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Tags: Pensieri a voce alta
Pensieri a voce alta
di Guido Landolina
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28.11.2017
126. 'E non ci indurre in tentazione... ma liberaci dal Maligno'. Impariamo a conoscere meglio e a pregare il Padre nostro… 'come Dio comanda'.
Se c'è una preghiera - fra le tante trasmesse dalla Tradizione e dal Magistero - della quale possiamo essere certi è quella del Padre nostro perché è l'unica preghiera insegnataci da Gesù che certo di 'preghiere' era un 'esperto', preghiera che nel Vangelo di Matteo (Mt 6, 9-13) una volta 'suonava' così (parole di Gesù agli apostoli…):
Mt 6
9Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, 10venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra.
11Dacci oggi il nostro pane quotidiano, 12e rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori, 13e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male.
Questo testo evangelico, come tutti sanno, è un testo tramandato fin dai primordi, ma che ora, ripresentato in una nuova versione, 'suonerebbe' così:
Mt 6
9Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, 10venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra.
11Dacci oggi il nostro pane quotidiano, 12e rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,13e non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal male.
La differenza è palese.
Si sono spesi nei secoli fiumi di parole per cercare di capire la ragione della incongruenza di quell'originario 'non indurci in tentazione'.
Ma come!? Un Dio-Padre che anziché salvarci dalle tentazioni ci induce - proprio Lui - in tentazione tanto da obbligarci a chiedergli, con la preghiera insegnataci da Gesù, di non farlo?
A proposito di una 'tentazione' da cui Dio dovrebbe salvarci, una delle più importanti di questi nostri tempi, viene proprio - ad esempio - dai teologi di Chiesa, e cioè quella di cambiare con un preteso metodo 'filologico' le parole ed il senso dei Vangeli per adattare i testi stessi alla luce del modo di pensare odierno.
Cosa pericolosissima!
Una parolina in più qui, una parolina in meno là, una virgola messa qui, un'altra virgola tolta là, ed ecco che il Vangelo (ma anche l'Antico Testamento) rischia di essere snaturato e 'piegato' a delle interpretazioni di convenienza che nel giro di qualche anno porterebbero l'ignaro e fiducioso fedele - che poco o nulla sa di Teologia, di Dottrina per non dire di… Catechismo - a credere in un Vangelo che non è più quello 'eterno' dei duemila anni precedenti ma un vangelo 'umano', per di più 'modernista' e quindi eretico, facendosi così una idea diversa di quel che realmente aveva detto Gesù a quei tempi.
Fantasia?
Uno dei tanti a pensarla così - ma è solo uno dei numerosi esempi ai massimi vertici che si potrebbero citare - è lo stesso Generale venezuelano dei Gesuiti padre Arturo Sosa che (sempre per capire che aria tira…) ha, tempo addietro, dichiarato - in linea con il più avanzato Modernismo eretico ecclesiale - che il Diavolo-Satana non esiste perché è 'una figura simbolica creata per esprimere il male' e anche che le parole di Gesù nei Vangeli sarebbero da 'contestualizzare', perché a quei tempi… 'non c'erano i 'registratori').
Ora è chiaro (per limitarci all'autorevole pensiero di padre Sosa, Generale dei Gesuiti che farebbe oggi rivoltare nella tomba Sant'Ignazio di Loyola, il Fondatore della 'Compagnia di Gesù', cioè dei 'gesuiti') che negare l'esistenza di Satana significa negare tutta la predicazione, la Dottrina e la stessa Venuta ed incarnazione del Verbo in Gesù-Uomo-Dio in quanto - essendo stato proprio Satana a provocare il Male inducendo i due Progenitori a tradire Dio tramite il loro  Peccato originale - non si vede perché mai il Verbo avrebbe dovuto incarnarsi e farsi Uomo in Gesù per redimerci da un peccato mai compiuto, dato che Satana non sarebbe un Angelo ribelle e vendicativo ma solo una 'figura' simbolica per indicare genericamente il 'male' dal quale siamo contornati e nel quale siamo anche impastati per via della nostra natura ormai corrotta.
Ovviamente - in questo contesto - si dedurrebbe che nemmeno l'Inferno esista perché non avrebbe più senso il cercare di non peccare e sforzarsi nelle buone opere, conclusione alla quale sono del resto giunti i 'protestanti' al motto di quel 'Pecca fortiter' (Pecca pure di più…) di Lutero, la cui statua abbiamo peraltro visto recentemente troneggiare - riverita - in Vaticano.
Statua di Lutero! Proprio lui che odiava le statue come quelle della Madonna e dei Santi perché le considerava espressione di adorazione 'idolatrica'.
Ho fatto questa premessa sulle 'tentazioni' attuali, e ancor più future, di modificare i testi evangelici 'pro domo propria'' (con modifiche 'ad hoc' anche del Catechismo, così non ci sarebbe più nulla da recriminare…)  per dirvi invece che la modifica di quelle due paroline del Padre nostro non rientra nella suddetta ottica modernista e demitizzante ma in quella di utilizzare non tanto una diversa 'traduzione' quanto una 'forma espressiva' che facesse meglio comprendere cosa avessero voluto intendere veramente le parole di riportate nel Vangelo di Matteo come pure in quello di Luca.
Nei Vangeli non sono pochi i brani che lasciano perplessi quanto al loro esatto significato, ma questo credo dipenda non tanto da 'errori' di traduzione dei testi, quanto da una nostra incapacità di intendere bene ciò che stava dietro a certe espressioni usate in un contesto che non ci è stato dato di conoscere.
