola riarsa proseguì il cammino con il volto semicoperto. Ad ogni incontro sulla grande via consolare abbassava timoroso lo sguardo tenendo stretto il suo bordone, e per la paura costante il sudore stillava copioso sulla sua fronte canuta: così il pastore si metteva in fuga, portando seco lettere per la Chiesa di Antiochia e per i cristiani della Palestina dopo che erano stati cacciati da Gerusalemme a causa dell’odio dei giudei. Paolo era già in catene presso il carcere Mamertino in attesa della sentenza capitale. Nella sua precedente prigionia agli arresti domiciliari aveva predicato ai legionari di ritorno dalle varie campagne e, per questo, messi in quarantena presso l’ospedale ai piedi del Mons Celio in attesa di essere trasferiti presso i confini dell’Impero per difenderne la frontiera dalle sempre più temerarie scorrerie dei daci e dei germani. Quel fariseo conquistato alla causa del Cristo aveva forgiato le nuove legioni che avrebbero portato la luce della vera religione fin nei più remoti e oscuri angoli del mondo, marciando sotto il peso delle loriche segmentate. Fra il gladium e il pugio e sotto al cingolo molti di loro nascondevano i simboli del Figlio di Dio.

Cozzavano nella bisaccia il calice e le ampolle d’olio, umile materia di quei mezzi straordinari che il Nazareno disceso dal Cielo aveva insegnato loro a ripetere in attesa del suo imminente ritorno, perché, Pietro lo sapeva, sarebbe ritornato presto. “Vado al Padre mio e padre vostro, Dio mio e Dio vostro” aveva detto. “Ancora un poco e non mi vedrete” ma con quei segni, con quei “sacri misteri” sarebbe rimasto accanto ai suoi discepoli fino alla fine del mondo.

Ormai Roma era alle spalle. Marco, Silvano e alcuni diaconi avevano trattenuto gli ufficiali pretoriani dandogli il tempo di sgattaiolare tra la folla del mercato vicino al foro. A quel tempo era di stanza a Roma anche Cassio Longino che dopo la notizia della Resurrezione era stato promosso a centurione e trasferito nella capitale dell’Impero. Questo gli aveva permesso di poter ricevere il battesimo e la predicazione di Pietro e, nell’ultimo anno, anche di Paolo. Quel giorno era di guardia alla Porta Appia e grazie a lui Pietro riuscì a lasciare la città senza alcun impedimento. D’altra parte la città era sottosopra per l’esplosione della persecuzione che Nerone aveva lanciato contro quella pericolosa “setta”, nota per i suoi adepti che rimanevano fedeli nel matrimonio considerandolo indissolubile, che rifiutavano di adorare gli idoli romani e non partecipavano ai giochi circensi. Costoro si levavano all’alba del primo giorno, la feria prima, “cantando inni a Cristo come a un dio”.

Pietro, stanco e ansimante, si fermò al bivio con la grande via Ardeatina poggiandosi su una grossa pietra gettata sul lato della strada lastricata. «Sei un codardo» pensava, «non sei altro che un meschino codardo. Hai abbandonato anche la Chiesa di Roma dopo essere scappato da Antiochia». Era rosso in volto per la calura estiva, cercò a tastoni la sacca d’acqua che portava tracolla, trovatala ne bevve avidamente. «Persino il giovane Ignazio, che tu hai ordinato vescovo, sarebbe restato a difendere il proprio gregge». Intanto si asciugava la lunga barba bianca con le mani: «Eppure – si diceva – sono stati proprio i fratelli di Roma a volere che me ne andassi. Che colpa ne ho io?». La stessa Petronilla, che considerava come una figlia, lo aveva esortato a fuggire lontano dalla furia di Nerone. «In effetti – ragionava tra sé – se muoio io, chi continuerà ad ordinare i vescovi? Chi continuerà ad annunziare il Vangelo? No, sono troppo importante per i nostri fratelli, non posso accettare il martirio. Non adesso, non ancora».

