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I 'PENSIERI A VOCE ALTA'
DI GUIDO LANDOLINA
OTTO BUONE RAGIONI PER CREDERE IN SOLO… OTTO 'LEZIONI',
A MENO CHE 'NON SI VOGLIA' CREDERE…
(Sesta parte
di nove)
(Primo e quindici di ogni
mese)
1.11.2017
1. IO CREDO IN
DIO PADRE ONNIPOTENTE, CREATORE DEL CIELO E DELLA TERRA; 2. E IN GESÙ CRISTO,
SUO UNICO FIGLIO, NOSTRO SIGNORE, IL QUALE FU CONCEPITO DI SPIRITO SANTO,
NACQUE DA MARIA VERGINE, 3. PATÌ SOTTO PONZIO PILATO, FU CROCIFISSO, MORÌ E FU
SEPOLTO; DISCESE AGLI INFERI; 4. IL TERZO GIORNO RISUSCITÒ DA MORTE; SALÌ AL
CIELO, SIEDE ALLA DESTRA DI DIO PADRE ONNIPOTENTE,
5.
DI LÀ HA DA VENIRE A GIUDICARE I VIVI E I MORTI
6. CREDO NELLO
SPIRITO SANTO, 7. LA SANTA CHIESA CATTOLICA, LA COMUNIONE DEI SANTI, 8. LA
REMISSIONE DEI PECCATI, LA RISURREZIONE DELLA CARNE, LA VITA ETERNA. COSÌ SIA.
1. IL GIUDIZIO PARTICOLARE.
1.1 Il Giudizio particolare secondo la fede
cristiana.
Nel
corso delle nostre riflessioni sul Credo siamo arrivati ad un punto – e non è
questo un gioco di parole – che possiamo considerare di capitale importanza, insomma un
problema che non è esagerato definire ‘di
vita o di morte’.
Ricorderete l’episodio di uno dei due ladroni in croce - quello che viene chiamato ‘il buon ladrone’ e che, contrariamente
all’altro ladrone, chiede perdono per i propri peccati a Gesù?
Gesù, anch’Egli in croce, a sua volta gli risponde: ‘In verità ti dico oggi sarai con me in paradiso.’
Si chiamava Disma
– nell’Opera di Maria Valtorta che racconta anche le sue imprese… brigantesche
– ed è ricordato appunto anche dalla Chiesa come San Disma.
Perché mai però – da parte di Gesù - quel suo ‘oggi
sarai con me in Paradiso’?
Lo avete già immaginato: perché Gesù poco dopo sarebbe
morto sulla Croce e - ciò facendo - avrebbe adempiuto alla sua missione in
Terra ottenendo da Dio Padre la Redenzione degli uomini di buona volontà, con l’apertura delle porte del Paradiso - fino ad
allora serrate all’Umanità a causa del Peccato originale - anche al ladrone
perfettamente pentito.
Se una costante della Dottrina cristiana è quella del Giudizio universale alla fine del mondo
con la Resurrezione dei vivi e dei morti, è pure vero che il buon ladrone –
per poter entrare in Paradiso quello stesso giorno – deve aver anch’egli
affrontato di lì a poco, cioè dopo la sua morte, il Giudizio particolare
individuale che tocca a ciascun uomo.
Nel caso di Disma il Giudizio divino avrà tenuto conto
non solo del suo pentimento perfetto sulla croce ma anche di quella promessa
‘molto speciale’ fattagli dall’Uomo-Dio,
anch’Egli suo compagno di Croce, dove l’Innocente perdonava quel colpevole
pentito perché anche per lui Egli si era fatto crocifiggere.
Il Giudizio divino si basa sull’amore, e la destinazione
di ognuno - all’inferno, in purgatorio o direttamente in Paradiso - dipende dal
comportamento, in rapporto all’amore, che ciascuno di noi ha tenuto in vita,
una vita che è tanto più importante perché – se ben vissuta - è fucina di
preparazione alle Vera Vita dell’Aldilà: quella eterna.
E’ pur vero che si tratta di una vita fatta di
tribolazioni, di difficoltà nonché di combattimento contro gli istinti peggiori
del nostro ‘io’, ma proprio per questo dobbiamo amarla perché - se ben
combattuta – è proprio questa vita
terrena quella che ci fa guadagnare la Vita vera, eterna.
Contrariamente a quei teologi che con diverse
argomentazioni respingerebbero l’idea di
un giudizio immediato dopo la morte, il Magistero della Chiesa ha stabilito che le anime - subito dopo la
separazione dal corpo - sono giudicate secondo i loro meriti, per cui esse
entrano nella vita eterna: parte in Paradiso, parte in Purgatorio per la
necessaria purificazione, parte all’Inferno.
All’anima
separata dal corpo mortale – insegna sempre il Magistero – si deve attribuire una intuizione fulminea con la quale – singolarmente illuminata dalla
Grazia attraverso lo sguardo diretto del ‘Cristo-Giudice’ – essa si rende conto
della propria ultima ‘scelta’ di adesione o di rifiuto del Sommo Bene…, scelta
carica di una intera vita tessuta momento per momento nella corrispondenza o
nella resistenza all’amore di Dio, Giudizio al quale essa non si si può
sottrarre, percependo la valutazione più oggettiva, sincera ed esatta di sé con
tutti i meriti e le colpe.
E’ con questo Giudizio divino – che per certi versi si
può anche considerare come una sorta
di ‘auto-giudizio’ – che inizia per ciascuno di noi la vita eterna, con la
compiacenza per il bene operato oppure la disperazione per il male irrimediabile
commesso.[1]
Il Catechismo della Chiesa cattolica (1021-1022) così presenta da parte sua il Giudizio particolare (i
grassetti sono miei):
^^^^
« La morte
pone fine alla vita dell'uomo come tempo aperto all'accoglienza o al rifiuto
della grazia divina apparsa in Cristo.
Il Nuovo
Testamento parla del giudizio principalmente nella prospettiva dell'incontro
finale con Cristo alla sua seconda
venuta, ma afferma anche, a più riprese, l'immediata retribuzione che, dopo la morte, sarà data a ciascuno
in rapporto alle sue opere e alla sua fede.
La parabola del povero Lazzaro e la parola detta da Cristo in croce al buon ladrone così come altri testi
del Nuovo Testamento parlano di una sorte ultima dell'anima che può essere
diversa per le une e per le altre.
Ogni uomo fin
dal momento della sua morte riceve nella sua anima immortale la retribuzione
eterna, in un giudizio particolare
che mette la sua vita in rapporto a Cristo, per cui o passerà attraverso una purificazione, o entrerà
immediatamente nella beatitudine del cielo, oppure si dannerà immediatamente
per sempre.
"Alla
sera della vita, saremo giudicati sull'amore".
^^^^
Avevo accennato al fatto che fra i teologi vi è una
corrente di pensiero che tende a negare l’esistenza di un giudizio particolare
immediato dopo la morte e – citando io il Vangelo - avevo parlato qui
all’inizio dell’episodio del ‘buon ladrone’ dove le parole dettegli da Gesù
lasciavano pensare ad un giudizio con una ‘retribuzione’ immediata.
Lo stesso Catechismo qui sopra citato ne fa del resto
più autorevolmente cenno.
Il Catechismo accenna tuttavia
anche alla parabola del povero Lazzaro[2], che quindi riportiamo in nota, dalla quale pure risulta chiaro un giudizio particolare per cui Lazzaro
viene portato dagli angeli nel ‘seno di
Abramo’ mentre il ricco epulone viene relegato all’inferno: quindi tutto prima del Giudizio universale.
Ma nel caso la parabola
evangelica avesse lasciato ancora dei dubbi andiamo a vedere come Gesù, ne
‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’, ce la racconta (i grassetti sono i
miei):[3]
^^^^
(…)
Vi era
un tempo un uomo molto ricco. Le vesti più belle erano le sue, e nei suoi abiti
di porpora e di bisso si pavoneggiava nelle piazze e nella sua casa, riverito
dai cittadini come il più potente del paese, e dagli amici che lo secondavano
nella sua superbia per averne utile.
Le sue
sale erano aperte ogni giorno in splendidi banchetti in cui la folla degli
invitati, tutti ricchi, e perciò non bisognosi, si pigiavano adulando il ricco Epulone.
I suoi
banchetti erano celebri per abbondanza di cibi e di vini prelibati. Ma nella
stessa città vi era un mendico, un grande mendico. Grande nella sua miseria
come l'altro era grande nella sua ricchezza. Ma sotto la crosta della miseria
umana del mendico Lazzaro vi era
celato un tesoro ancor più grande della miseria di Lazzaro e della ricchezza
dell'Epulone. Ed era la santità vera di Lazzaro.
Egli
non aveva mai trasgredito alla Legge, neppure sotto la spinta del bisogno, e soprattutto aveva ubbidito al precetto
dell'amore verso Dio e verso il prossimo.
Egli,
come sempre fanno i poveri, si accostava alle porte dei ricchi per chiedere
l'obolo e non morire di fame. E andava ogni sera alla porta dell'Epulone
sperando averne almeno le briciole dei pomposi banchetti che avvenivano nelle
ricchissime sale. Si sdraiava sulla via, presso la porta, e paziente attendeva.
Ma se l'Epulone si accorgeva di lui lo faceva scacciare, perché quel corpo
coperto di piaghe, denutrito, in vesti lacere, era una vista troppo triste per
i suoi convitati. L'Epulone diceva così. In
realtà era perché quella vista di miseria e di bontà era un rimprovero continuo
per lui.
Più
pietosi di lui erano i suoi cani, ben pasciuti, dai preziosi collari, che si
accostavano al povero Lazzaro e gli leccavano le piaghe, mugolando di gioia per
le sue carezze, e giungevano a portargli gli avanzi delle ricche mense, per cui
Lazzaro sopravviveva alla denutrizione per merito degli animali, perché per
mezzo dell'uomo sarebbe morto, non concedendogli l'uomo neppure di penetrare
nella sala dopo il convito per raccogliere le briciole cadute dalle mense.
Un giorno Lazzaro morì. Nessuno se ne accorse sulla terra,
nessuno lo pianse. Anzi ne giubilò l'Epulone di non vedere quel giorno né poi
quella miseria che egli chiamava "obbrobrio" sulla sua soglia.
Ma in Cielo se ne accorsero gli
angeli. E al suo ultimo anelito, nella sua tana fredda e spoglia, erano
presenti le coorti celesti, che in un folgoreggiare di luci ne raccolsero
l'anima portandola con canti di osanna nel seno di Abramo.
Passò
qualche tempo e morì l'Epulone.
Oh! che
funerali fastosi! Tutta la città, che già sapeva della sua agonia e che si
pigiava sulla piazza dove sorgeva la sua dimora per essere notata come amica
del grande, per curiosità, per interesse presso gli eredi, si unì al cordoglio,
e gli ululi salirono al cielo e con gli ululi del lutto le lodi bugiarde al
"grande", al "benefattore", al "giusto" che era
morto.
Può
parola d'uomo mutare il giudizio di Dio?
Può
apologia umana cancellare quanto è scritto sul libro della Vita? No, non può. Ciò che è giudicato è giudicato, e ciò
che è scritto è scritto. E, nonostante i funerali solenni, l'Epulone ebbe lo
spirito sepolto nell'Inferno.
Allora,
in quel carcere orrendo, bevendo e mangiando fuoco e tenebre, trovando odio e
torture in ogni dove e in ogni attimo di quella eternità, alzò lo sguardo al
Cielo. Al Cielo che aveva visto in un
bagliore di folgore, in un atomo di minuto, e la cui non dicibile bellezza gli
rimaneva presente ad essere tormento fra i tormenti atroci.
E vide
lassù Abramo. Lontano, ma fulgido, beato... e nel suo seno, fulgido e beato pure egli, era Lazzaro, il povero
Lazzaro un tempo spregiato, repellente, misero, ed ora?... Ed ora bello della
luce di Dio e della sua santità, ricco dell'amore di Dio, ammirato non dagli
uomini ma dagli angeli di Dio.
Epulone
gridò piangendo: "Padre Abramo, abbi pietà di me! Manda Lazzaro, poiché
non posso sperare che tu stesso lo faccia, manda Lazzaro ad intingere la punta
del suo dito nell'acqua e a posarla sulla mia lingua per rinfrescarla, perché
io spasimo per questa fiamma che mi penetra di continuo e mi arde!