Succede anche oggi che certe frasi possano assumere significati diversi in relazione alle diverse situazioni in cui vengono usate, e non parliamo poi del caso in cui esse vengano 'estrapolate' dal contesto originario per fini strumentali facendo credere il contrario rispetto al senso con cui esse sono state pronunciate.
Il problema della Preghiera del 'Padre nostro' consiste dunque, come più sopra accennato, nel fatto che è sempre stato difficile capire perché mai  Gesù ci insegnasse a chiedere al Padre di 'non indurci in tentazione', attribuendogli un ruolo di 'Tentatore' che semmai spetterebbe di diritto al Diavolo.
A questo punto la Teologia ha cercato di darsi delle risposte immaginando che la frase del Vangelo di Matteo (ma anche di Luca 11, 1-13) volesse dire altro, nel senso che la traduzione di quell'indurre potesse avere più significati, come appunto quello della seconda recente versione di cui sopra di… 'non abbandonarci alla tentazione'.
La risposta e spiegazione esatta che gli 'uomini' non riescono a trovare può essere data invece dai mistici che - se mistici veri - hanno il 'filo diretto' con il loro divino Ispiratore.
Ecco dunque come la grande mistica e anima vittima moderna Maria Valtorta descriveva l'episodio dell'insegnamento di questa Preghiera in una visione da lei avuta nel lontano 28 giugno 1945 (Vedi 'L'Evangelo come mi è stato rivelato', Vol. III, Cap. 203, Centro Editoriale Valtortiano).
Una visione dove - miracolo nel miracolo, ma nulla è impossibile a Dio - la mistica non solo vede in carne ossa i discepoli e Gesù stesso che parla loro, ma sente tutti i dialoghi in perfetto italiano mentre è ovvio che a quei tempi essi parlassero nella loro lingua.
Ma se Gesù glieli avesse fatti sentire nella propria lingua originaria, come mai avremmo potuto capire noi?
E non successe qualcosa di simile - come raccontato negli Atti degli Apostoli (Atti 2, 1-13) - quando essi, illuminati dallo Spirito Santo, uscirono dal Cenacolo e - 'secondo che lo Spirito Santo dava ad essi di esprimersi', come dicono gli Atti - cominciarono a predicare alle folle provenienti dalla diaspora composte da uomini di numerose nazioni e questi ultimi si chiesero come ognuno potesse sentire gli apostoli galilei predicare invece nella lingua del proprio paese natio: e cioè Parti, Medi, Elamiti, Frigi, Egiziani, Libici etc.?
Si tratta qui ora di un episodio delle oltre 600 visioni avute dalla mistica sulla vita evangelica di Gesù, ed è inquadrabile temporalmente nel suo secondo anno di vita pubblica, poco dopo la sua seconda Pasqua a Gerusalemme, la prima Pasqua essendo stata quella più nota della cacciata dei mercanti dal Tempio di Gerusalemme.
In precedenza, sempre nel secondo anno, c'erano stati - fra i tanti - episodi importanti di vita evangelica come l'elezione, su un monte, dei dodici discepoli ad 'apostoli', quindi il celebre Discorso della montagna narrato così bene da Matteo per singoli sintetici concetti ma che - nell'opera di Maria Valtorta - vediamo Gesù svilupparlo sapientemente ed ampiamente punto per punto di fronte alle folle in ben sette distinti giorni consecutivi, perché andava approfondito adeguatamente costituendo la base della Sua Dottrina.
Quindi - sempre fra i tanti - l'episodio della parabola del seminatore con la sua spiegazione da parte di Gesù, poi la (seconda e definitiva) cattura di Giovanni Battista, la tempesta sedata, il miracolo della resurrezione del giovane di Naim e, proprio in occasione della seconda Pasqua, l'insegnamento agli Apostoli - assente Giuda - della Preghiera del 'Padre nostro' perché Gesù aveva voluto attendere che essi fossero 'maturi' per apprezzarla nella dovuta misura.
Il gruppo apostolico è dunque a Gerusalemme per la Festa pasquale e per la prova d'esame del piccolo Marjziam, dodicenne, età della prova religiosa per il conseguimento della 'maggiore età' legale di 'uomo', come d'uso in Israele.
Dalle rivelazioni dell'Opera valtortiana emerge il fatto che Pietro e sua moglie Porfirea non avevano figli.
Pietro - grazie alla intercessione della Madonna - era però riuscito ad ottenere da Gesù che egli potesse adottare un orfanello al quale si era molto affezionato, appunto Marjziam.
Gesù era contrario all'adozione perché non avrebbe voluto che l'attaccamento alla famiglia potesse in futuro diventare un ostacolo alla sua missione di apostolo  di… Capo futuro della Chiesa, ma - come nel miracolo di Cana - Gesù non riusciva a negare niente alla propria Mamma.
Alla cerimonia solenne ed alla festa della maggiore età di Marjziam avrebbe dovuto essere presente anche il dodicesimo apostolo: Giuda di Simone di Keriot, che poi sarebbe divenuto, oltre che ladro, anche traditore e deicida.
Giuda aveva però già cominciato da qualche tempo a prendere le distanze dal gruppo apostolico, con saltuarie assenze ingiustificate per riprendere a frequentare la sua originaria compagnia di personaggi del Tempio, sacerdoti, scribi e farisei che circa due anni dopo lo avrebbero indotto a fare arrestare Gesù sul Getsemani.
