Posted by Federico Cenci
on 17 January, 2017
Mancano
ancora tre giorni al 20 gennaio, data dell’insediamento di Donald Trump
alla Casa Bianca. Ma è già iniziata la battaglia del neo-presidente
degli Stati Uniti contro l’industria abortista Planned Parenthood.
Nel settembre scorso, nel vivo della campagna elettorale, il magnate newyorkese aveva lanciato una Pro-Life Coalition con le organizzazioni americane che si battono contro l’aborto. Di qui la promessa di approvare il Pain-Capable Unborn Child Protection Act,
legge che impedisce di praticare aborti su feti che già percepiscono il
dolore, finora bloccata dall’ostruzionismo dei democratici.
E infine aveva garantito che, una volta
eletto presidente, avrebbe negato i finanziamenti pubblici alla Planned
Parenthood. La più grande industria di aborti americana, colpita nell’estate 2015 da un grave scandalo legato al commercio di feti abortiti,
percepisce ingenti somme di denaro pubblico. Dopo aver ricevuto il
sostegno del presidente uscente Barack Obama e di Hillary Clinton,
Planned Parenthood potrebbe ora veder tramontare il suo eldorado.
Il repubblicano Paul Ryan, presidente
della Camera dei Rappresentanti, ha affermato che tale de-finanziamento è
incluso in un progetto di legge in discussione al Congresso.
La strada si preannuncia tuttavia
scoscesa. Secondo una relazione annuale presentata nei due rami del
Parlamento Usa, Planned Parenthood riceve finanziamenti da diverse fonti
governative.
Secondo l’organizzazione, il 75% dei finanziamenti deriva dalla Medicaid, un programma per pagare i servizi medici ai pazienti a basso reddito. Un’altra parte dei finanziamenti proviene dalla Title X Family Planning, programma governativo di sussidi per il controllo delle nascite delle famiglie povere.
Il nodo è proprio questo. La legge da cui
derivano i due programmi impedisce che possano essere modificati.
Tribunali federali hanno infatti bloccato alcuni Stati che avevano
deciso di metter mano alla Medicaid per lasciare la Planned
Parenthood a secco di risorse pubbliche. Chi è riuscito nell’intento è
invece il Texas, dove a seguito di questa iniziativa legislativa si è registrato un aumento dell’1,9% di nascite coperte dal servizio sanitario.
I repubblicani proveranno a seguire
l’esempio texano. Per farlo hanno bisogno di 51 voti al Senato, dove
attualmente ne possiedono 52. Il rischio è però forte, in quanto almeno
tre senatori repubblicani sarebbero tutt’altro che favorevoli ad
impugnare le armi contro l’industria abortista.
Invece non ha affatto intenzione di
abdicare la propria battaglia contro Planned Parenthood gran parte del
popolo americano. Oltre 5mila persone hanno partecipato sabato scorso
alla Walk for Life, una marcia che si tiene ogni anno in Nebraska per affermare il diritto alla vita.
Il vento che soffiava sui manifestanti
sferzava loro il viso e rappresentava simbolicamente il cambio di
mentalità che sta investendo gli Stati Uniti. Va interpretata così la
chiusura negli ultimi due mesi di cinque cliniche di Planned Parenthood,
tre in Pennsylvania e due in Massachusetts. Secondo il comunicato
stampa dell’organizzazione, il motivo va ricercato nel fatto che “le
esigenze dei pazienti sono cambiate”.