Abramo
rispose: "Ricordati, figlio, che tu avesti tutti i beni in vita, mentre
Lazzaro ebbe tutti i mali. E lui seppe del male fare un bene, mentre tu non
sapesti dei tuoi beni fare nulla che male non fosse. Perciò è giusto che ora
lui sia qui consolato e che tu soffra. Inoltre non è più possibile farlo. I santi sono sparsi sulla terra perché gli
uomini di loro se ne avvantaggino. Ma quando, nonostante ogni vicinanza, l'uomo
resta quello che è - nel tuo caso, un demonio - è inutile poi ricorrere ai
santi.
Ora noi
siamo separati. Le erbe sul campo sono mescolate. Ma una volta che sono falciate vengono separate dalle buone le
malvagie. Così è di voi e di noi.
Fummo insieme sulla terra e ci cacciaste, ci tormentaste in tutti i modi, ci
dimenticaste, contro l'amore. Ora siamo
divisi. Tra voi e noi c'è un tale abisso che quelli che vogliono passare da
qui a voi non possono, né voi, che lì siete, potete valicare l'abisso tremendo
per venire a noi. Epulone piangendo più forte gridò: "Almeno, o padre
santo, manda, io te ne prego, manda Lazzaro a casa di mio padre. Ho cinque
fratelli. Non ho mai capito l'amore neppure fra parenti. Ma ora, ora comprendo
cosa è di terribile essere non amati. E, poi che qui dove io sono è l'odio, ora
ho capito, per quell'atomo di tempo che
vide la mia anima Iddio, cosa è l'Amore. Non voglio che i miei fratelli
soffrano le mie pene. Ho terrore per loro che fanno la mia stessa vita. Oh!
manda Lazzaro ad avvertirli di dove io sono, e perché ci sono, e a dire loro che l'Inferno è, ed è atroce, e
che chi non ama Dio e il prossimo all'Inferno viene. Mandalo! Che in tempo
provvedano, e non abbiano a venire qui, in questo luogo di eterno
tormento".
Ma
Abramo rispose: "I tuoi fratelli hanno Mosè ed i Profeti. Ascoltino
quelli. E con gemito di anima torturata rispose l'Epulone: "Oh! padre
Abramo! Farà loro più impressione un morto... Ascoltami! Abbi pietà!".
Ma
Abramo disse: “Se non hanno ascoltato Mosè ed i Profeti, non crederanno nemmeno
ad uno che risusciti per un'ora dai morti per dire loro parole di Verità. E
d'altronde non è giusto che un beato
lasci il mio seno per andare a ricevere offese dai figli del Nemico. Il
tempo delle ingiurie per esso è passato. Ora è nella pace e vi sta, per ordine
di Dio che vede l'inutilità di un tentativo di conversione presso coloro che
non credono neppure alla parola di Dio e non la mettono in pratica”.
(…)
^^^^
Bene, inutile a questo punto che richiami la vostra
attenzione i vari passi che – nella parabola - confermano il giudizio e la retribuzione immediata, buona o brutta che sia.
1.2 Il Giudizio particolare è immediato e
definitivo. Non esiste possibilità di reincarnazione per potersi poi salvare in
una vita successiva: è un inganno satanico!
Da tutto quanto precede deduciamo che dopo la morte vi
è un giudizio con una destinazione spirituale definitiva (tranne Purgatorio e Limbo destinati a cessare al m
momento del Giudizio Universale) per cui non esiste un’altra vita terrena, cioè
la metempsicosi: questa teoria sulla trasmigrazione e reincarnazione delle
anime in un altro corpo, come – fraintendendo - si era domandato Nicodemo in
quel suo colloquio notturno con Gesù di cui parla il Vangelo di Giovanni,
quando Gesù gli aveva detto che per entrare nel Regno dei Cieli bisognava
‘nascere di nuovo’, intendendo però con ciò dire che si doveva non solo
rinascere nello spirito col lavacro del Suo Battesimo che avrebbe cancellato
quella macchia del Peccato Originale che impediva (ed impedisce tutt’ora) l’accesso
al Paradiso ma probabilmente anche rinnovarsi nello spirito modificando cioè
radicalmente i propri comportamenti.[4]
La credenza sulla reincarnazione, forse derivata da
altre religioni orientali, era una teoria abbastanza conosciuta del mondo pagano
pre-cristiano, greco-romano – a cultura ellenistica - dove essa era stata in
qualche modo accreditata anche da Platone.
Si tratta di teorie filosofiche, o anche credenze
religiose nella rinascita dell’anima o dello spirito di un individuo in un
altro corpo fisico di animale o di persona, del quale l’anima prenderebbe
possesso dopo la sua morte terrena.
Teorie fatte proprie specialmente dall’Ottocento in
poi dalle dottrine dello spiritismo
moderno.
Si tratta di favole molto pericolose perché producono
l’effetto di addormentare le coscienze nella illusione di una nuova vita in
terra e di un cammino – di vita in vita – verso quella che, senza alcun Giudizio né particolare né
universale da parte di Dio, ci sarebbe comunque
una salvezza, ottenuta praticamente come una sorta di avanzamento di
carriera senza merito ma per… anzianità.
Questa è infatti la dottrina dello spiritismo moderno
che – aggirando la questione del
Giudizio divino - sa esercitare un suo fascino perverso in così tante
decine di milioni di persone, in tutto il mondo, fra gli stessi cristiani.
Il cristiano ‘relativista’ - il cristiano ‘fai da te’
- si sente in tal maniera sicuro della salvezza finale senza eccessivi sforzi
quali invece vengono richiesti al cristiano vero che, per salvarsi, deve ‘volersi salvare’ usando violenza a se
stesso per contrastare il proprio ‘io’ snaturato dalle conseguenze del
Peccato originale nonché combattere contro le tentazioni del ‘mondo’.
Secondo la dottrina dello spiritismo, ogni volta
che l'anima abbandona il corpo morto dell'uomo in cui abitava, deciderebbe -
facendo una specie di esame di coscienza su quella che è stata la sua condotta
nella vita appena terminata - come dovrà ulteriormente perfezionarsi nella vita
successiva, e quindi l’anima stabilisce per conto proprio dove preferisce
andare a rinascere: ad esempio in una famiglia ricca, o povera, in un paese o
in un altro, quando magari continuare ad incarnarsi nell'ambito del proprio
stesso gruppo famigliare: futuri nipoti, pronipoti etc., al fine di poterli ‘aiutare’,
o aiutare anche - ad esempio - i propri genitori che si sarebbero a loro volta
incarnati in nipoti, pronipoti, etc. etc..
La ‘dottrina’ spiritista sulla reincarnazione sostiene che tutte le anime sono
destinate ad andare in Cielo, una volta che - di trasmigrazione in
trasmigrazione - esse si siano 'purificate', perché Dio è in ogni caso 'buono'
per definizione e non ci può quindi tenere responsabili per i peccati che
dipendono dalla natura umana, quella stessa natura che 'lui' stesso, in fin dei conti, ci ha dato...
Se quindi un'anima non riesce a purificarsi in una
vita, lo potrà fare comunque nelle vite successive.
La via mostrataci da Gesù è invece stretta ed erta, ma
è una strada che - percorsa con un poco di attenzione e buona volontà - porta
in realtà alla vera sicura salvezza.
1.3 La sensazione di aver già vissuto - in una
vita precedente - determinate situazioni che viviamo nella vita attuale: i
‘ricordi’ delle anime di quanto antevisto nell’attimo creativo.
Il Giudizio immediato particolare da parte
di Dio, il quale poi destina l’anima alla sua sorte fausta od infausta in base
a come si è comportata nella vita terrena, è dunque fondamentale per confutare
la dottrina della reincarnazione che
nega tale Giudizio definitivo sull’anima.
Tale dottrina –
ora, come due millenni fa - si basa talvolta su quello che viene definito come
il ‘ricordo’ di una vita precedente,
sensazione che umanamente si può provare quando una persona ha l’impressione di aver già vissuto
una determinata esperienza personale o di aver visto un determinato luogo o
conosciuto da qualche parte una certa persona.
L’argomento di
questi ‘ricordi’ è un argomento
molto interessante che emerge da una visione di Maria Valtorta descritta ne
‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’.
Il gruppo
apostolico - composto in quell'occasione dagli apostoli ma anche dal seguito
delle 'donne' di famiglia, parenti degli apostoli, nonché da alcune discepole
che i Vangeli ci mostreranno poi sulla salita del Calvario ed al momento della
Resurrezione di Gesù - è in marcia dopo essersi aggregato per ragioni di
sicurezza ad una carovana.
E' una fresca
sera di ottobre e la carovana, composta da tanti uomini e cammelli, si ferma
per la notte presso un gruppo di case, vicino ad una fonte, mentre apostoli e
donne - fra le quali anche Maria, la Mamma di Gesù - si ritirano al riparo in
una grossa stanza fumosa messa a loro disposizione.
Del gruppo fa
parte Sintica, una greca bella,
giovane e colta che - pagana e schiava di un romano – era fuggita ed era stata
accolta e nascosta nel gruppo apostolico facendosi poi 'discepola' e unendosi
in quel viaggio al seguito di Gesù.
Come per Claudia Procula, la moglie di Pilato
alla quale Gesù aveva tenuto in una certa casuale occasione una specifica
‘catechesi’ sull’anima e sulla sua sorte dopo la morte del corpo, anche per Sintica l'apprendere di avere un'anima
spirituale immortale era stata una sorpresa entusiasmante.
I discorsi
nello stanzone si intrecciano mentre si commentano anche gli insegnamenti di
Gesù impartiti - dialogando - durante il viaggio a piedi della giornata.
Un argomento
fra quelli discussi è appunto quello dell’insegnamento dato da Gesù sul fatto
che le anime - una volta infuse da Dio nell’Aldiqua nel concepimento umano – pur rimanendo ‘smemorate’ (a causa della
macchia che subito le segna) conservano inconsciamente un ricordo confuso
acquisito nell’attimo infinitesimale della creazione, insomma ricordano
qualcosa su quanto hanno visto mentre erano nell’eterno presente di Dio…
Sintica - che
vorrebbe saperne di più e continua a porre domande - si chiede allora se il
fatto, comune a molte persone, di 'ricordare' talvolta certi episodi come se li
avessero già vissuti, non abbia qualcosa a che vedere con la teoria della reincarnazione creduta da molti pagani.
Allora Gesù –
adattando la sua spiegazione e linguaggio alla cultura di una pagana - le dice in un bel dialogo[5]:
^^^^
(…)
«...Ascolta. Non devi credere che, perché gli spiriti
hanno spontanei ricordi di Verità, sia dimostrato che noi si vive più vite.
Ormai sai già abbastanza per sapere come fu creato l'uomo, come l'uomo peccò,
come fu punito.
Ti è stato
spiegato come nell'animale-uomo da
Dio sia incorporata un'anima singola.
Questa è creata
di volta in volta e non mai più usata per successive incarnazioni.
Questa certezza
dovrebbe annullare la mia asserzione sui ricordi delle anime.
Dovrebbe per
qualunque altro essere che non fosse l'uomo, dotato di un'anima fatta da Dio.
L'animale non può ricordare nulla, nascendo una volta sola.
L'uomo può ricordare, pur
nascendo una volta sola.
Ricordare con
la sua parte migliore: l'anima.
Da dove viene
l'anima? Ogni anima d'uomo? Da Dio.
Chi è Dio? Lo
Spirito intelligentissimo, potentissimo, perfetto.
Questa mirabile
cosa che è l'anima, cosa da Dio creata per dare all'uomo la sua immagine e somiglianza come segno indiscutibile della sua
Paternità Ss., risente delle doti proprie di Colui che la crea.
E’ dunque
intelligente, spirituale, libera, immortale, come il Padre che l'ha creata.
Essa esce perfetta dal Pensiero divino e nell'attimo della sua creazione essa
è uguale, per un millesimo di attimo,
a quella del primo uomo: una perfezione
che comprende la Verità per dono gratis dato.
Un millesimo di
attimo. Poi, formata che sia, è lesionata dalla colpa d'origine. Per
farti capire meglio dirò che è come se
Dio fosse gravido dell'anima che crea e che il creato, nel nascere, venisse
ferito da un segno incancellabile. Mi comprendi?».
« Sì. Finché è pensata, è
perfetta. Un millesimo d'attimo, questo pensiero creante. Poi, il pensiero tradotto in
fatto, il fatto è soggetto alla
legge provocata dalla Colpa ».