In quel giorno di festa Giuda non si era fatto vedere e Pietro ne era rimasto molto amareggiato.
Ecco dunque la trascrizione dell'episodio  che ci consentirà fra l'altro di interpretare e comprendere correttamente la famosa frase del 'Non indurci in tentazione'… (sottolineature e  grassetti sono miei) :
^^^^
203. La preghiera del "Padre nostro".
28 giugno 1945.
1Gesù esce con i suoi da una casa prossima alle mura e cre­do sempre nel rione di Bezeta, perché per uscire dalle mura si deve ancora passare davanti alla casa di Giuseppe, che è pres­so la porta che ho sentito definire "di Erode".
La città è semi­deserta nella sera placida e lunare. Comprendo che è stata consumata la Pasqua in una delle case di Lazzaro, che però non è per nulla la casa del Cenacolo. Questa è proprio agli an­tipodi di quella. Una a nord, l'altra a sud di Gerusalemme.
Sulla porta di casa Gesù si accomiata, col suo garbo gentile, da Giovanni di Endor, che Egli lascia a custodia delle donne e che ringrazia per questa custodia. Bacia Marjziam, che è venu­to anche lui sulla porta, e poi si avvia fuori della porta detta di Erode.
«Dove andiamo, Signore?».
«Venite con Me. Vi porto a coronare con una perla rara e desiderata la Pasqua. Per questo ho voluto stare con voi soli. I miei apostoli!
Grazie, amici, del vostro grande amore per Me. Se poteste vedere come esso mi consola, voi restereste stupiti. Vedete, Io procedo fra continui attriti e delusioni. Delusioni per voi.
Per Me, persuadetevene, non ho nessuna delusione, non essendomi concesso il dono di ignorare... Anche per que­sto vi consiglio a lasciarvi guidare da Me. Se Io permetto que­sto o quello, non ostacolatelo. Se Io non intervengo a porre fine ad una cosa, non pensatevi di farlo voi. Ogni cosa a suo tempo. Abbiate fiducia in Me, su tutto».
Sono all'angolo nord-est della cerchia delle mura; lo girano e costeggiano il monte Moria fino al punto in cui, per un ponti­cello, possono valicare il Cedron.
«Andiamo al Getsemani?», chiede Giacomo d'Alfeo.
«No. Più su. Sul monte degli Ulivi».
«Oh! sarà bello!», dice Giovanni.
«Sarebbe piaciuto anche al bambino», mormora Pietro.
«Oh! ci verrà molte altre volte! Era stanco. Ed è bambino. Io voglio darvi una grande cosa, perché ormai è giusto che voi l'abbiate».
2Salgono fra gli ulivi, lasciando alla loro destra il Getsemani e elevandosi ancora, su per il monte, sino a raggiungerne la cresta su cui gli ulivi fanno un pettine frusciante.
Gesù si ferma e dice: «Sostiamo... Miei cari, cari tanto, di­scepoli miei e miei continuatori in futuro, venite a Me vicino. Un giorno, e non uno solo, voi mi avete detto: "Insegnaci a pregare come Tu preghi. Insegnaci come Giovanni lo insegnò ai suoi, acciò noi discepoli si possa pregare con le stesse parole del Maestro". Ed Io vi ho sempre risposto: "Vi farò questo quando vedrò in voi un minimo di preparazione sufficiente, acciò la preghiera non sia formula vana di parole umane, ma vera conversazione col Padre".
A questo siamo giunti. Voi siete possessori di quanto basta per poter conoscere le parole degne di essere dette a Dio. E ve le voglio insegnare questa sera, nella pace e nell'amore che è fra noi, nella pace e nell'amore di Dio e con Dio, perché noi abbiamo ubbidito al precetto pasquale, da veri israeliti, e al comando divino sulla carità verso Dio e verso il prossimo.
3Uno fra voi ha molto sofferto in questi giorni. Sofferto per un atto immeritato, e sofferto per lo sforzo fatto su se stesso per contenere lo sdegno che quell'atto aveva ecci­tato.
Sì, Simone di Giona, vieni qui. Non c'è stato un fremito del tuo cuore onesto che mi sia stato ignoto, e non c'è stata pe­na che Io non abbia condivisa con te. Io e i tuoi compagni...».
«Ma Tu, Signore, sei stato ben più offeso di me! E questa era per me una sofferenza più... più grande, no, più sensibile... neppure... più... più... Ecco: che Giuda abbia avuto schifo di partecipare alla mia festa mi ha fatto male come uomo. Ma di vedere che Tu eri addolorato e offeso mi ha fatto male in un al­tro modo e ne ho sofferto il doppio... Io... non mi voglio vanta­re e fare bello usando le tue parole... Ma devo dire, e se faccio superbia dimmelo Tu, devo dire che ho sofferto con la mia ani­ma... e fa più male».
«Non è superbia, Simone. Hai sofferto spiritualmente per­ché Simone di Giona, pescatore di Galilea, si sta mutando in Pietro di Gesù, Maestro dello spirito, per cui anche i suoi di­scepoli divengono attivi e sapienti nello spirito. È per questo tuo progredire nella vita dello spirito, è per questo vostro pro­gredire che Io vi voglio questa sera insegnare l'orazione. Quanto siete mutati dalla sosta solitaria in poi!».
«Tutti, Signore?», chiede Bartolomeo un poco incredulo.