Chiuse strettamente gli occhi, e con le mani fra i fini capelli del suo vecchio capo cominciò a recitare quel salmo che comincia con le parole: «Làmma ragheshù goìm, ul’ummìm iehgu-rìķ» che alle orecchie dei suoi contemporanei dovette suonare pressappoco così: «Quare fremuérunt gentes, et pópuli meditáti sunt inánia?». Raccolto in una supplica fervente, pregava con tutte le forze nella speranza di penetrare le nubi con il suo grido. Quando giunse alle parole «àl Adonài ve‘al meshicĥò», che gli uscirono dalla bocca quasi come un sussurro, gli parve di sentire una brezza leggera carezzargli il volto. Aprì lentamente gli occhi e levando lo sguardo innanzi a sé vide, avvolto da una quieta luce, un uomo biancovestito dallo sguardo né triste né allegro, che trascinava seco una pesante croce lignea. Il suo volto, anche se trasfigurato, Pietro non avrebbe mai potuto confonderlo: era il suo Signore! Colui che aveva visto ascendere in cielo fra una schiera splendente di angeli, terribili come folgore. Il Messia crocifisso e risorto, Colui che era stato rapito allo sguardo suo e degli altri discepoli, racchiuso dalle nubi al di sopra del Monte degli Ulivi vicino Betania, adesso era lì davanti ai suoi occhi.

«Jeshùa! Adonài!», gridò gettandosi bocconi ai suoi piedi. Colui che gli stava innanzi non proferì parola. Pietro rimase qualche istante silenzioso e con gli occhi bassi, poi stupito di una tale visione levò timoroso lo sguardo, guardò il suo Maestro e con voce tremante chiese: «Dómine, quo vadis?». L’Uomo lo fissò dritto in volto, e nella lingua dei romani rispose: «Vénio Romam iterum crucifigi»; che nella lingua corrente significa “Vengo a Roma per essere crocifisso di nuovo”.

Pietro confuso da una tale risposta restò come impietrito dinanzi alla persona di Colui che solo pochi anni prima aveva confessato essere il Figlio di Dio, nei pressi di Cesarea di Filippo. «Signore mio, com’è possibile? Come puoi essere crocifisso ancora?». La Visione rispose: «Non sono forse a Roma tanti miei figli perseguitati a causa del mio Nome? Non stanno forse per ricevere un altro battesimo nel loro sangue coloro che già furono immersi nelle acque battesimali del mio sangue?».

Pietro prostrato faccia a terra rispose: «Sì mio Signore, è così».

«Per questo – riprese l’Uomo – io verrò crocifisso ancora in coloro che sono diventati mio corpo, perché non è possibile che dove le membra soffrono a causa del capo non soffra anche il capo insieme con esse».

La Visione rivolse poi al pescatore di Cafarnao queste parole: “E tu, Simone, dove stai andando?”. All’udire questa domanda e nel sentirsi chiamare Simone, Pietro scoppiò in lacrime: «Perdonami o Signore, ci hai forse abbandonati? Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno!». E tutto ansimante proseguì: «La Chiesa che tu hai fondato sta morendo qui a Roma. Giacomo è stato messo a morte a Gerusalemme, Giovanni non è più sicuro ad Efeso e Paolo è prossimo al patibolo. Degli altri poi non abbiamo più notizie da tempo. I tuoi nemici sono tanti e forti, o Signore!».

Scuotendo la testa come per scusarsi continuò: «Se muoio anch’io, non ci sarà più nessun apostolo». E dopo una breve pausa, levò di scatto lo sguardo esclamando: «Quanti vecchi, donne e bambini dovranno ancora morire prima che ti leverai a difendere il tuo popolo?».

L’Uomo che gli stava dinanzi era avvolto da una strana luce, sembrava ondeggiare come la fiamma di un fuoco divoratore che brucia senza consumare. Pietro riusciva a percepirne allo stesso tempo la tremenda onnipotenza e la dolce innocuità: «Simone – disse la Visione – non mandai forse te e i tuoi fratelli come pecore da macello in mezzo ai lupi?». Rispose quello: «Sì, mio Signore».