«Bene hai
risposto. L'anima si incarna perciò
così nel corpo umano, portando seco, quale gemma
segreta nel mistero del suo essere spirituale, il ricordo dell'Essere Creatore, ossia della Verità. Il bimbo
nasce. Può essere un buono, un ottimo come un perfido. Tutto può divenire,
perché è libero di volere.
Sui suoi
'ricordi' getta le luci il ministero angelico e le tenebre l'insidiatore.
A seconda che l'uomo appetisce alle luci, e perciò
anche a virtù sempre più grande, facendo l'anima signora del suo essere, ecco che si aumenta in lei la facoltà di
ricordare, come se sempre più la virtù assottigliasse
la parete che si frappone fra l'anima e Dio.
Ecco perché i virtuosi di ogni paese sentono la
Verità, non perfettamente, perché ottusi da contrarie dottrine o da ignoranze
letali, ma sufficientemente per dare pagine di formazione morale ai popoli ai
quali appartengono. Hai compreso? Sei persuasa? ».
« Sì. Concludendo: la
religione delle virtù praticate eroicamente predispone l'anima alla Religione
vera e alla conoscenza di Dio ».
« Proprio così.
E ora vai al riposo e sii benedetta. E tu pure, Mamma; e voi, sorelle e
discepole. La pace di Dio sul vostro riposo ».
^^^^
Fin qui
Gesù…, ma San Paolo – anche se nelle
sue Epistole parla un poco ‘difficile’- è invece ‘chiarissimo’ quando parla
‘fuori dai denti’ e pepatamente alla nostra mistica a proposito della reincarnazione.
Infatti
egli spiega in un Dettato a Maria Valtorta nel gennaio del 1944 (i grassetti
sono miei):[6]
^^^^
« Gli
antichi pagani ai quali io spezzavo il pane della Fede sembrano essere tuttora vivi, anzi essere ritornati, secondo la vostra credenza, a reincarnarsi con le loro antiche
teorie riguardo alla risurrezione e alla
seconda vita, tanto tuttora, e più che mai ora, dopo venti secoli di
predicazione evangelica, è incarnata e
incarnita nella vostra mente la teoria della reincarnazione.
Unica cosa che si
reincarni, questa vostra teoria che
rifiorisce come una muffa ad epoche alterne di oscuramento spirituale. Poiché, sappiatelo,
o voi che vi credete i più evoluti nello spirito, questo è il segno di un tramonto e non di un’aurora dello spirito.
Tanto più basso è il
Sole di Dio nei vostri spiriti e tanto più nell’ombra che sale si formano larve
e stagnano febbri e pullulano i portatori di morte e germinano le spore che
intaccano, corrodono, assorbono, distruggono la vita dello spirito vostro, come in
boschi iperborei dove di sei mesi è lunga la notte e fa delle boscaglie, piene
di vita vegetale e animale, delle morte zone simili a quelle di un mondo
spento.
Stolti! I morti non ritornano. Con nessun nuovo corpo.
Non vi è che una risurrezione: quella finale.
Non siete, no, non siete, voi fatti ad immagine e
somiglianza di Dio, dei semi che per ciclo alterno spuntano e si fanno stelo,
fiore, frutto, seme e, da seme, stelo, fiore, frutto.
Voi siete uomini, non erbe del campo. Voi siete
destinati al Cielo non alla stalla del giumento.
Voi possedete lo spirito di Dio,
quello spirito che Dio vi infonde per continua sua generazione spirituale che è
in rispondenza alla generazione umana di una nuova carne.
E che
credete voi? Che Dio, l’onnipotente, illimitato, eterno Iddio nostro, abbia un
limite nel suo generare?
Un limite
che gli imponga di creare un dato numero di spiriti e non più, di modo
che per continuare la vita degli uomini sulla terra, come commesso da emporio,
debba andare agli scaffali e cercare fra
gli ivi ammassati spiriti quello da riusare per quella data merce; o,
meglio ancora, credete che Egli sia come
uno scriba il quale riesuma una data pratica e cerchi un dato rotolo perché
è venuta l’ora di riusarlo a dar voce ad un evento?
O stolti, stolti, stolti! Voi non siete merci,
pergamene o semi. Voi siete uomini.
Il corpo,
come seme, cade, finito il suo ciclo, nella corruzione della
fossa.
Lo spirito
torna alla sua Fonte per essere giudicato se è vivo o putrido quanto la
carne, e a seconda del suo essere va al suo destino. Né più da quello esce altro che per chiamare ciò che fu suo ad una unica risurrezione, in cui chi
fu putrido in vita putrido perfetto diviene in eterno, con quello spirito
corrotto e quella corrotta carne che nella loro unica, sola, non ripetibile
vita, ebbero; e chi fu “giusto” in vita risorge glorioso, incorruttibile,
elevando la sua carne alla gloria
del suo spirito glorioso, spiritualizzandola,
divinizzandola, poiché per essa e con essa ha vinto ed è giusto che con essa
trionfi.
Qui siete animali ragionevoli per lo spirito che
possedete e che consegue la vita anche per la carne che esso vince.
Nell’altra vita sarete spiriti vivificanti la carne che ha
conseguito vittoria rimanendo soggetta allo spirito. Prima viene sempre la
natura animale.
Ecco l’evoluzione vera. Ma è unica.
Poi dalla natura animale, che ha saputo, per la triplice
virtù, rendere leggera se stessa, viene
la natura spirituale.
A seconda
che vivete in questa vita, tali sarete nella seconda.
Se in voi ha predominato
ciò che è celeste, conoscerete la natura di Dio in voi e possederete tale
natura poiché Dio sarà il vostro eterno possesso.
Se avrete avuto predominio terrestre, oltre la
morte conoscerete l’opacità, la morte, il gelo, l’orrore, la tenebra, tutto ciò
che è comune al corpo che viene calato nella fossa; con questa differenza: che
la durata di questa seconda, vera morte, è eterna.
Eredi di Dio per volere di Dio, non vogliate, o
fratelli, perdere questa eredità per seguire carne e sangue ed errore della
mente.
Io pure
errai e fui contrario alla Verità, fui persecutore del Cristo. Il mio peccato m’è
sempre presente, anche nella gloria di questo regno le cui porte me l’apersero il mio pentimento, la mia fede, il mio
martirio per confessare Cristo e la vita immortale. Ma quando la Luce mi
atterrò, facendosi conoscere, io abbandonai l’errore per seguire la Luce.
A voi la
Luce si è fatta conoscere attraverso a venti secoli di prodigi, innegabili
anche al più feroce negatore e al più ostinato. Perché dunque volete, voi
fortunati che avete per testimonianza di essa Luce venti secoli di divine
manifestazioni, perché volete voi
rimanere nell’errore?
Io, testimonio di Cristo, ve lo giuro. Non la carne né il sangue possono ereditare
il regno di Dio, ma unicamente lo spirito. E, come è detto nel
Vangelo di Gesù Signore nostro, non
sono i figli di questo secolo - intendete, o fratelli, che qui “secolo”
sta a significare coloro che sono nel mondo, ossia i terrestri - quelli
destinati a risorgere ed a risposarsi avendo una seconda vita terrena.
Solo risorgeranno coloro che sono degni del secondo secolo, dell’eterno, quelli cioè che
non potranno più morire essendo già
vissuti, ma che, per avere conseguito la vita spirituale ed essere divenuti simili agli angeli e
figli dell’Altissimo, non hanno più fame
di nozze umane, desiderando col loro spirito un solo coniugio: quello con Dio-Amore; un solo possesso: quello di Dio; una sola dimora: quella del Cielo; una sola vita: quella nella Vita.
Amen, amen, amen!
Dico a voi: credete per conseguirla.»
^^^^
E dopo aver ascoltato e scritto quanto sopra, così
Maria Valtorta lo commenta:
^^^^
E così è venuto anche S. Paolo. Alla grazia! Che
uragano! Non mi stupisco che abbia travolto, sotto la veemenza della sua
parola, anche gli ateniesi abituati ai loro oratori! Se Giovanni è sospiro di
vento profumato di cielo, Paolo è ciclone carico di tutti gli elementi atti a piegare
le più proterve cime.
Credo che il ciclo sia chiuso. E se tutto questo
concerto di note non penetra in loro (……) non so cosa più potrà penetrare.
Avevo desiderato un dettato in merito da mesi e mesi. Ho atteso. Ma ne
ho avuti sette e, se io fossi
al posto di taluni, mi parrebbe d’essere come un topo in trappola o uccello
nella rete. L’evidenza mi stringerebbe da tutti i lati.
Che proprio parlasse anche S. Paolo non me
l’aspettavo.
Ora ho le spalle rotte e mi riposo guardando con
l’anima la Divina Colomba d’oro e sentendo Maria al mio fianco. La sua parola
mattutina mi continua a cantare in cuore.
^^^^
La prossima riflessione sulla nostra quinta
affermazione del Credo sarà dedicata a:
2. GIUDIZIO DIVINO SUI CRISTIANI E SUI PAGANI NON
BATTEZZATI.
2. GIUDIZIO DIVINO SUI CRISTIANI E SUI PAGANI NON
BATTEZZATI.
2.1 Non giudicare il prossimo se non si vuole
essere ‘giudicati’ più severamente da Gesù.
Il
Credo dice dunque che Gesù Cristo – dopo essere salito al Cielo dove siede alla
destra di Dio Padre Onnipotente - verrà a giudicare i vivi e i morti.
Mentre
il primo giudizio alla morte del corpo – lo abbiamo visto nel capitolo
precedente - è individuale e solo
sullo spirito, il secondo giudizio universale riguarderà invece anche la
‘carne, ed è collettivo e solenne, sia
nel Bene che nel Male.
Il
giudizio particolare è dunque l’anteprima
di quello finale.
In
entrambi i casi – come si evince anche dalla parabola del povero Lazzaro e del
ricco Epulone - saremo comunque giudicati sull’Amore che avremo saputo
manifestare in vita.
Amore
verso Dio e – di conseguenza – verso il prossimo, due comandamenti nei quali è
racchiusa tutta la Legge mosaica e la dottrina di Gesù.
Approfondiamo
dunque la riflessione sul Giudizio perché il ‘metro’ di quello particolare non
sarà diverso da quello collettivo, venendo noi giudicati – già al momento della
nostra morte - in maniera irreversibile.
Per non essere ‘giudicati’ più
severamente da Gesù è però innanzitutto necessario cominciare con il non
giudicare il prossimo.
Nel primo versetto del Cap. 2 della sua
Epistola ai Romani[7],
San Paolo aveva invitato gli uomini a guardarsi bene dal giudicare le colpe
altrui se poi - sapendo che di colpe si tratta, e soprattutto molto gravi -
essi commettono le stesse colpe.
Infatti, questo voler giudicare gli altri quando poi ci si rende responsabili delle stesse colpe è a sua volta una colpa ancora maggiore che ci rende
– come dice San Paolo - 'inescusabili' agli occhi di Dio perché si erra in piena coscienza e ci si comporta
inoltre da ipocriti che si prendono
gioco del Signore.
Ecco però – sempre a proposito di
Giudizio di Dio - come lo Spirito Santo,
in un Dettato[8]
alla mistica Valtorta - commenta i successivi versetti 2, 2-8 già trascritti in
nota dell’Epistola ai Romani di San Paolo (i grassetti sono miei):
^^^^
11-1-48
Ai Romani, cap. II, v. 2 sino
all'8°.
Dice il Ss. Autore:
«Il giudizio di Dio è secondo
verità. Sia per chi è reprobo, come
per chi è tiepido, come per chi arde di purissimo amore sino al
sacrificio.
Non il censo, o la veste, o la condizione, o la posizione, altereranno il
giudizio di Dio.
Non lo confonderanno i ripieghi e
gli scenari messi ad ingannare gli uomini, non le ipocrisie, non gli impuri
atti di bontà, di fede, di onestà, di amore.
Le parole del Maestro sono sempre
vive e giuste, sia quando dicono: "Non soltanto chi dice 'Signore,
Signore' entrerà nel regno dei Cieli"[9],
come quando fa il parallelo fra il pubblicano e il fariseo[10],
sia quando dà il mirabile codice della Nuova Legge col discorso della montagna.[11]
Non c'è mutazione di legge per mutar dei tempi.