«Comprendo ciò che vuoi dire... Ma Io parlo a voi undici. Non ad altri...».
«Ma che ha Giuda di Simone, Maestro? Noi non lo com­prendiamo più... Pareva tanto cambiato, e ora, da quando ab­biamo lasciato il lago...», dice desolato Andrea.
«Taci, fratello. La chiave del mistero ce l'ho io! Ci si è at­taccato un pezzettino di Belzebù. È andato a cercarlo nella ca­verna di Endor per stupire e... e è stato servito! Il Maestro lo ha detto quel giorno... A Gamala i diavoli sono entrati nei porci. A Endor i diavoli, usciti da quel disgraziato di Giovanni, sono entrati in lui... Si capisce che... si capisce... Lasciamelo dire, Maestro! Tanto è qui, in gola, e se non lo dico non esce, e mi ci avveleno...».
«Simone, sii buono!».
«Sì, Maestro... e ti assicuro che non farò sgarbi a lui. Ma di­co e penso che essendo Giuda un vizioso - tutti lo abbiamo capito - è un poco affine al porco... e si capisce che i demoni scelgono volentieri i porci per i loro... cambi di dimora. Ecco, l'ho detto».
«Tu dici che è così?», chiede Giacomo di Zebedeo.
«E che vuoi che altro sia? Non c'è stata nessuna ragione per diventare così intrattabile. Peggio che all'Acqua Speciosa! E là potevo pensare che era il luogo e la stagione che lo innervosi­vano. Ma ora...».
4«C'è un'altra ragione, Simone...».
«Dilla, Maestro. Sono contento di ricredermi sul compa­gno».
«Giuda è geloso. È inquieto per gelosia».
«Geloso? Di chi? Non ha moglie e, anche l'avesse e fosse con le donne, io credo che nessuno di noi userebbe spregio al con­discepolo...».
«È geloso di Me. Considera: Giuda si è alterato dopo Endor e dopo Esdrelon. Ossia quando ha visto che Io mi sono occupa­to di Giovanni e di Jabé. Ma ora che Giovanni, soprattutto Giovanni, verrà allontanato passando da Me a Isacco, vedrai che torna allegro e buono».
«E... bene! Non mi vorrai però dire che non è preso da un demonietto. E soprattutto... No, lo dico! E soprattutto non mi vorrai dire che si è migliorato in questi mesi. Ero geloso anche io l'anno scorso... Non avrei voluto nessuno più di noi sei, i primi sei, lo ricordi? Ora, ora... lasciami invocare Dio una vol­ta tanto a testimonio del mio pensiero. Ora dico che sono felice più aumentano i discepoli intorno a Te. Oh! vorrei avere tutti gli uomini e portarli a Te e tutti i mezzi per poter sovvenire chi ne ha bisogno, perché la miseria non sia a nessuno di ostacolo per venire a Te. Dio vede se dico il vero. Ma perché sono così ora? Perché mi sono lasciato cambiare da Te. Lui... non è cam­biato. Anzi... Va' là, Maestro... Un demonietto lo ha preso...».
«Non lo dire. Non lo pensare. Prega perché guarisca. La gelosia è una malattia...».
«Che al tuo fianco guarisce se uno lo vuole. Ah! lo soppor­terò, per Te... Ma che fatica!...».
«Ti ho dato il premio per essa: il bambino. E ora ti insegno a pregare...».
«Oh! sì, fratello. Parliamo di questo... e il mio omonimo sia ricordato solo come uno che ha bisogno di questo. Mi pare che ha già il suo castigo. Non è con noi in quest'ora!», dice Giuda Taddeo.
5«Udite. Quando pregate dite così: "Padre nostro che sei nei Cieli, sia santificato il Nome tuo, venga il Regno tuo in Terra come lo è in Cielo, e in Terra come in Cielo sia fatta la Volontà tua. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal Maligno"».
Gesù si è alzato per dire la preghiera e tutti lo hanno imita­to, attenti, commossi.
«Non occorre altro, amici miei. In queste parole è chiuso come in un cerchio d'oro tutto quanto abbisogna all'uomo per lo spirito e per la carne e il sangue. Con questo chiedete ciò che è utile a quello e a questi. E se farete ciò che chiedete, acqui­sterete la vita eterna.
È una preghiera tanto perfetta che i ma­rosi delle eresie e il corso dei secoli non l'intaccheranno. Il cri­stianesimo sarà spezzettato dal morso di Satana e molte parti della mia carne mistica verranno staccate, separate, facenti cellule a sé, nel vano desiderio di crearsi a corpo perfetto come sarà il Corpo mistico del Cristo, ossia quello dato da tutti i fe­deli uniti nella Chiesa apostolica che sarà, finché sarà la Terra, l'unica vera Chiesa.
Ma queste particelle separate, prive perciò dei doni che Io lascerò alla Chiesa Madre per nutrire i miei fi­gli, si chiameranno però sempre cristiane, avendo culto al Cri­sto, e sempre si ricorderanno, nel loro errore, di essere venute dal Cristo.
Ebbene, esse pure pregheranno con questa univer­sale preghiera. Ricordatevela bene. Meditatela continuamente. Applicatela alle vostre azioni. Non occorre altro per santificar­si. Se uno fosse solo, in un posto di pagani, senza chiese, senza libri, avrebbe già tutto lo scibile da meditare in questa pre­ghiera e una chiesa aperta nel suo cuore per questa preghiera. Avrebbe una regola e una santificazione sicura.