Riprese: «E non ti dissi forse che tu e i tuoi fratelli avreste subito ogni sorta di male per causa mia?».

Con gli occhi bassi rispose: «Sì mio Signore, è così». «Perché dunque ti scandalizzi? – chiese con voce calma l’Uomo – Forse tu sei più di me da non meritare l’ignominia, la persecuzione e la morte?». «Non sai forse che i miei amici subiscono ciò che io ho subito?». Pietro incapace di difendersi tentò di balbettare qualche parola confusa, mentre si faceva più piccolo dinanzi alla fiammeggiante figura del Figlio dell’uomo.

Ma il Cristo prevenendo ogni sua scusa lo fissò con amore tanto intenso che il vecchio pescatore della Galilea poté percepirne la smisurata ampiezza, e gli chiese:
«Pietro, mi ami tu?». Questi abbassò lo sguardo pieno di vergogna e sentì il cuore stringersi in una morsa lancinante. Non riuscì a trattenere gli spasimi e i singhiozzi ed eruppe in un pianto purificatore che lo riportò alla notte in cui aveva rinnegato il suo Salvatore mentre il gallo cantava allo spuntar del giorno. «O Adonài!… Dómine!», disse quel misero pescatore, schiacciato dal peso insopportabile della sua coscienza. «Ad…Adonài...» stentava persino ad emettere un soffio di voce: «Tu…tu…lo sai…Signore, tu lo sai!». E con voce strozzata proseguì: «Come potrei non amarti o Signore? Tu, salvezza del mio volto e mio Dio!».

L’Uomo biancovestito disse allora: «Il buon pastore offre la vita per le pecore. Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde».

Pietro scosse la testa mentre la sua fronte poggiava a terra sulla pietra incandescente: «Ma perché proprio io Signore? Sono il peggiore dei miei fratelli, il più indegno». «Perché non hai scelto mio fratello Andrea? Perché non hai posto Giovanni a capo della Chiesa? Chiunque di loro era migliore di me» e singhiozzando senza posa soggiunse: «perché io, o Signore? Perché io?».

La voce della Visione lo interruppe: «Non ti ho scelto perché eri il più sapiente, né perché eri il più forte, né perché eri il più virtuoso. Ti ho scelto perché eri il più debole, il più ignobile e disprezzato. Proprio tu, Simone figlio di Giona». Pietro intanto effondeva lacrime bagnando la grande strada: «Non ti ho forse scelto io? Sapevo che mi avresti tradito dal primo momento in cui ti ho chiamato, eppure non ti ho mai abbandonato, e sono tornato per portare a compimento ciò che io ho iniziato in te».

Con voce dolce e calma il Cristo soggiunse: «Per questo sono venuto nel mondo, affinché ogni lacrima sia tersa. Su, lèvati ora, e là dove sono io, là sarà anche il mio servo Pietro». Il vecchio si appoggiò sulle deboli braccia aggrinzite e trovò che esse avevano acquistato nuovo vigore. Si sentì rinfrancato e chinando la sua schiena già curva dal peso degli anni baciò teneramente la mano del Maestro, nella quale splendeva il segno della gloria e dell’infamia. Raccolse dunque il bastone e la bisaccia, e per la prima volta riuscì a fissare lo sguardo sul volto del suo Maestro, splendente come l’aurora.

Il Cristo Gesù, indicando Roma, disse:
«Ecco che Nerone ha appiccato il fuoco alla città ed ora ti cerca per ucciderti. Nella sua stoltezza vuole soffocare nel sangue la mia Chiesa. Egli non sa che dal sangue e dall’acqua è tornata la grazia nel mondo. Ma tu fatti coraggio, recati a Roma, io sarò con te e là ti aspetterò nello stadio di Nerone. Tu mi hai abbandonato, ma io non ti abbandonerò. Tu ti sei dimenticato di me, ma io non mi sono dimenticato di te. Ho lasciato i novantanove giusti che già sono con me per venire a cercarti. Ed ora che tornato in te, sei stato ritrovato da me, lasciati condurre sulle mie spalle come agnello puro e senza macchia per essere offerto al Padre mio sull’altare. Fa', o Pietro, che il tuo amore sia perfetto, e nella consumazione del tuo sacrificio la mia Chiesa sarà confermata dalla tua fede».