E non ci sarà diversità di
giudizio, perché sempre secondo verità e giustizia Dio giudicherà.
E più ancora sarà giudicato colui che è deputato a giudicare o si arroga il diritto di farlo.
Più giudicato, perché più sarà
chiesto a chi più ha conosciuto della Legge.
E più giudicato perché è detto: "Non giudicate per non essere
giudicati" [12].
Siate piccoli! Siate piccoli, o
voi che Io amo. Se lo sarete, Io vi insegnerò la Sapienza. Ve la insegnerò col
mio amore. Perché, sappiatelo, la Sapienza si impara più per amore che per
istruzione. Io che vi amo, voi che mi amate, siamo lume a capire le parole
della Sapienza, che senza luce d'amore, ma per sola coltura, restano oscure in
tutto o in parte.
Per questo mai finirà di gridare
l'Amore: "E' per la carità che avrete salute e pace"[13]. Poiché chi ha carità non
disprezza le ricchezze della bontà divina, della sua pazienza e tolleranza; chi
ha carità ama la penitenza, non giudica, non condanna, non dà scandalo, non
diviene tiepido o freddo, o sozzo di corruzione.
Chi ha carità disarma il cuore di Dio anche per quanto gli avviene di
colpevolezza.
Dio perdona a chi lo ama e gli
piange in grembo, e non solo darà a ciascuno secondo le opere, sempre
imperfette, dell'uomo, ma tenendo conto
del suo amore che sovente è più grande della sua capacità di far bene.
Anche il desiderio di perfezione sarà calcolato, quando sarà un desiderio
attivo, ossia un vero desiderio che non si compie perfettamente soltanto perché
la creatura non ha la capacità di compierlo.
Dio vede. Realmente vede. E vede
come può vedere Iddio perfettissimo: con perfezione che non si ferma alle
apparenze. E con perfezione giudica dopo paziente attesa.»
^^^^
Mettendo a fuoco e rielaborando i concetti.
Dio giudica secondo verità i buoni, i tiepidi e i cattivi.
E giudica senza alcun riguardo alle apparenze e allo stato sociale delle
persone e nemmeno - scrutando Egli i cuori - si lascia ingannare dalle
ipocrisie degli uomini.
Il suo giudizio inoltre non cambia,
perché la Legge divina - proprio in quanto divina - è una verità che ha valore assoluto ed è quindi immutabile anche se in particolari
momenti della storia umana dovessero mutare abitudini sociali e ‘valori’.
Il nostro giudizio nei confronti del
prossimo è dunque sostanzialmente una mancanza di misericordia ed è dunque bene
non giudicare, se poi non si vuole essere a propria volta giudicati da Dio con
analoga mancanza di misericordia.
Inoltre saranno giudicati da Dio ancor
più severamente coloro che - in questa
vita - hanno il compito di giudicare gli altri o che si arrogano il diritto di farlo.
Grande è ad esempio la responsabilità
dei Giudici i quali – in terra – dovrebbero avere il delicatissimo compito di
surrogare – ma con vera giustizia - la Giustizia divina.
Non bisogna inoltre giudicare il
prossimo perché bisogna sapere essere 'piccoli', cioè umili, perché è nell'umiltà che sta l'Amore e quindi
la Sapienza.
Peraltro chi sa amare 'disarma' Dio
che, a quel punto, è disposto a perdonare anche le sue colpe. In tal caso,
infatti, Dio non solo ricompenserà l'uomo che dimostra di amare fattivamente
attraverso le proprie opere, che sarebbero comunque imperfette, ma - tenendo
conto del suo amore che è più grande
della sua capacità di fare il bene -
Dio, più che della capacità dell'uomo di fare il bene, terrà conto del suo desiderio attivo di farlo.
Ciò, appunto, perché Dio - come detto
all'inizio - non si lascia ingannare dalle
apparenze e, anche dopo una paziente attesa per dare tempo all’uomo di
pentirsi, sa giudicare con perfezione.
Lo Spirito Santo ci dice che non
dobbiamo giudicare anche perché l'uomo è imperfetto: infatti egli - pur conoscendosi - non sa giudicare se
stesso perché si giudica sempre migliore di quanto non sia, e figuriamoci
allora se sa giudicare gli altri che non
conosce, basandosi per di più sulle
apparenze se non sui propri
pregiudizi.
Il giudizio - in questa situazione –
non solo quasi mai è perfetto ma praticamente non è mai caritatevole.
Esso si traduce quindi in una mancanza
d'amore, e dove manca l'Amore non c'è Dio e - nello spazio lasciato libero -
subentra l'Altro.
Gesù - pur essendo Uomo-Dio - era umile
e nel suo Discorso della Montagna aveva elogiato i 'mansueti'.
Chi non giudica è sostanzialmente
umile, e quindi ama perché – come
già sopra detto - dove c'è umiltà c'è amore.
Chi, seguendo l’impulso del proprio
‘io’ animale, vorrebbe giudicare ma
rinuncia a farlo per non contravvenire all'amore, compie dunque un atto di violenza nei confronti del
proprio 'io' che invece vorrebbe soddisfare la propria 'passione', conseguenza
del Peccato originale.
Pertanto, se l’uomo umile che ama in maniera 'naturale' è un 'mansueto' - e in quanto tale è un prediletto da Dio - chi per propria natura non lo sarebbe - ma
fa invece violenza a se stesso - è un 'forte', ed è con la violenza al proprio ‘io’ - ci ha insegnato Gesù - che si
conquista il Regno dei Cieli.
Anche questa autoviolenza è un atto di
amore perché - esercitata contro le proprie pulsioni più profonde - si traduce
in una sorta di autoflagellazione: in sostanza in un piccolo 'martirio'.
Sempre però a proposito del ‘non
giudicare’, ricordo tuttavia anche un altro brano valtortiano dove questa volta
ad accennare a questo tema è Gesù.
Egli, sempre in viaggio con gli
apostoli per evangelizzare, fa sosta in un borgo vicino alla cittadina di Ippo, sul Lago di Galilea
(Tiberiade/Genezareth).
Egli compie tanti miracoli di
guarigione e gli abitanti lo ascoltano, ospitano lui e gli apostoli rimanendo
entusiasti per i suoi insegnamenti.
Gesù tiene anche un discorso molto
importante sulla famiglia, sul ruolo e comportamento dell’uomo verso la moglie e
viceversa, sulla stessa sessualità nel matrimonio ed infine sui doveri verso i figli.
Quindi chiede il permesso agli astanti
di dire una cosa non pertinente al discorso in generale ma che è utile che
tutti tengano comunque presente.
Cito qui solo questo piccolo brano che
– anche se non era strettamente ‘pertinente’ al discorso sulla famiglia che
Gesù stava facendo, lo invece è per il discorso che ‘noi’ stiamo facendo sul
‘non giudicare’: [14]
^^^^
(…)
«…Vegliare
sui figli e sulle figlie,
amorosamente correggere, sorreggere, far meditare, e tutto senza preferenze;
perché i figli sono tutti nati da un seme e da un seno e, se è naturale che
siano benvoluti, per la gioia che danno, i figli buoni, è anche doveroso che siano amati, anche se di un amor doloroso, i figli
non buoni, ricordando che l'uomo non deve essere più severo di Dio, il quale
ama non solo i buoni ma anche i non buoni, e li ama per vedere di farli
buoni, di dare loro modo e tempo a divenirlo, e sopporta fino alla morte
dell'uomo, riservandosi di essere giusto Giudice quando l'uomo non può più
riparare.
E qui
lasciate che Io vi dica una cosa che non è inerente al discorso, ma che è utile
che voi abbiate presente.
Molte volte, troppe, si sente dire che
i malvagi hanno più gioia dei buoni e che ciò non è giusto. Prima di tutto vi dico: "Non giudicate
le apparenze e ciò che non conoscete".
Le apparenze sono sovente fallaci e il
giudizio di Dio è occulto sulla Terra. Conoscerete dall'altra parte, e vedrete che il transitorio benessere del malvagio
fu concesso come mezzo per attirarlo al Bene e come sconto di quel poco di bene
che anche il più malvagio può fare.
Ma, quando vedrete le cose nella luce
giusta dell'altra vita, vedrete che, più
breve della vita del filo d'erba nato a primavera nel greto di un torrente
che l'estate dissecca, è il tempo di
gioia del peccatore, mentre un solo attimo di gloria nel Cielo è, per la
gioia che comunica allo spirito che ne gode, più vasto della più trionfale vita
di uomo che mai sia stata.
Non invidiate perciò la prosperità del
malvagio, ma cercate, con buona volontà, di giungere a possedere il tesoro
eterno del giusto.»
(…)
^^^^
2.2 I differenti criteri del Giudizio divino.
Gesù – lo abbiamo già detto - insegnava
a Nicodemo che per ottenere il Regno dei
Cieli (Battesimo a parte) bisognava ‘rinascere di nuovo’.
Reincarnazione? No, Gesù intendeva:
rinascere nello spirito, combattendo appunto contro il proprio io, perché Dio –
a partire dal Nuovo Testamento - non vuole più sacrifici di messi o di vittime
animali ma l'immolazione del proprio
'io'.
Amando Dio con il rispettare i suoi
dieci comandamenti, anziché abbandonarci ai nostri impulsi peggiori, siamo così
noi stessi che - combattendo contro
il nostro 'io' - ci offriamo vittime
sull'altare di Dio riscattando in tal
modo i nostri peccati.
Il primo esempio ce lo ha dato proprio
Gesù che - Uomo-Dio - si è offerto alla Croce quale Vittima Innocente, per
ottenere in riscatto dal Padre la Redenzione dell'Umanità con la riapertura
delle porte del Paradiso agli uomini di buona volontà.
Dobbiamo dunque rinunciare a giudicare,
respingendo persino la tentazione mentale, lasciando ogni giudizio a Dio.
A noi pare che spesso Egli non
intervenga per punire i 'cattivi', ma in realtà Egli – come già accennato e qui
lo ripeto - concede solo tempo, il tempo di pentirsi - perché Egli vorrebbe
tutti salvi - salvo poi venire a giudicare in occasione del Giudizio particolare.
Nel Giudizio, Dio terrà misericordiosamente conto delle
‘attenuanti’, perché la Misericordia è uno dei suoi attributi ma - anche se Dio
è Amore - Egli è anche Giustizia, e il venir meno alla Giustizia per un eccesso di Misericordia sarebbe
un far torto, e quindi una mancanza di
amore, nei confronti di chi con sacrificio si è comportato in vita da
giusto.
Il tema
del Giudizio divino – e quindi della condanna o del perdono - è tuttavia troppo
importante e vitale per ‘liquidarlo’ con pochi concetti. Ci riguarda
personalmente, in esso è contenuto il nostro destino eterno.
E’ per
questa ragione che l’ispirato San Paolo, sempre nella sua lettera ai Romani, vi
dedica particolare rilievo.[15]
San Paolo è uno ‘scrittore’ non facile
da capire, piuttosto ‘ermetico', e per poterlo comprendere meglio è necessaria
una certa preparazione e conoscenza non solo della Dottrina cristiana ma anche
del vero significato dei termini che usa, pena il rischio di incorrere in
malintesi.
Egli, in origine allievo rabbinico di
grande preparazione teologica e filosofica, ha saputo illustrare talmente bene
la Dottrina cristiana al punto che taluni asseriscono essere stato lui il vero 'fondatore' del Cristianesimo.
Si tratta di una assurdità detta da
persone che in molti casi si propongono di denigrare Gesù Cristo mettendolo un
gradino sotto San Paolo e ridimensionando così la figura di Gesù-Uomo-Dio a
quella di un semplice ‘uomo’, anche se, ‘magnanimamente’, costoro gli danno
atto di essere stato un grande ‘saggio’…
Si tratta in realtà dello stesso tipo
di persone – di norma ‘teologi’ modernisti - che hanno anche poi messo in
dubbio che Gesù sia mai storicamente esistito o asserendo che - se esistito
–Egli sia stato idealizzato e 'fatto Dio' - magari anche in buona fede - dai
suoi primi ‘fanatici’ seguaci.
Lo scopo finale è insomma quello di
ridurre la Religione cristiana a una dimensione umana e non più divina e quindi
una religione più o meno come le altre, anche se magari - loro benevola
concessione… - si può riconoscere che essa è la più 'evoluta', sottintendendo con questo termine una visuale
evoluzionista per indicare che anche il Cristianesimo è una religione del tutto
umana destinata ad ‘evolversi’ con l’evoluzione dei costumi della società.