6"Padre nostro".
Io lo chiamo: "Padre". Padre è del Verbo, Padre è dell'In­carnato. Così voglio lo chiamiate voi, perché voi siete uni con Me se voi in Me permanete. Un tempo era che l'uomo doveva gettarsi volto a terra per sospirare, fra i tremori dello spaven­to: "Dio!".
Chi non crede in Me e nella mia parola ancora è in questo tremore paralizzante...
Osservate nel Tempio. Non Dio, ma anche il ricordo di Dio è celato dietro triplice velo agli oc­chi dei fedeli. Separazioni di distanze, separazioni di velami, tutto è stato preso e applicato per dire a chi prega: "Tu sei fango. Egli è Luce. Tu sei abbietto. Egli è Santo. Tu sei schiavo. Egli è Re".
Ma ora!... Alzatevi! Accostatevi! Io sono il Sacer­dote eterno. Io posso prendervi per mano e dire: "Venite". Io posso afferrare le tende del velario e aprirle, spalancando l'inaccessibile luogo chiuso fino ad ora. Chiuso? Perché? Chiu­so per la Colpa, sì. Ma ancor più serrato dall'avvilito pensiero degli uomini. Perché chiuso, se Dio è Amore, se Dio è Padre? Io posso, Io devo, Io voglio portarvi non nella polvere, ma nell'az­zurro; non lontani, ma vicini; non in veste di schiavi, ma di fi­gli sul cuore di Dio.
"Padre! Padre!", dite. E non stancatevi di dire questa paro­la. Non sapete che ogni volta che la dite il Cielo sfavilla per la gioia di Dio? Non diceste che questa, e con vero amore, fareste già orazione gradita al Signore.
"Padre! Padre mio!", dicono i piccoli al padre loro. È la parola che dicono per prima: "Ma­dre, padre". Voi siete i pargoli di Dio. Io vi ho generati dal vec­chio uomo che eravate e che Io ho distrutto col mio amore per far nascere l'uomo nuovo, il cristiano. Chiamate dunque con la parola che per prima conoscono i pargoli, il Padre Ss. che è nei Cieli.
7"Sia santificato il tuo Nome".
Oh! Nome più di ogni altro santo e soave, Nome che il ter­rore del colpevole vi ha insegnato a velare sotto un altro. No, non più Adonai, non più. È Dio. È il Dio che in un eccesso di amore ha creato l'Umanità. L'Umanità, d'ora in poi, con le labbra mondate dal lavacro che Io preparo, lo chiami col suo Nome, riservandosi di comprendere con pienezza di sapienza il vero significato di questo Incomprensibile quando, fusa con Esso, l'Umanità, nei suoi figli migliori, sarà assurta al Regno che Io sono venuto a stabilire.
8"Venga il Regno tuo in Terra come in Cielo".
Desideratelo con tutte le vostre forze questo avvento. Sa­rebbe la gioia sulla Terra se esso venisse. Il Regno di Dio nei cuori, nelle famiglie, fra i cittadini, fra le nazioni. Soffrite, fa­ticate, sacrificatevi per questo Regno. Sia la Terra uno spec­chio che riflette nei singoli la vita dei Cieli. Verrà. Un giorno tutto questo verrà.
Secoli e secoli di lacrime e sangue, di errori, di persecuzioni, di caligine rotta da sprazzi di luce irraggianti dal Faro mistico della mia Chiesa - che, se barca è, e non verrà sommersa, è anche scogliera incrollabile ad ogni maroso, e alta terrà la Luce, la mia Luce, la Luce di Dio - precederan­no il momento in cui la Terra possederà il Regno di Dio. E sarà allora come il fiammeggiare intenso di un astro che, raggiunto il perfetto del suo esistere, si disgrega, fiore smisurato dei giar­dini eterei, per esalare in un rutilante palpito la sua esistenza e il suo amore ai piedi del suo Creatore. Ma venire verrà. E poi sarà il Regno perfetto, beato, eterno del Cielo.
9"E in Terra come in Cielo sia fatta la tua Volontà".
L'annullamento della volontà propria in quella di un altro si può fare solamente quando si è raggiunto il perfetto amore verso quella creatura. L'annullamento della volontà propria in quella di Dio si può fare solo quando si è raggiunto il possesso delle teologali virtù in forma eroica. In Cielo, dove tutto è sen­za difetti, si fa la volontà di Dio. Sappiate, voi, figli del Cielo, fare ciò che in Cielo si fa.
10"Dacci il nostro pane quotidiano".
Quando sarete nel Cielo vi nutrirete soltanto di Dio. La bea­titudine sarà il vostro cibo.
Ma qui ancora abbisognate di pane. E siete i pargoli di Dio. Giusto dunque dire: "Padre, dacci il pane". Avete timore di non essere ascoltati? Oh, no! Considerate. Se uno di voi ha un amico e, accorgendosi di essere privo di pane per sfamare un altro amico o un parente, giunto da lui sulla fine della seconda vigilia, va ad esso dicendo: "Amico, prestami tre pani perché m'è venuto un ospite e non ho che dargli da mangiare", può mai sentirsi rispondere dal di dentro della casa: "Non mi dare noia perché ho già chiuso l'uscio e as­sicurati i battenti e i miei figli dormono già al mio fianco. Non posso alzarmi e darti quanto vuoi"?
