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> 125. I dannati, una volta all'inferno, odiano per rabbia ed invidia persino i loro 'cari' in vita… che non vorrebbero potessero salvarsi.

Biblioteca Neval 3
Pubblicato da in Articoli di Guido Landolina ·
Tags: Pensieri a voce alta(inpillole)
Pensieri a voce alta (in pillole)
di Guido Landolina
Vedi anche in Sezione Opere del sito
'I 4 NOVISSIMI' - Cap. 16
Per scaricare invece direttamente questo singolo 'Pensiero' dal mio sito cliccate:
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20.11.2017
125. I dannati, una volta all'inferno, odiano per rabbia ed invidia persino i loro 'cari' in vita… che non vorrebbero potessero salvarsi.
Ho già parlato in passato della nostra morte facendo capire che non dovremmo 'esorcizzarla' allontanandola troppo dal nostro pensiero, non solo perché essa ci apre alla Vita ma perché, abituandoci gradatamente alla sua ineluttabilità, abbiamo il tempo di familiarizzarci con l'idea, cercando di metterci nella posizione psicologica e spirituale 'migliore' per prepararci un giorno, sperabilmente lontano, ad affrontarla.
Così come il nostro Pensiero 'vive' la realtà di un sogno senza avere coscienza del nostro corpo come se questo non esistesse, eppur sogna, cioè vive…,  così l'anima vive in quella sorta di 'sogno' che potremmo definire l'aldilà anche se il nostro corpo giace insensibile perché ormai morto… alla vita.
In sostanza il nostro 'io' non muore ma continua la sua esistenza come 'Pensiero', o meglio come puro Spirito che - essendo una Entità immortale - una volta lasciato il corpo inerte continua a vivere nel cosiddetto Aldilà secondo la sorte che si è meritato nell'esistenza terrena, in base a come si è comportato quanto meno rispetto alla cosiddetta Legge naturale, quella che noi conosciamo comunemente come i 'Dieci comandamenti.
Legge impressa dal Dio creatore nell'anima di qualsiasi essere umano perché 'senta' come comportarsi al meglio anche senza conoscere la religione 'perfetta'.
Ecco perché possiamo dirci tutti 'fratelli': siamo infatti tutti dotati di anima spirituale creata da Dio che pertanto ci è anche… Padre.
La sopravvivenza spirituale nell'Aldilà può essere una situazione di felicità oppure di espiazione e sofferenza eterna.
Un Dio poco misericordioso, dunque?
Niente affatto. Noi stessi poco misericordiosi verso noi stessi.
Chi si è dannato infatti non è per 'colpa' di Dio che lo ha 'dannato', ma è tale perché è lui stesso che lo ha sostanzialmente voluto non avendo voluto emendarsi  finché era in tempo.
In definitiva, riflettendo, non dovremmo davvero preoccuparci troppo della morte fisica del corpo, ma piuttosto di quella di un nostro spirito 'morto' alla Grazia, perché rimasto impenitente sino alla fine nel peccato, che è la vera morteperché é quello che ci separa da Dio.
Vi è peraltro chi invece si domanda se coloro che finiscono all'inferno, con i loro corpi risorti dopo il Giudizio universale, non avranno in realtà un corpo reale ma solo 'formale', cioè con la mera apparenza di quel che loro furono in vita, e se in tal caso avvertiranno davvero - come nei gironi danteschi - delle pene corporali come inflitte ad un loro realecorpo solido in carne ed ossa, oppure - avendo magari essi solo una mera 'forma' corporea - 'percepiranno' quelle sofferenze come se fossero inflitte ad un loro vero corpo umano in carne ed ossa.
La risposta è semplice: la sofferenza dell'inferno dopo la resurrezione dei morti, non è solo 'spirituale' perché, all'inferno - dal momento del Giudizio universale - vi si andrà anche con il corpo che vi soffrirà fisicamente, perché in vita oltre che con lo spirito si era peccato anche con il corpo.
Stiamo parlando infatti della 'grande morte' dove le pene sono effettive anche dal punto di vista 'materiale', ma dove la maggior sofferenza è forse costituita dal fatto di aver intravisto - sia pur per un attimo infinitesimale, nel momento del Giudizio particolare - la 'Bellezza' e 'Grandezza' di Dio, ormai irrimediabilmente perduto.
L'aver visto per intuizione e percezione istantanea, come si conviene ad uno 'spirito', la 'Bellezza' e 'Grandezza' di Dio nel momento del Giudizio credo possa essere avvertito come una atroce 'mancanza' di una Realtà meravigliosa perduta irrimediabilmente e quindi a quel punto da… odiare.
Dio è Vita e dove manca Dio è Morte, anzi 'Grande Morte': questa è la duplice verità anche se a noi - che viviamo ancora sulla terra - sfugge sia il vero senso di cosa soprannaturalmente significhi Vita sia di cosa si debba esattamente intendere per Morte.