Lo Spirito
Santo, parlando del Giudizio di Dio,
e commentando il brano della lettera ai Romani di San Paolo citata prima in
nota, dice:[16]
^^^^
Lezione 9
16 gennaio 1948
Ai Romani, cap. II, v. 12. Dice il
Ss. Autore:
«La grande misericordia di Dio
risplende ancor più luminosamente infinita nelle parole di Paolo che, ispirato,
proclama come unicamente coloro che non
riconoscono nessuna legge - né naturale, né soprannaturale, né ragionevole -
periranno, mentre quelli che hanno conosciuto la Legge e non l'hanno praticata, dalla stessa Legge, che salva, saranno
condannati; e ancora: che i Gentili,
che non hanno la Legge, ma naturalmente
e ragionevolmente fanno ciò che la Legge a loro sconosciuta prescrive -
dandosi, per solo lume di ragione, rettezza di cuore, ubbidienza alle voci
dello Spirito, sconosciuto ma presente,
unico maestro al loro spirito di buona volontà, ubbidienza a quelle ispirazioni
che essi seguono perché la loro virtù le ama, e non sanno di servire
inconsapevolmente Dio - che questi
Gentili, che mostrano con le loro azioni che la Legge è scritta nel loro cuore
virtuoso, nel giorno del Giudizio saranno giustificati.
Osserviamo queste tre grandi categorie, nel giudizio
divino delle quali risplendono misericordia e giustizia perfette.
Coloro che non riconoscono nessuna legge né naturale, né umana, e perciò
ragionevole, né sovrumana.
Chi sono? I selvaggi?
No. Sono i luciferi della Terra. E il loro numero cresce sempre più col
passare dei tempi, nonostante che civiltà e diffusione del Vangelo,
predicazione inesausta di esso, dovrebbero far sempre più esiguo il loro
numero. Ma pace, ma giustizia, ma luce, sono promesse agli uomini di buona
volontà[17]. Ed essi sono di mala
volontà.
Sono i ribelli ad ogni legge,
anche a quella naturale. Perciò inferiori ai bruti.
Rinnegano volontariamente la loro
natura di uomo: essere ragionevole dotato di mente e di anima. Fanno cose
contro natura e contro ragione. Non meritano più che di perire di fra il numero
degli uomini che son creati a immagine e somiglianza di Dio[18],
e periranno da come uomini per prendere la loro voluta natura di demoni.
Seconda categoria: gli ipocriti, i falsi, coloro che irridono Dio, avendo
la Legge, ma avendola solo, non praticandola.
E può allora dirsi di averla
veramente e trarne benefici? Simili a coloro che possiedono un tesoro ma lo
lasciano inoperoso e incustodito[19], essi non ne traggono
frutti di vita eterna, gaudi immediati al loro morire, e Dio li condannerà
perché ebbero il dono di Dio e non ne
usarono con riconoscenza al Donatore che li aveva messi nella parte eletta
dell’Umanità: in quella del Popolo suo perché segnato del segno cristiano.
Terza
categoria: i Gentili.
Al tempo d’oggi diamo tale qualifica a quelli che non sono cristiani cattolici.
Chiamiamoli così, mentre meditiamo le parole di Paolo.
Essi, che non
avendo la Legge fanno naturalmente ciò che la Legge impone ‑ e son legge a se
stessi mostrando così come il loro spirito ami la virtù e tenda al Bene supremo
‑ essi, quando Dio giudicherà per
mezzo del Salvatore le azioni segrete degli uomini, saranno giustificati.
Sono molti, costoro. Un
numero grande. E sarà la folla immensa...
di ogni nazione, tribù, popolo, linguaggio, sulla quale, nell’ultimo giorno, per i meriti infiniti del Cristo immolato sino
all’estrema stilla di sangue e di umore, verrà impresso il sigillo[20]
del Dio vivo a salvezza e premio prima
dell’estremo inappellabile giudizio.
La loro virtù, la loro
spontanea ubbidienza alla legge di virtù, li avrà battezzati senza altro
battesimo, consacrati senza altro crisma che i meriti infiniti del Salvatore.
Il
Limbo non sarà più dimora dei
giusti. Così come la sera del Venerdì
Santo[21]
esso si svuotò dei suoi giusti, perché
il Sangue versato dal Redentore li aveva detersi dalla macchia di origine,
così alla sera del Tempo[22]
i meriti del Cristo trionfante su ogni nemico li assolverà dal non essere stati del suo gregge per ferma fede di essere nella religione giusta, e li
premierà della virtù esercitata in vita.
Se così non
fosse, Dio farebbe frode a questi giusti che si dettero legge di giustizia e
difesero la giustizia e la virtù. E Dio non defrauda mai. Lungo talora a
compiersi, ma sempre certo il suo premio.»
^^^^
Rielaborando
anche in questo caso
quanto sopra scritto:
- Periranno all'Inferno solo coloro che non
vogliono riconoscere alcuna legge, né naturale, né soprannaturale, né della
ragione.
- Per altro verso, coloro che hanno conosciuto la Legge, cioè la
Dottrina Cristiana, e non hanno voluto
metterla in pratica, saranno condannati
da quella stessa Legge, fatta per salvarli, che essi hanno invece
disprezzata.
Il concetto viene quindi approfondito
individuando tre categorie:
1)
I pagani che
non hanno conosciuto la Legge ma in maniera naturale e usando la ragione
fanno per rettezza di cuore - e
ascoltando la voce della propria
coscienza - quanto viene prescritto dai dettami della stessa (pur non essendo consapevoli di fare la
volontà di Dio ma dimostrando di rispettare la legge incisa da Dio nelle
loro coscienze o meglio nel loro spirito) saranno
‘giustificati’ nel giorno del Giudizio universale.
2)
Coloro che invece non
intendono rispettare alcuna legge - né naturale né umana, né soprannaturale
- sono uomini di cattiva volontà,
ribelli persino alla legge naturale dei dieci Comandamenti che Dio ha inciso
nelle loro anime. Per costoro è dunque
giusta la condanna eterna.
3)
Coloro che invece hanno conosciuto la
legge cristiana ma non hanno voluto
praticarla, sprecando così il
'talento' ricevuto, verranno condannati.
Lo Spirito Santo – quanto ai pagani non
battezzati - chiarisce ancora:
·
i pagani - che non hanno conosciuto la legge
cristiana, ma hanno invece fatto di
propria iniziativa ciò che la Legge impone - dimostrano in tal modo che il
loro spirito tende istintivamente a
Dio e che essi sono dei 'giusti'. Dio scruta infatti nei loro cuori e, quando
Gesù giudicherà le azioni segrete degli uomini, essi saranno perdonati. Questi
ultimi, i pagani non battezzati,
sono una moltitudine sterminata di
ogni nazione, tribù, popolo, lingua che - nell'ultimo
giorno, vale a dire quello del Giudizio universale - verranno giudicati,
perdonati e salvati grazie ai meriti
infiniti del Sangue di Gesù Cristo
che verrà impresso come un sigillo su di loro a premio del loro comportamento
'cristiano' pur non essendo essi mai stati cristiani.
·
Se
per i cristiani è il Battesimo che -
se sono di buona volontà - apre loro le porte del Paradiso subito dopo la loro
morte o dopo l’espiazione in Purgatorio, per
i pagani che senza saperlo si sono comportati secondo gli insegnamenti di
Gesù Cristo, il loro 'battesimo' -
anche se alla fine del mondo - sarà
costituito dalle loro virtù,
consacrati dal Crisma dei meriti del Salvatore.
·
Alla fine del Tempo i giusti pagani, pur non essendo stati
battezzati ma avendo essi avuto una
ferma fede di appartenenza alla loro religione da essi ritenuta 'giusta', grazie
ai meriti infiniti del Salvatore verranno assolti per la virtù da loro esercitata in vita e accederanno trionfalmente
al Paradiso.
·
Né
potrebbe essere altrimenti perché in caso contrario Dio avrebbe frodato quei
giusti non cristiani che seppero essere virtuosi e darsi norme di comportamento
giusto.
In Cielo, dunque, anche se non
battezzati?
Sì, ma solo dopo il Giudizio
Universale”, perché il premio di Dio può arrivare tardi, ma è sempre certo.
San Paolo nella sua lettera ai romani
precedentemente citata in nota esprime dunque un concetto fondamentale, e cioè
- indipendentemente dalla religione
professata – Dio, nell’emettere il Suo Giudizio collettivo alla fine della
Storia umana, salverà tutti coloro che avranno voluto fare il bene.
2.3 Ancora una riflessione su Purgatorio e
Limbo.
Ora, riflettendo insieme, se appare relativamente chiara la sorte
nell’Aldilà, cionondimeno devo dire che non di rado mi vengono dei dubbi.
Infatti l’Opera valtortiana è
‘semplice’ da leggere perché il suo ‘linguaggio’ è quello di un Dio che scende
al livello intellettuale di noi ‘umani’ per rendersi comprensibile, ma nello
stesso tempo non è facile perché tante ‘spiegazioni’ pur di livello
intellettuale e spirituale elevato non esauriscono quel determinato argomento
ed altri aspetti che lo concernono vengono trattati anche da ‘Persone’ diverse
- come Gesù, lo stesso Spirito Santo, per non parlare dell’Angelo Custode
Azaria – e nel quadro di circostanze diverse.
Quindi, per cercare di capire di più, è
necessario ricorrere a quello che io chiamo - con termine giuridico - come il
‘combinato disposto’ di più articoli di legge che fra essi si integrano e si
completano per rendere chiara l’interpretazione di una determinata norma.
Ad esempio c’è un altro episodio dove
si tratta del Limbo e delle varie dimore dell’Aldilà alle quali – dopo il
giudizio particolare - le anime vengono destinate.
Lo traggo da ‘L’Evangelo come mi è
stato rivelato’.[23]
Innanzitutto vi riassumo l’antefatto.
Una donna di Cafarnao, di nome Meroba,
è madre di Alfeo e di altri due bambini che non ama e tratta anche male.
Rimasta vedova si è risposata e attende un bambino.
Maria SS., con Gesù, le chiede di
lasciarle Alfeo per qualche giorno e la donna acconsente ma di mala grazia. Il
piccolo viene dunque temporaneamente ‘adottato’ dal gruppo di apostoli ed
alcune loro parenti e discepole che in quel periodo si erano aggregate a Gesù.
Una certa Sara, ricca vedova con emporio e terre ad Afec nella Decapoli,
incontra le discepole con Gesù ed il piccolo Alfeo presso la cittadina di Ippo.
Lei si mette al seguito del gruppo
apostolico che – giunto presso la cittadina di Afec, dove lei risiede – viene
invitato al completo a casa sua. Sara – che desiderava ardentemente un figlio –
spera in cuor suo che Gesù le affidi in adozione il bambino.
Gesù ovviamente non può farlo,
dovendolo restituire alla legittima madre, ma anche giudicando che le ricchezze della vedova – dalle quali
lei pare essere assai poco distaccata - possano essere in futuro un impedimento alla salvezza spirituale
del bimbo, una volta diventato adulto.
Gesù non concederà dunque il bimbo alla
vedova ma la invita a curare prima se
stessa staccandosi dalla propria umanità.
Il suo desiderio di un figlio – le dice
Gesù - la spinga a santità perché in tal caso Dio l’avrebbe esaudita, anche
perché gli orfanelli in Israele certo non mancavano.
Prima ancora di arrivare in prossimità
di Afec, Sara vuol fare da guida suggerendo al gruppo apostolico una
scorciatoia nella campagna.
La Valtorta vede infatti in visione:
^^^^
(…)
La vedova va avanti indicando la via più breve, ossia lascia la
carovaniera per una stradetta che si inerpica per il monte, ancor più fresca e
ombrosa.
Ma comprendo il motivo della deviazione
quando, volgendosi sulla sella, Sara dice:
«Ecco, questi boschi sono miei. Di piante pregiate. Vengono
a comprarne sin da Gerusalemme per i cofani dei ricchi. E queste sono le piante
antiche; ma poi ho vivai sempre
rinnovati. Venite. Vedete...», e spinge il ciuchino giù per le balze, su per le
creste, e poi giù di nuovo, seguendo la stradetta fra i suoi boschi, dove
infatti sono zone ad alberi adulti, già pronti al taglio, e zone dove le piante
sono ancor tenerelle, talora alte pochi centimetri da terra, fra erbe verdi,
odorose di tutti gli aromi montani.