E fissatolo in volto disse: «Sul monte Calvario tu non fosti al mio fianco, ma io ti dico che sul colle Vaticano io sarò con te sul legno della croce». Gli occhi di Pietro si coprirono improvvisamente di un velo argenteo, e due lacrime solcarono il suo volto abbronzato tracciando su di esso il segno del Figlio dell’Uomo.

Il Cristo, luminoso e terribile come una spada fiammeggiante, levò quindi la mano per benedire quel povero vecchio uomo non più timoroso e fragile, ma rinnovato nella forza come una giovane aquila. In quel momento Pietro sentì come un fuoco ardente scorrere nelle sue ossa divenute rigogliose come gli alberi piantati lungo i corsi d’acqua. Si inginocchiò con la stessa destrezza di un giovane soldato, pronto a ricevere i comandi del suo signore.

Quando rialzò la testa non vide più nessuno. Si trovò al centro del bivio fra la grande via Appia e la via Ardeatina e voltandosi indietro sospirò a voce alta: «Baruch haba b'shem Adonài!». Si aggiustò quindi la bisaccia e impugnando saldamente il suo bordone riprese la via del ritorno. Il cuore ormai non vacillava più, era stato saggiato e trovato fedele; aveva sofferto la tentazione e ne era uscito vincitore: ora sapeva di poter attendere la corona di vita che proprio a Roma egli sapeva di dover ricevere.

Il cammino che nell’andar gli era parso così erto e faticoso, gli pareva ora dolce e leggero. Simon Pietro avanzava come un vero pastore, tranquillo e sicuro come bimbo svezzato in braccio a sua madre, pronto ad affrontare i supplizi che gli erano stati riservati e con i quali avrebbe reso gloria perfetta al Padre celeste. L’ultima missione, la più alta richiesta ad un cristiano: il sacrificio della propria vita.

Ad ogni passo che lo avvicinava al suo calvario si faceva più chiara nel suo cuore la consapevolezza che così mirabilmente Paolo aveva espresso nella lettera che indirizzò ai cristiani che, come lui, erano ebrei di nascita: “senza spargimento di sangue non c’è remissione dei peccati”.

E così, con le salmodie apprese fin da piccolo nella sinagoga di Cafarnao e più volte udite nel Tempio di Gerusalemme ogni volta che vi si era recato per le celebrazioni di pesach e shavuot, Pietro, il Pastore Universale, il Vicario di Cristo, intonò il canto «Dominus regit me, et nihil mihi deerit…Nam, etsi ambulavero in medio umbrae mortis, non timebo mala, quoniam tu mecum es».

Il giorno volgeva ormai al suo termine, il sole incominciava la sua rapida discesa dietro le montagne e Cassio Longino stava controllando la merce degli ultimi carri prima che le porte cittadine fossero chiuse per il coprifuoco notturno. Ad un tratto scorse da lontano una sagoma di vecchio a lui familiare discendere per la grande Via Appia, era Pietro, il loro padre nella fede. Un moto di stupore e preoccupazione lo colse nel veder tornare il loro amato episcopo, uno degli ultimi Testimoni, che ingenuamente marciava dritto verso il pericolo. Inquieto gli si fece innanzi non potendo trattenersi dal chiedergli sommessamente: «Petre, quo vadis?!». Il vecchio Principe degli Apostoli lo guardò teneramente, gli pose la sua venerabile mano sulla spalla e indicando la città di Roma rispose con umile gravità: «Vénio Romam iterum crucifigi cum Christo», che significa: “Sto andando a Roma per essere crocifisso con Cristo”.




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