Ciò nonostante - e lo dico per coloro che sostengono teorie come quella che un dannato, ivi compreso lo stesso Satana, non chiederebbe di meglio che di poter un giorno essere a sua volta salvato in grazia della 'Misericordia' di Dio -sottolineo che la condanna all'inferno è definitiva, una volta per tutte, e da parte mia credo anche che un dannato non accetterebbe mai di essere successivamente salvato perché - divenuto egli Odio allo stato puro come un satana -odierebbe anche e soprattutto Dio che è Amore assoluto, cioè l'Antitesi dell'Odio: l'anima dannata lo considererebbe responsabile della sua sorte e rifiuterebbe - per odio assoluto, orgoglio assoluto e superbia assoluta - persino una ipotetica Grazia che le fosse proposta da Dio.
È nel momento della morte in terra che avviene il combattimento spirituale per eccellenza: se infatti nei giusti -aiutati da Dio e dai suoi Angeli - la morte è un sereno trapasso, nei meno giusti il demonio ha miglior gioco nel suggerire sottilmente drammatiche tentazioni.
Satana può infatti tentarci sia quando ci avviciniamo alla nostra fine in uno stato di vigile coscienza sia quando il corpo non risponde più agli stimoli sensitivi esterni, come in un caso di coma, ma ha invece al suo 'interno' lo spirito immortale 'intelligente' che non ha ancora abbandonato il corpo.
Satana potrebbe tentare in extremis di farci cadere in disperazione, inducendoci a maledire Dio per questa morte che non si vuole accettare, o per rendere più difficile il pentimento per i nostri peccati.
Dio vorrebbe salvare tutti ma non può salvare quelli che non si vogliono salvare ai quali basterebbe peraltro pronunciare un semplicissimo 'Signore, abbi pietà di me'.
Nel momento della loro morte i dannati hanno già fatto una scelta, hanno preferito Satana. Tuttavia non lo amano, anche se poi lo seguono 'fedelmente' e, legati a lui da un patto di ferocia, cooperano alla dannazione degli altri uomini come per un feroce e sadico 'mal comune mezzo gaudio'.
Una volta morti i dannati sono infatti 'Odio allo stato puro', come del resto lo è il loro Capo Satana, al punto che essi - per rabbia ed invidia - odiano persino quelli che in vita erano i loro cari che non vorrebbero si potessero salvare.
Quasi per contrappasso, nemmeno i loro cari che sono già in Cielo, o che andranno successivamente in Cielo,piangono troppo su chi muore da dannato perché in Cielo la Carità non è mai disgiunta dalla Verità e dalla Giustizia.
I salvati in Cielo - beati e ormai nella 'Luce' di Dio - capiscono tutto e 'convengono', sia pur per dolorosa carità,che la sorte comminata da Dio a quei loro cari volutamente dannatisi, è stata giusta e meritata.
Credo che sia 'umanamente' per noi sconvolgente riflettere su questo terribile aspetto sapendo che persino coloro che ci amano o che ci hanno tanto amato in vita (che abbiamo oggi magari ancora a fianco e che noi stessi oggi amiamo e dai quali siamo riamati, come un nostro padre o una nostra madre, una nostra moglie o un marito, un nostro fratello o sorella, per non parlare dei nostri figli) - in caso di una nostra dannazione, essi, una volta in Cielo, non 'piangerebbero' per noi, se non per un caritatevole dolore per quella sorte che in fin dei conti però noi stessi abbiamo proprio voluto.
Non ci si danna infatti 'per caso', lo ripeto, ci si danna perché lo si è 'voluto'.
Per coloro - anche teologi di fama - che si illudono, e quel che è peggio illudono gli altri che un giorno l'Inferno possa anche finire per accedere finalmente tutti al Paradiso,  ricorderò la parabola evangelica del ricco Epulone. (Lc 16, 19-31)
Questi muore e si ritrova all'Inferno per la sua assoluta mancanza di carità in vita, in particolare anche nei confronti del povero mendico Lazzaro che, morto in precedenza di stenti, era invece andato in Paradiso.
L'Epulone, soffrendo fra le fiamme, chiede ad Abramo che per carità gli mandi per mezzo di Lazzaro qualche goccia d'acqua per attenuare almeno un poco la terribile arsura e sofferenza fisica. La risposta di Abramo è però negativaperché in Cielo non c'è più carità per chi è all'inferno, e quanto alla ventilata ipotesi odierna che uno all'inferno possa un giorno salire in Paradiso, la risposta di Abramo è pure inappellabile perché - dice lui - '… fra i due 'regni' è stato fissato un grande abisso'.
Insomma, confermo: da 'lassù' non c'è più 'carità' per quelli che sono...'laggiù'.
Mai come in questo caso varrebbe il detto… 'Chi è causa del suo mal pianga se stesso!'.



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