«Belli questi luoghi. E ben tenuti. Sei
saggia», encomia Gesù.
«Oh!... Ma per me sola... Più volentieri li
curerei per un figlio... ».
Gesù non risponde.
Proseguono la via. Già si vede Afeca
fra un cerchio di pometi e altri alberi da frutto.
«Anche quel frutteto è mio. Troppo ho per me sola!... Era già troppo quando avevo ancora lo sposo e a
sera ci guardavamo nella casa troppo
vuota, troppo grande, davanti alle troppe monete, ai conti delle troppe
derrate, e ci dicevamo: "E per
chi?". E ora più ancora lo dico...».
Tutta la tristezza di un matrimonio
sterile balza dalle parole della donna.
«I poveri ci sono sempre...», dice
Gesù.
«Oh! sì! E la mia casa si apre ad essi
ogni giorno. Ma dopo...»
«Vuoi
dire quando sarai morta?».
«Si,
Signore. Sarà un dolore lasciare, a chi?... le cose tanto curate...».
Gesù ha
un'ombra di sorriso pieno di compatimento. Ma risponde con bontà: «Sei più saggia per le cose della
Terra che per quelle del cielo, donna. Ti preoccupi perché le tue piante
crescano bene e non si formino radure nei tuoi boschi. Ti affliggi pensando che
dopo non saranno più curate come ora. Ma questi pensieri sono poco saggi, anzi
sono stolti affatto.
Credi
tu che nell'altra vita abbiano valore le povere cose che hanno nome piante,
frutta, denaro, case? E che sarà afflizione vederle trascurate?
Raddrizza il tuo pensiero, donna.
Là non sono i pensieri di qui, in nessuno dei tre regni.
Nell'Inferno l'odio e la punizione acciecano
ferocemente.
Nel
Purgatorio la
sete di espiare annulla ogni altro pensiero.
Nel
Limbo la beata attesa dei giusti non è profanata da sensualità
alcuna.
La Terra è lontana, con le sue miserie;
è invece vicina solo con i suoi bisogni soprannaturali, bisogni di anime, non
bisogni di oggetti.
I trapassati, che dannati non siano, solo per amore soprannaturale volgono alla
Terra il loro spirito, e a Dio le loro preghiere, per coloro che sono sulla
Terra. Non per altro.
E quando poi i giusti entreranno nel
Regno di Dio, che vuoi che sia più, per uno che contempla Iddio, questa misera
carcere, questo esilio che ha nome Terra? Che, le cose lasciate in essa?
Potrebbe il giorno rimpiangere una lampada fumigante, quando lo illumina il
sole?».
«Oh! no!».
«E allora? Perché sospiri su ciò che
lascerai?».
«Ma vorrei che un erede continuasse
a...».
«A godere delle ricchezze terrene per
averne ostacolo a divenire perfetto, mentre il distacco dalle ricchezze è scala
per possedere le ricchezze eterne? Vedi, o donna? Il maggior ostacolo ad
ottenere questo innocente non è la madre di lui, coi suoi diritti sul figlio,
ma il tuo cuore. Egli è un innocente, un triste innocente, ma sempre un
innocente che, per il suo stesso soffrire, è caro a Dio. Ma se tu lo facessi un avaro, cupido, forse vizioso, per i mezzi che
hai, non lo priveresti tu della predilezione di Dio? E potrei, Io che ho
cura di questi innocenti, essere uno sbadato maestro che, senza riflettere,
permette che un suo innocente discepolo si travii? Cura prima te stessa, spogliati dell'umanità ancor troppo viva,
libera la tua giustizia da questa crosta di umanità che la deprime, e allora
meriterai di esser madre. Perché non è madre solo chi genera o chi ama un
figlio adottivo e lo cura e segue nei suoi bisogni di creatura animale. Anche
la madre di questo lo ha generato. Ma non è madre perché non ha cura né della
sua carne, né del suo spirito.
Madre si è quando ci si cura
soprattutto di ciò che non muore più, ossia dello spirito, non soltanto di
quello che muore, ossia della materia. E credi, o donna, che chi amerà lo
spirito, amerà anche il corpo, perché possederà un amore giusto e perciò sarà
giusto».
«Ho perduto il figlio, lo
comprendo...».
«Non
è detto. Il tuo desiderio ti spinga a santità e Dio ti esaudirà. Sempre ci saranno orfani nel mondo».
^^^^
Vorreste sapere come finirà la storia
di Sara e di Alfeo?
Meno di un anno dopo Meroba, la non
buona madre di Alfeo e dei suoi due fratellini, muore malamente ed i suoi bambini rimasti orfani trovano una madre amorosa proprio in Sara di
Afec che – distaccatasi dai suoi averi, avendone lasciata la tutela al suo
intendente di casa – si era stabilita a Cafarnao finendo poi per adottarli
tutti e tre.
Tante sono le meditazioni e gli
insegnamenti e che si potrebbero trarre da questo episodio, ma ve li lascio
tutti. A me preme solo attirare la vostra attenzione su una parte del
precedente colloquio fra Gesù e Sara che vi trascrivo nuovamente qui sotto (i
grassetti sono miei):
^^^^
(Dice
Gesù)
(…)
Credi tu che nell'altra vita abbiano valore le povere cose che hanno nome
piante, frutta, denaro, case? E che sarà afflizione vederle trascurate?
Raddrizza il tuo pensiero, donna.
Là non sono i pensieri di qui, in nessuno dei tre regni.
Nell'Inferno l'odio e la punizione acciecano
ferocemente.
Nel
Purgatorio la
sete di espiare annulla ogni altro pensiero.
Nel
Limbo la beata attesa dei giusti non è profanata da sensualità
alcuna.
La Terra è lontana, con le sue miserie;
è invece vicina solo con i suoi bisogni soprannaturali, bisogni di anime, non
bisogni di oggetti.
I trapassati, che dannati non siano, solo per amore soprannaturale volgono alla
Terra il loro spirito, e a Dio le loro preghiere, per coloro che sono sulla
Terra. Non per altro.
E quando poi i giusti entreranno nel Regno di Dio, che vuoi che sia più, per
uno che contempla Iddio, questa misera carcere, questo esilio che ha nome
Terra? Che, le cose lasciate in essa? Potrebbe il giorno rimpiangere una
lampada fumigante, quando lo illumina il sole?».
^^^^
Gesù, parlando a Sara dell’Aldilà – 2000
anni fa, prima del momento della Redenzione - diceva che i ‘regni’ erano tre:
Inferno, Purgatorio e Limbo.
Non parla qui ancora del Paradiso,
perché questo è ancora di là da venire poiché per esso si dovrà appunto
attendere il momento della Redenzione con la morte di Gesù quando Egli scenderà
poi agli ‘Inferi’ per liberare i salvati che là lo attendevano per poter
ascendere al Cielo.
E’ interessante notare la ‘psicologia’
dei trapassati non dannati.
Essi non pensano più come noi. Essi
vivono in una prospettiva ed una realtà completamente diversa. Nel Purgatorio
esiste solo l’esigenza di espiare che fa passare in ultima linea qualsiasi
altro pensiero terreno.
I trapassati sono lontani ‘anni luce’
dall’attaccamento ‘sensuale’ ai beni ed affetti della terra, ma sono legati ai
propri cari - ai quali pure è rivolto il loro spirito - da un ascetico amore soprannaturale ma con
l’occhio rivolto soprattutto a Dio al quale non fanno tuttavia mancare le loro
preghiere di intercessione per i propri congiunti.
Inoltre da quanto precede sorgono
spontanee più domande sul Limbo.
Una domanda che la teologia cattolica
non ha ancora risolto in maniera certa, anzi ‘dogmatica’, è se il Limbo, le cui
porte erano state aperte dal Redentore quando discese agli ‘Inferi’, abbia cessato
di esistere una volta avvenuta la Redenzione oppure se esso esista ancora per i ‘giusti’ non battezzati, visto
che il Battesimo è ritenuto il ‘passaporto’ senza il quale non si può accedere
al Paradiso.
Sono secoli che se ne discute e vi sono
documenti molto importanti della Chiesa che pur non avendo ancora valore
dogmatico sostengono con molta autorevolezza non solo l’opportunità ma anche la
‘necessità’ della esistenza del Limbo, altrimenti che fine farebbero i pagani
non battezzati – tutte anime di ‘figli’
e ‘fratelli’ nostri, create da Dio con uguale amore – che non hanno avuto la
sorte o la fortuna di conoscere la Dottrina cristiana ma pur sempre anime di
uomini che si sono comportati da giusti
credendo giusta la propria religione?
Che fine farebbero poi i bimbi
innocenti che sono morti prima di poter essere battezzati?
Che fine farebbero infine i bimbi
volutamente abortiti dai genitori, che tuttavia avevano avuto l’infusione
dell’anima spirituale da Dio al momento del concepimento, e che – doppiamente
innocenti - sono equiparabili a dei martiri uccisi dalla mancanza di amore dei
genitori? Bimbi ai quali – con la vita – è stata tolta la possibilità di avere
una famiglia, fratelli e sorelle, guardare teneramente negli occhi i genitori
chiamandoli ‘papà’ e ‘mamma’, formarsi a loro volta una famiglia e amare la
propria moglie, i propri figli, tenere in braccio i nipotini, insomma privati
di tutto?
La risposta dell’Opera valtortiana pare
essere quella del Limbo, un Limbo che
perdura anche dopo la Redenzione per coloro che – uomini adulti non
battezzati ma vissuti da giusti o
bimbi non battezzati del tutto innocenti
- non hanno potuto avere il crisma del Battesimo.
Un Limbo
che – fermo restando il Purgatorio di espiazione per i non battezzati meno
giusti ma non condannabili all’Inferno – parrebbe non essere, per i ‘giusti’,
un ‘luogo di espiazione’ ma piuttosto di ‘beata
attesa’, anche se fino al Giudizio Universale.
Un ‘luogo’ (o ‘stato’ che si preferisca
pensare) dove potremmo forse a questo punto anche noi ipotizzare diversi gradi di ‘giustizia’ – posto che non tutti i
giusti possono essere stati in vita giusti in maniera uguale – ma dove in cima,
proprio quasi con un piedino nella porta ‘socchiusa’ del Paradiso, ci
potrebbero magari stare proprio gli Innocenti.
Si potrebbe anche forse pensare che una volta che i pagani non battezzati - ma non condannati all’Inferno nel
Giudizio particolare - abbiano espiato in Purgatorio, non potendo entrare in
Paradiso, proprio perché non battezzati ma dovendo anzi attendere il Giudizio
Universale, possano almeno passare – dopo
l’espiazione e la purificazione - dal Purgatorio al superiore Limbo, luogo di
‘beata attesa’, in certo qual modo analogamente a quanto fanno i cristiani
battezzati del Purgatorio quando, terminata l’espiazione e purificazione,
possono accedere finalmente al Paradiso.
Tutte domande ‘a voce alta’, la cui
possibile risposta lascio immaginare a voi che leggete.
La prossima riflessione sulla nostra quinta
affermazione del Credo sarà dedicata a:
3. IL GIUDIZIO DI CONDANNA ALL’INFERNO
3. IL GIUDIZIO DI CONDANNA ALL’INFERNO.
3.1 Il
Giudizio particolare e le quattro dimore dell’Aldilà: Paradiso, Purgatorio,
Inferno e… Limbo. Il Limbo dei ‘giusti’ e dei bimbi non battezzati. Le quattro
dimore dopo il Giudizio universale diverranno due.
Abbiamo fino ad ora parlato del
Giudizio particolare.
Dopo aver meditato nel precedente
capitolo del giudizio dei ‘pagani giusti ma non battezzati’ - che nelle parole
dello Spirito Santo che parla alla mistica appaiono situati nel Limbo - sorge
però spontanea una domanda: quante sono le dimore dell’aldilà? Tre o quattro?
La Dottrina cristiana - allo stato
attuale delle cose e dal punto di vista del Dogma – ammette 'ufficialmente', almeno per ora, tre sole dimore
dell'Aldilà: l'Inferno, il Purgatorio e il Paradiso.
Ma della necessità ed opportunità che
debba esiste una quarta dimora, che viene detta Limbo, se ne sta discutendo da
parecchi secoli e anche con importanti documenti della Chiesa che – pur non
avendo valore dogmatico – godono comunque di grande autorevolezza.