No. Se egli si è rivolto ad un vero amico e se insiste, avrà ciò che chiede. L'avrebbe an­che se colui a cui si è rivolto fosse un amico poco buono. Lo avrebbe per la sua insistenza, perché il richiesto di tal favore, pur di non essere più importunato, si affretterà a dargliene quanti ne vuole.
Ma voi, pregando il Padre, non vi rivolgete ad un amico della Terra, ma vi rivolgete all'Amico perfetto che è il Padre del Cielo. Perciò Io vi dico: "Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, picchiate e vi sarà aperto". Infatti a chi chiede viene dato, chi cerca finisce col trovare, e a chi bussa si apre la porta. Chi fra i figli degli uomini si vede porre in mano un sasso se chiede al proprio padre un pane? E chi si vede dare un serpente al posto di un pesce arrostito? Delinquente sarebbe quel padre se così facesse alla propria prole. Già l'ho detto e lo ripeto per persuadervi a sensi di bontà e di fiducia. Come dunque uno di sana mente non darebbe uno scorpione al posto di un uovo, con quale maggiore bontà non vi darà Dio ciò che chiedete! Poiché Egli è buono, mentre voi, più o meno, malvagi siete. Chiedete dunque con amore umile e figliale il vostro pane al Padre.
11"Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai no­stri debitori".
Vi sono i debiti materiali e quelli spirituali. Vi sono anche i debiti morali. È debito materiale la moneta o la merce che avuta in prestito va restituita. È debito morale la stima carpita e non resa e l'amore voluto e non dato. È debito spirituale l'ub­bidienza a Dio dal quale molto si esigerebbe salvo dare ben poco, e l'amore verso di Lui. Egli ci ama e va amato, così come va amata una madre, una moglie, un figlio da cui si esigono tante cose. L'egoista vuole avere e non dà. Ma l'egoista è agli antipodi del Cielo. Abbiamo debiti con tutti. Da Dio al paren­te, da questo all'amico, dall'amico al prossimo, dal prossimo al servo e allo schiavo, essendo tutti esseri come noi. Guai a chi non perdona! Non sarà perdonato. Dio non può, per giustizia, condonare il debito dell'uomo a Lui Santissimo se l'uomo non perdona al suo simile.
12"Non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal Maligno".
L'uomo che non ha sentito il bisogno di spartire con noi la cena di Pasqua mi ha chiesto, or è men di un anno: "Come? Tu hai chiesto di non essere tentato e di essere aiutato, nella tentazione, contro la stessa?". Eravamo noi due soli... e ho rispo­sto. Eravamo poi in quattro, in una solitaria plaga, ed ho ri­sposto ancora. Ma non è ancora servito, perché in uno spirito tetragono occorre fare breccia demolendo la mala fortezza del­la sua caparbietà. E perciò lo dirò ancora una, dieci, cento vol­te, fino a che tutto sarà compiuto.
Ma voi, non corazzati di infelici dottrine e di ancora più in­felici passioni, vogliate pregare così. Pregate con umiltà perché Dio impedisca le tentazioni. Oh! l'umiltà! Conoscersi per quel­lo che si è! Senza avvilirsi, ma conoscersi. Dire: "Potrei cedere anche se non mi sembra poterlo fare, perché io sono un giudice imperfetto di me stesso. Perciò, Padre mio, dammi, possibil­mente, libertà dalle tentazioni col tenermi tanto vicino a Te da non permettere al Maligno di nuocermi". Perché, ricordatelo, non è Dio che tenta al Male, ma è il Male che tenta. Pregate il Padre perché sorregga la vostra debolezza al punto che essa non possa essere indotta in tentazione dal Maligno.
13Ho detto, miei diletti. Questa è la mia seconda Pasqua fra voi. Lo scorso anno spezzammo soltanto il pane e l'agnello. Quest'anno vi dono la preghiera. Altri doni avrò per le altre mie Pasque fra voi, acciò, quando Io sarò andato dove il Padre vuole, voi abbiate un ricordo di Me, Agnello, in ogni festa del­l'agnello mosaico.
Alzatevi e andiamo. Rientreremo in città all'aurora. Anzi, domani tu, Simone, e tu, fratello mio (indica Giuda), andrete a prendere le donne e il bambino. Tu, Simone di Giona, e voi altri, starete con Me finché costoro tornano. Poi andremo insieme a Betania».
E scendono fino al Getsemani nella cui casa entrano per il riposo.
^^^^
Tutta finita la spiegazione del 'Padre nostro'?
Non ancora perché, in un'altra spiegazione del 7 luglio 1943 (cioè in data precedente alla visione di cui sopra di Gesù con gli apostoli che è invece del 28 giugno 1945), Egli aveva già spiegato personalmente alla mistica Maria Valtorta (che trascriveva in tempo reale quanto ascoltava) quanto segue (sottolineature e grassetti sono miei):
^^^^
Dice Gesù:
«Nel Pater noster è la perfezione della preghiera.
Osserva: nessun atto è assente nella brevità della formula. Fede, speranza, carità, ubbidienza, rassegnazione, abbandono, domanda, contrizione, misericordia sono presenti. Dicendola, pregate con tutto il Paradiso, durante le prime quattro petizioni, poi, lasciando il Cielo, che è la dimora che vi attende, tornate sulla terra, rimanendo con le braccia alte verso il Cielo per implorare per le necessità di quaggiù e per chiedere aiuto nella battaglia da vincersi per tornare lassù.
“Padre nostro che sei nei cieli”.