La Dottrina cristiana insegna che per
accedere al Paradiso dopo la morte del corpo bisogna essere battezzati, ma
quale sarebbe allora la sorte dei giusti
pagani non battezzati, o dei bambini morti in tenera età senza essere
battezzati ma comunque incolpevoli, o addirittura di quelli morti nel grembo
materno prima ancora della nascita che sono pur dotati di anima spirituale sin
dal concepimento, oppure dei bimbi volutamente abortiti?
Se questo – almeno dal punto di vista
del riconoscimento dogmatico – è un problema per la teologia, non lo è però per
le rivelazioni ‘private’ dell’Opera valtortiana.
Il Limbo di cui si parla nell'Opera
valtortiana esiste ed è il Limbo dei
giusti 'non battezzati'.
Le 'dimore' dell’Aldilà – nell’Opera -
risulterebbero essere dunque quattro:
Inferno, Purgatorio, Paradiso e Limbo.
Delle quattro dimore solo due rimarranno però eterne dopo il Giudizio Universale, e
cioè il Paradiso e l'Inferno, perché i purganti che avranno a quel punto
terminato la purificazione ed i ‘giusti’ pagani non battezzati ma in attesa nel
Limbo saliranno a quel punto in Paradiso.[24]
Sempre a proposito del Giudizio di Dio, nell'Opera di Maria Valtorta:
‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’, fra i tanti brani concernenti il Limbo vi è un episodio ed una spiegazione di Gesù agli
apostoli che è al riguardo illuminante.
La mistica vede Gesù in visione. Egli è
in cammino e - come era spesso solito fare, prendendo anche lo spunto da
episodi giornalieri - impartisce degli insegnamenti agli apostoli che Egli
andava 'formando' per prepararli alla loro futura missione.
Egli spiega loro che Dio è Carità, la quale è il suo attributo
principale.
Dopo la fine del mondo - Egli continua
- non sopravvivrà altra virtù che la Carità, ossia l'unione con il Creatore di tutte le creature che hanno vissuto con
giustizia: non vi saranno tanti Cieli, uno per gli ebrei, uno per i
cristiani, uno per i cattolici, uno per i Gentili e i pagani, ma vi sarà un
solo Cielo e un solo premio: Dio, il Creatore che si ricongiunge ai suoi creati
che si sono comportati da giusti.
Dunque un solo Signore, non un Dio per
ogni religione.
Aggiunge però ancora - Gesù - agli
apostoli (i 'grassetti' sono i miei): [25]
^^^^
'Ora vi rivelo una
grande verità. Ricordatevela. Trasmettetela ai vostri successori. Non attendete sempre che lo Spirito Santo
rischiari le verità dopo anni o secoli di oscurità.
Udite.
Voi forse direte: 'Ma allora che giustizia c'è ad
essere della religione santa, se saremo alla fine del mondo ugualmente trattati, come lo saranno i
Gentili?'
Vi rispondo: la stessa giustizia che c'è, ed è vera
giustizia, per coloro che, pur essendo della religione santa, non saranno beati
perché non saranno vissuti da santi.
Un pagano
virtuoso, soltanto perché visse con virtù
eletta, convinto che la sua religione era buona, avrà alla fine il Cielo.
Ma
quando? Alla fine del mondo, quando delle quattro dimore dei trapassati due
sole sussisteranno, ossia il Paradiso e l'Inferno. Perché la Giustizia, in
quel momento, non potrà che conservare e dare i due regni eterni a chi
dall'albero del libero arbitrio scelse i frutti buoni o volle i frutti malvagi.
Ma quanta
attesa prima che un pagano virtuoso giunga a quel premio...
Non ve lo pensate? E questa attesa, specie dal momento in cui la Redenzione, con tutti
i suoi conseguenti prodigi, si sarà verificata, e l'Evangelo sarà predicato nel
mondo, sarà la purgazione delle
anime che vissero da giuste in altre
religioni ma non poterono entrare nella
Fede vera dopo averla conosciuta come
esistente e di provata realtà.
Ad essi
il limbo per i secoli e secoli sino alla fine del mondo.
Ai
credenti del Dio vero che non
seppero essere eroicamente santi, il
lungo Purgatorio; e per alcuni potrà avere termine alla fine del mondo.
Ma dopo l'espiazione e l'attesa, i buoni, quale che sia la loro provenienza,
saranno tutti alla destra di Dio; i malvagi, quale che sia la loro provenienza, alla sinistra e poi nell'Inferno
orrendo, mentre il Salvatore entrerà con i buoni nel Regno eterno'.
^^^^
Ecco dunque perché il vero cristiano
deve – non solo essere un ‘buon cristiano’ ma anche evangelizzare come aveva
raccomandato ancora una volta da Gesù prima di ascendere al Cielo: per far sì
che i 'giusti pagani' - se battezzati - possano più facilmente salvarsi
divenendo 'giusti cristiani' e possano così anch’essi accedere al Cielo senza
attendere nel Limbo fino alla fine del mondo.
Sento a questo punto sorgere spontanea
in voi un’altra domanda: 'Che ne è allora di tutti i bimbi non nati, o di
quelli nati ma non battezzati? Per non dire dei bimbi volutamente abortiti?'
Tutti
salvi nel Limbo,
spiega Gesù in un altro brano.
Essi infatti non sono 'chiesa' nel
senso stretto della parola ma lo sono avendo ricevuto da Dio l'anima ed essendo
morti incolpevoli se non addirittura in una sorta di ‘martirio di sangue’.
Ecco perché - spiega sempre Gesù - sarà
grave e severissimo il Giudizio di Dio nei confronti
di quelli che sopprimono una vita, anche embrionale, o appena venuta alla luce,
vietandole così di ricevere il
Sacramento del Battesimo che leva la Colpa di origine.
Il rigore divino[26] è giustificato dal fatto che per
secoli e millenni quelle anime vengono separate da Dio, in uno stato non di pena, ma neppure di vero
gaudio.
3.2 Il Giudizio di condanna e la natura delle
pene dell’Inferno.
Sempre a proposito del Giudizio divino ricorderò ancora due altri
versetti della lettera di Paolo ai romani. [27]
San Paolo dice che gli uomini che fanno
il male - siano essi giudei o ‘greci' (cioè pagani) - saranno afflitti da angoscia e tribolazione e Dio – nel Suo Giudizio - impartirà
loro condanna, come invece darà premio a chi avrà fatto il bene, a qualunque religione essi appartengano, come
del resto spiegato in precedenza.
Lo Spirito Santo valtortiano ci
illustra alcuni aspetti.[28]
Egli conferma il pensiero di Paolo
sottolineando che l'uomo che fa il male sarà sempre affetto da angoscia e
tribolazione.
Tale uomo - anche se non vorrà
ammetterlo di fronte a se stesso – sarà, infatti, vittima del rimorso per le cattive azioni compiute.
Tale rimorso può essere suscitato da Dio allo scopo di aiutarlo a
ravvedersi e tornare sulla buona strada, oppure
da Satana che - dopo averlo fuorviato - si diverte a torturarlo con i sensi di colpa.
In tale situazione il colpevole,
anziché prendersela con il suo padrone Satana, dà la colpa del rimorso e della
propria sofferenza a Dio e - per dimostrargli allora spavaldamente che non lo teme - si butta ancora di
più nel peccato.
Egli agisce così per rimuovere, per
dimenticare e per soffocare la voce della propria coscienza che dal di dentro
grida.
Il peccatore, si comporta dunque come
quell'alcolizzato che, amando il vino che gli procura piacere e pur sapendo che
esso fa male, ne beve ancora di più e se ne inebria anche per dimenticare i
propri problemi.
Tuttavia il rimorso e l'angoscia per il
senso di peccato non abbandonano mai il colpevole renitente se non talvolta - e questo sarebbe ancora il
caso più fortunato - in punto di morte
quando egli sa di doversi presentare al cospetto di Dio ed allora si pente in
maniera 'perfetta', cosa che lo salva, sia pur lasciandolo poi soggetto a lunga
espiazione.
Questa eventualità - continua lo
Spirito Santo - è però molto difficile a realizzarsi per l'incallito peccatore perché questi o si pente solo parzialmente o non si pente affatto neppure in punto di morte, senza contare che la morte lo
può cogliere all'improvviso senza che egli abbia avuto il tempo di pentirsi.
Comunque - dice ancora lo Spirito Santo
- tale angoscia e tribolazione sono
niente rispetto a quelle che il peccatore impenitente – giudicato da Dio - dovrà sopportare
nell'Aldilà.
Nell'Inferno
le sofferenze sono
umanamente inimmaginabili, al punto
che neanche se le descrivesse Dio riusciremmo
a concepirle, così come gli uomini non riuscirebbero a concepire la gioia
infinita che si prova in Paradiso.
L'estasi paradisiaca e la sofferenza
infernale ci vengono oscurate perché
esse sono tali che la mente umana non riuscirebbe a contenerle e l'uomo - fatto
ancora di 'carne' - morrebbe d'amore o
di orrore.
Dio – ribadisce poi lo Spirito Santo ricollegandosi ai versetti della
‘Lettera ai romani’ di Paolo - premierà o castigherà in misura giusta sia chi crede nella religione vera, sia chi crede
in buona fede in altre religioni da
lui ritenute vere, sia chi non ne abbia
alcuna.
Ogni uomo è stato, infatti, dotato da
Dio di anima spirituale e di ragione
che gli suggeriscono come comportarsi.
Dio – nel Suo Giudizio - premierà dunque o castigherà a seconda del grado di conoscenza, di ragione e di
‘coscienza’ che l'uomo ha avuto e a seconda della fede che costui avrà riposto nella propria religione considerata 'vera'.
E' la sua Fede che, infatti, lo
'assolve' se egli ha operato il bene
per fare la volontà del 'suo' Dio.
Se l'uomo è pagano - e non conosce
quindi la religione vera - Dio nel giudizio sarà anzi più benevolo con lui rispetto a dei cattolici che hanno conosciuto
la religione vera ma poi non l'hanno ben praticata o nient'affatto praticata.
Dio - rispetto ai cattolici - sarà più
benevolo con i pagani perché terrà conto di quale sforzo maggiore essi - separati dal Corpo mistico - hanno
dovuto affrontare per mantenersi sulla giusta via, non avendo essi ricevuto la Grazia che deriva dal Battesimo, né
conosciuto la Dottrina di Gesù che è
Vita, né ottenuto tutti gli altri doni
come i Sacramenti lasciatici da Gesù e le virtù
che da tali doni scaturiscono.
Come dice dunque San Paolo - conclude
lo Spirito Santo - Dio non fa distinzioni di uomini, razze o religioni, ma giudicherà veramente gli uomini non
per le loro origini umane ma per le loro
azioni.
Succederà così che molti cattolici - credendosi 'eletti' perché appartenenti alla
religione 'vera' - scopriranno un giorno di essere stati preceduti da molti altri che, pur senza conoscere il Dio vero, lo
hanno però seguito, obbedendo alla
legge di giustizia che Dio ha inciso nella loro anima da Lui creata.
Vediamo comunque cosa dice Gesù - a proposito del Suo Giudizio di condanna
all’Inferno - in un Dettato alla mistica (dove le sottolineature in
grassetto sono mie):[29]
^^^^
15 - 1 - 1944.
Dice Gesù:
«Una volta ti ho fatto vedere il Mostro
d’abisso. Oggi ti parlerò del suo regno.
Non ti posso sempre tenere in paradiso.
Ricordati che tu hai la missione di
richiamare delle verità ai fratelli che troppo le hanno dimenticate. E da
queste dimenticanze, che sono in realtà sprezzi per delle verità eterne,
provengono tanti mali agli uomini.
Scrivi dunque questa pagina dolorosa.
Dopo sarai confortata. È la notte del venerdì.
Scrivi guardando al tuo Gesù che è
morto sulla croce fra tormenti tali che
sono paragonabili a quelli dell’inferno, e che l’ha voluta, tale morte, per
salvare gli uomini dalla Morte.
Gli
uomini di questo tempo non credono più all’esistenza dell’inferno.
Si sono congegnati un al di là a loro
gusto e tale da essere meno terrorizzante alla loro coscienza meritevole di
molto castigo.