O Maria! Solo il mio amore poteva dirvi: dite “Padre nostro”. Con questa espressione vi ho investiti pubblicamente del titolo sublime di figli dell’Altissimo e fratelli miei. Se qualcuno, schiacciato dalla considerazione della sua nullità umana, può dubitare di essere figlio di Dio, creato a sua immagine e somiglianza, pensando a questa mia parola non può più dubitare. Il Verbo di Dio non erra e non mente. E il Verbo vi dice: dite “Padre nostro”.
Avere un padre è dolce cosa e forte aiuto. Io, nell’ordine materiale, ho voluto avere un padre sulla terra per tutelare la mia esistenza di bimbo, di fanciullo, di giovane. Con questo ho voluto insegnarvi, sia ai figli che ai padri, quanto sia grande la figura morale del padre. Ma avere un Padre di perfezione assoluta, quale è il Padre che è nei Cieli, è dolcezza delle dolcezze, aiuto degli aiuti. Guardate a questo Padre-Dio con timore santo, ma sempre più forte del timore sia l’amore riconoscente per il Datore della vita in terra e in cielo.
“Sia santificato il Nome tuo”.
Con lo stesso movimento dei serafini e di tutti i cori angelici, ai quali e coi quali vi unite nell’esaltare il nome dell’Eterno, ripetete questa esultante, riconoscente, giusta lode al Santo dei Santi. Ripetetela pensando a Me che prima di voi, Io, Dio figlio di Dio, l’ho detta con venerazione somma e con sommo amore. Ripetetela nella gioia e nel dolore, nella luce e nelle tenebre, nella pace e nella guerra[1]. Beati quei figli che mai hanno dubitato del Padre e in ogni ora, in ogni evento, hanno saputo dirgli: “Sia benedetto il tuo Nome!” .
“Venga il tuo Regno”.
Questa invocazione dovrebbe essere il battito del pendolo di tutta la vostra vita, e tutto dovrebbe gravitare su questa invocazione al Bene. Perché il Regno di Dio nei cuori, e dai cuori nel mondo, vorrebbe dire: Bene, Pace, e ogni altra virtù. Scandite perciò la vostra vita di innumeri implorazioni per l’avvento di questo Regno. Ma implorazioni vive, ossia agire nella vita applicando il vostro sacrificio di ogni ora, perché agire bene vuol dire sacrificare la natura, a questo scopo.
“Sia fatta la tua Volontà come in Cielo così in terra”.
Il Regno del Cielo sarà di chi ha fatto la Volontà del Padre, non di chi avrà accumulato parole su parole, e poi si è ribellato al volere del Padre, mentendo alle parole anzidette. Anche qui vi unite a tutto il Paradiso che fa la Volontà del Padre. E se tale Volontà la fanno gli abitanti del Regno, non la farete voi per divenire, a vostra volta, abitanti di lassù? Oh! gioia che vi è stata preparata dall’amore uno e trino di Dio! Come potete voi non adoperarvi con perseverante volontà a conquistarla?
Chi fa la Volontà del Padre vive in Dio. Vivendo in Dio non può errare, non può peccare, non può perdere la sua dimora in Cielo, poiché il Padre non vi fa fare altro che ciò che è Bene, e che, essendo Bene, salva dal peccare, e conduce al Cielo. Chi fa sua la Volontà del Padre, annullando la propria, conosce e gusta dalla Terra la Pace che è dote dei beati. Chi fa la Volontà del Padre, uccidendo la propria volontà perversa e pervertita, non è più un uomo: è già uno spirito mosso dall’amore e vivente nell’amore.
Dovete, con buona volontà, svellere dal cuore vostro la volontà vostra e mettere al suo posto la Volontà del Padre.
Dopo avere provveduto alle petizioni per lo spirito, poiché siete poveri, viventi fra i bisogni della carne, chiedete il pane a Colui che provvede[2] di cibo gli uccelli dell’aria e di vesti i gigli del campo.
“Dacci oggi il nostro pane quotidiano”.
Ho detto oggi e ho detto pane. Io non dico mai nulla di inutile.
Oggi. Chiedete giorno per giorno gli aiuti al Padre. È misura di prudenza, giustizia, umiltà.
Prudenza: se aveste tutto in una volta, ne sciupereste molto. Siete degli eterni bambini e capricciosi per giunta. I doni di Dio non vanno sciupati. Inoltre, se aveste tutto, dimentichereste Iddio.
Giustizia: Perché dovreste avere tutto in una volta quando Io ebbi, giorno per giorno, l’aiuto del Padre? E non sarebbe ingiusto pensare che è bene che Dio vi dia tutto insieme, sotto-pensando con sollecitudine umana che, non si sa mai, è bene avere oggi tutto nella tema che domani Dio non dia? La diffidenza, voi a ciò non riflettete, è un peccato. Non bisogna diffidare di Dio. Egli vi ama con perfezione. È il Padre perfettissimo. Chiedere tutto insieme urta la fiducia e offende il Padre.
Umiltà: il dover chiedere giorno per giorno vi rinfresca nella mente il concetto del vostro nulla, della vostra condizione di poveri, e del Tutto e della Ricchezza di Dio.
Pane. Ho detto “pane” perché il pane è l’alimento-re, l’indispensabile alla vita. Con una parola e nella parola ho chiuso, perché li chiedeste tutti, tutti i bisogni della vostra sosta terrena. Ma come sono diverse le temperature della vostra spiritualità, così sono diverse le estensioni della parola.
“Pane-cibo” per coloro che hanno una spiritualità embrionale al punto che è già molto se sanno chiedere a Dio il cibo per saziare il loro ventre. Vi è chi non lo chiede e lo prende con violenza, imprecando a Dio e ai fratelli. Costui è guardato con ira dal Padre poiché calpesta il precetto[3] da cui vengono gli altri: “Ama il tuo Dio con tutto il tuo cuore, ama il tuo prossimo come te stesso”.
“Pane-aiuto” nelle necessità morali e materiali per chi non vive solo per il ventre, ma sa vivere anche per il pensiero, avendo una spiritualità più formata.
“Pane-religione” per coloro che, ancora più formati, antepongono Dio alle soddisfazioni del senso e del sentimento umano e già sanno muovere le ali nel soprannaturale.
“Pane-spirito, pane-sacrificio” a quelli che, raggiunta l’età piena dello spirito, sanno vivere nello spirito e nella verità, occupandosi della carne e del sangue solo quel tanto che è strettamente necessario per continuare ad esistere nella vita mortale, finché sia l’ora di andare a Dio. Questi hanno ormai scalpellato se stessi sul mio modello e sono copie viventi di Me, sulle quali il Padre si curva con abbraccio d’amore.
“Perdonaci i nostri debiti come noi li perdoniamo ai nostri debitori”.
Non v’è, nel numero dei creati, nessuno, eccetto mia Madre, che non abbia avuto da farsi perdonare dal Padre colpe più o meno gravi a seconda della propria capacità d’esser figli di Dio. Pregate il Padre che vi cancelli dal novero dei suoi debitori. Se lo farete con animo umile, sincero, contrito, piegherete l’Eterno in vostro favore.
Ma condizione essenziale per ottenere, per essere perdonati, è di perdonare. Se vorrete solo e non darete pietà al vostro prossimo, non conoscerete perdono dell’Eterno. Dio non ama gli ipocriti e i crudeli, e colui che respinge il perdono al fratello respinge il perdono del Padre a se stesso.
Considerate inoltre che, per quanto possiate essere stati feriti dal prossimo vostro, le vostre ferite a Dio sono infinitamente più gravi. Questo pensiero vi spinga a perdonare tutto come Io perdonai per mia Perfezione e per insegnare il perdono a voi.
“Non ci indurre in tentazione ma liberaci dal male”.
In tentazione Dio non vi induce. Dio vi tenta con doni di Bene soltanto, e per attirarvi a Sé.
Voi, interpretando male le mie parole, credete che esse vogliano dire che Dio vi induca in tentazione per provarvi. No. Il buon Padre che è nei Cieli il male lo permette, ma non lo crea. Egli è il Bene da cui sgorga ogni bene. Ma il Male c’è. Ci fu dal momento in cui Lucifero si aderse contro Dio. Sta a voi fare del Male un Bene, vincendolo e implorando dal Padre le forze per vincerlo.
Ecco cosa chiedete con l’ultima petizione. Che Dio vi dia tanta forza da sapere resistere alla tentazione.
Senza il suo aiuto la tentazione vi piegherebbe perché essa è astuta e forte, e voi siete ottusi e deboli. Ma la Luce del Padre vi illumina, ma la Potenza del Padre vi fortifica, ma l’Amore del Padre vi protegge, onde il Male muore e voi ne rimanete liberati.
Questo è quanto chiedete col Pater che Io vi ho insegnato[4]. In esso vi è tutto compreso, tutto offerto, tutto chiesto di quanto è giusto sia chiesto e dato. Se il mondo sapesse vivere il Pater, il Regno di Dio sarebbe nel mondo. Ma il mondo non sa pregare. Non sa amare. Non sa salvarsi. Sa solo odiare, peccare, dannarsi.
Ma Io non ho dato e fatto questa preghiera per il mondo che ha preferito essere regno di Satana. Io ho dato e ho fatto questa preghiera per coloro che il Padre mi ha dato perché sono suoi, e l’ho fatta affinché siano una cosa sola col Padre e con Me fin da questa vita, per raggiungere la pienezza dell’unione nell’altra.»
^^^^
Care amiche ed amici,
la 'catechesi' valtortiana sul 'Padre nostro' è terminata.
All'inizio pensavo che mi sarei tenuto uno spazio per fare qualche mio personale commento su quel 'Non ci indurre in tentazione…' come pure sul significato di quel '…ma liberaci dal male', vedo però che è già stato tutto divinamente spiegato, per cui lascio a voi ed agli esegeti e teologi trarre le conclusioni in merito all'esatto testo della preghiera del 'Padre nostro' che andrebbe inserita nei testi evangelici della Chiesa cattolica.


[1] nella pace e nella guerra. La scrittrice aggiunge a matita: spirituale).
[2] provvede…, come in Matteo 6, 26-30.
[3] precetto che è in Deuteronomio 6, 5(amore a Dio) e in Levitico 19, 18 (amore al prossimo) e che è ripreso in Matteo 22, 36-40; Marco 12, 28-31; Luca 10, 25-28.
[4] vi ho insegnato in Matteo 6, 7-15¸Luca 11, 1-4.



> 125. I dannati, una volta all'inferno, odiano per rabbia ed invidia persino i loro 'cari' in vita… che non vorrebbero potessero salvarsi.

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> 122. La morte è nata con l'uomo…, ma in realtà non è morte perché ci apre alla vera Vita.

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