Discepoli più o meno fedeli dello
Spirito del Male, sanno che la loro
coscienza arretrerebbe da certi misfatti, se realmente credesse all’inferno così
come la Fede insegna che sia; sanno che la loro coscienza, a misfatto compiuto,
avrebbe dei ritorni in se stessa e nel rimorso troverebbe il pentimento, nella
paura troverebbe il pentimento e col pentimento la via per tornare a Me.
La
loro malizia, istruita da Satana,
al quale sono servi o schiavi (a seconda della loro aderenza ai voleri e alle
suggestioni del Maligno) non vuole
questi arretramenti e questi
ritorni.
Annulla perciò la fede nell’inferno
quale realmente è, e ne fabbrica un
altro, se pure se lo fabbrica, il quale non è altro che una sosta per
prendere lo slancio ad altre, future elevazioni.
Spinge questa sua opinione sino a
credere sacrilegamente che il
più grande di tutti i peccatori dell’umanità, il figlio diletto di Satana, colui che era ladro come è detto nel
Vangelo, che era concupiscente e ansioso di gloria umana come dico io, l’iscariota, che per fame della
triplice concupiscenza si è fatto mercante del Figlio di Dio e per trenta
monete e col segno di un bacio - un valore monetario irrisorio e un valore
affettivo infinito - mi ha messo nelle mani dei carnefici, possa redimersi e giungere a Me passando per fasi successive.
No. Se egli fu il sacrilego per
eccellenza, io non lo sono. Se egli fu l’ingiusto per eccellenza, io non lo
sono. Se egli fu colui che sparse con sprezzo il mio Sangue, io non lo sono. E perdonare a Giuda sarebbe sacrilegio alla
mia Divinità da lui tradita, sarebbe
ingiustizia verso tutti gli altri uomini, sempre meno
colpevoli di lui e che pure sono puniti per i loro peccati, sarebbe sprezzo al
mio Sangue, sarebbe infine venire meno alle mie leggi.
Ho
detto, io Dio Uno e Trino,
che ciò che è destinato all’inferno dura in esso per l’eternità, perché
da quella morte non si esce a nuova resurrezione.
Ho
detto che quel fuoco è eterno
e che in esso saranno accolti tutti gli operatori di scandali e di
iniquità. Né crediate che ciò sia sino
al momento della fine del mondo.
No, ché
anzi, dopo la tremenda rassegna, più spietata si farà quella dimora di
pianto e tormento, poiché ciò che ancora è concesso ai suoi ospiti di avere per loro infernale
sollazzo - il poter nuocere ai viventi e
il veder nuovi dannati precipitare nell’abisso - più non sarà, e la porta
del regno nefando di Satana sarà ribattuta, inchiavardata dai miei angeli, per sempre, per sempre, per sempre, un
sempre il cui numero di anni non ha numero e rispetto al quale, se anni
divenissero i granelli di rena di tutti gli oceani della terra, sarebbero meno
di un giorno di questa mia eternità immisurabile, fatta di luce e di gloria
nell’alto per i benedetti, fatta di tenebre e orrore per i maledetti nel
profondo.
Ti
ho detto che il Purgatorio è fuoco di amore. L’Inferno è fuoco
di rigore.
Il
Purgatorio è
luogo in cui, pensando a Dio, la cui
Essenza vi è brillata nell’attimo del particolare
giudizio e vi ha riempito di desiderio di possederla, voi espiate le mancanze di amore per il
Signore Dio vostro.
Attraverso l’amore conquistate l’Amore,
e per gradi di carità sempre più accesa
lavate la vostra veste sino a renderla candida e lucente per entrare nel regno della
Luce i cui fulgori ti ho mostrato giorni sono.
L’inferno è luogo in cui il pensiero di Dio, il
ricordo del Dio intravveduto nel particolare giudizio non è, come per i purganti, santo desiderio, nostalgia accorata
ma piena di speranza, speranza piena di tranquilla attesa, di sicura
pace che raggiungerà la perfezione quando diverrà conquista di Dio, ma che
già dà allo spirito purgante un’ilare attività purgativa perché ogni pena, ogni
attimo di pena, li avvicina a Dio, loro amore; ma è rimorso, è rovello, è
dannazione, è odio. Odio verso Satana, odio verso gli uomini, odio verso se
stessi.
Dopo
averlo adorato, Satana,
nella vita, al posto mio, ora che lo posseggono e ne vedono il vero aspetto,
non più celato sotto il maliardo sorriso della carne, sotto il lucente brillio
dell’oro, sotto il potente segno della supremazia, lo odiano perché causa del
loro tormento.
Dopo
avere, dimenticando la loro dignità di figli di Dio, adorato gli uomini sino a farsi degli
assassini, dei ladri, dei barattieri, dei mercanti di immondezze per loro, adesso che ritrovano i loro padroni per
i quali hanno ucciso, rubato, truffato, venduto il proprio onore e l’onore di
tante creature infelici, deboli, indifese, facendone strumento al vizio che le
bestie non conoscono - alla lussuria, attributo dell’uomo avvelenato da Satana
- adesso li odiano perché causa del loro tormento.
Dopo
avere adorato se stessi
dando alla carne, al sangue, ai sette appetiti della loro carne e del loro
sangue tutte le soddisfazioni, calpestando la Legge di Dio e la legge della
moralità, ora si odiano perché si
vedono causa del loro tormento.
La parola “Odio” tappezza quel regno
smisurato; rugge in quelle fiamme; urla nei chachinni dei demoni; singhiozza e
latra nei lamenti dei dannati; suona, suona, suona come una eterna campana a
martello; squilla come una eterna buccina di morte; empie di sé i recessi di
quella carcere; è, di suo, tormento, perché rinnovella ad ogni suo suono il
ricordo dell’Amore per sempre perduto, il rimorso di averlo voluto perdere, il
rovello di non poterlo mai più rivedere.
L’anima morta, fra quelle fiamme, come
quei corpi gettati nei roghi o in un forno crematorio, si contorce e stride
come animata di nuovo da un movimento vitale e si risveglia per comprendere il
suo errore, e muore e rinasce ad ogni momento con sofferenze atroci, perché il
rimorso la uccide in una bestemmia e l’uccisione la riporta al rivivere per un
nuovo tormento.
Tutto il delitto di aver tradito Dio nel tempo sta di fronte
all’anima nell’eternità;
tutto l’errore di aver ricusato Dio nel
tempo sta per suo tormento presente ad essa per l’eternità.
Nel fuoco le fiamme simulano le larve di ciò che adorarono in vita,
le passioni si dipingono in roventi
pennellate coi più appetitosi aspetti, e stridono, stridono il loro
memento: “Hai voluto il fuoco delle passioni. Ora abbiti il fuoco acceso da Dio
il cui santo Fuoco hai deriso”.
Fuoco risponde a fuoco.
In
Paradiso è fuoco di amore perfetto.
In
Purgatorio è fuoco di amore purificatore.
In
Inferno è fuoco di amore offeso.
Poiché gli eletti amarono alla
perfezione, l’Amore a loro si dona nella sua Perfezione.
Poiché i purganti amarono tiepidamente,
l’Amore si fa fiamma per portarli alla Perfezione.
Poiché i maledetti arsero di tutti i
fuochi, men che del Fuoco di Dio, il Fuoco dell’ira di Dio li arde in eterno. E
nel fuoco è gelo.
Oh! che sia l’Inferno non potete
immaginare.
Prendete tutto quanto è tormento
dell’uomo sulla terra: fuoco, fiamma, gelo, acque che sommergono, fame, sonno,
sete, ferite, malattie, piaghe, morte, e fatene una unica somma e
moltiplicatela milioni di volte. Non avrete che una larva di quella tremenda
verità.
Nell’ardore insostenibile sarà commisto
il gelo siderale. I dannati arsero di tutti i fuochi umani avendo unicamente
gelo spirituale per il Signore Iddio loro. E gelo li attende per congelarli
dopo che il fuoco li avrà salati come pesci messi ad arrostire su una fiamma.
Tormento nel tormento questo passare
dall’ardore che scioglie al gelo che condensa.
Oh!
non è un linguaggio metaforico,
poiché Dio può fare che le anime, pesanti delle colpe commesse, abbiano sensibilità uguali a quelle di
una carne, anche prima
che quella carne rivestano.
Voi non sapete e non credete. Ma in verità vi dico che vi converrebbe di
più subire tutti i tormenti dei miei martiri anziché un’ora di
quelle torture infernali.
L’oscurità sarà il terzo tormento. Oscurità materiale e oscurità
spirituale.
Esser per sempre nelle tenebre dopo aver visto la luce del paradiso ed
esser nell’abbraccio della Tenebra dopo aver visto la Luce che è Dio!
Dibattersi
in quell’orrore tenebroso in cui si illumina solo, al riverbero dello spirito
arso, il nome del peccato per cui sono in esso orrore confitti! Non trovare
appiglio, in quel rimestio di spiriti che si odiano e nuocciono a vicenda,
altro che nella disperazione che li rende folli e sempre più maledetti.
Nutrirsi di essa, appoggiarsi ad essa, uccidersi con essa.
La morte
nutrirà la morte, è
detto. La disperazione è morte e
nutrirà questi morti per l’eternità.
Io
ve lo dico, io che pur l’ho creato quel luogo: quando sono sceso in esso per trarre dal Limbo coloro che
attendevano la mia venuta, ho
avuto orrore, io, Dio, di
quell’orrore; e, se cosa fatta da Dio non fosse immutabile
perché perfetta, avrei voluto renderlo meno atroce, perché sono l’Amore e di
quell’orrore ho avuto dolore.
E
voi ci volete andare.
Meditate, o figli, questa mia parola.
Ai malati viene data amara medicina, agli affetti da cancri viene cauterizzato
e reciso il male. Questa è per voi, malati e cancerosi, medicina e cauterio di
chirurgo. Non rifiutatela. Usatela per guarirvi.
La vita non dura per questi pochi
giorni della terra. La vita incomincia quando vi pare finisca, e non ha più
termine.
Fate che per voi scorra là dove la luce
e la gioia di Dio fanno bella l’eternità e non dove Satana è l’eterno
Suppliziatore.» [30]
La prossima riflessione sulla nostra quinta
affermazione del Credo sarà dedicata a:
4. UN PADRE DI MOLTI FIGLI DETTE AD OGNUNO DI ESSI,
DIVENUTI ADULTI, LE STESSE COSE, DUE MONETE DI GRAN VALORE: IL TEMPO ED IL
LIBERO ARBITRIO.
4. UN PADRE DI MOLTI FIGLI DETTE AD OGNUNO DI ESSI,
DIVENUTI ADULTI, LE STESSO COSE, DUE MONETE DI GRAN VALORE: IL TEMPO ED IL
LIBERO ARBITRIO.
4.1 Il Giudizio universale raccontato da
Matteo…
Nei precedenti tre capitoli
- riguardanti la parte del Credo concernente le riflessioni sul ‘di là ha da venire a giudicare i vivi e i
morti’ – abbiamo sufficientemente approfondito - relativamente ai ‘limiti’
che questa nostra esposizione presenta - molti aspetti che riguardano il Giudizio particolare da parte di Dio,
così come emergono dall’Opera valtortiana.
In particolare sono state valutate numerose
sfaccettature del comportamento umano che il Signore considera nel prendere le
sue decisioni.
Nel valutare il Giudizio particolare abbiamo tuttavia
sempre avuto come ‘sfondo’ il Giudizio universale che si differenzia da quello
particolare per due aspetti:
- è un Giudizio solenne e collettivo;
- riguarda non solo lo spirito, come il Giudizio
particolare, ma anche il corpo resuscitato.
Quale sarà dunque la cornice finale entro la quale
Gesù-Giudice - dopo la fine del mondo e del tempo - si mostrerà a tutti i
resuscitati, miliardi e miliardi di persone, per emettere la sentenza finale
che destina l’uomo – in anima e corpo – ad una vita eterna, sia nel Bene che
nel Male?
Ce lo dice l’Evangelista Matteo nel suo Vangelo (i grassetti sono miei): [31]
^^^^
31Quando il
Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli
angeli con lui, siederà sul trono
della sua gloria.
32Davanti a lui
verranno radunati tutti i popoli.
Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle
capre, 33e porrà le pecore
alla sua destra e le capre alla
sinistra.
34Allora il re
dirà a quelli che saranno alla sua destra: «Venite, benedetti del Padre mio,
ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, 35perché
ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da
bere, ero straniero e mi avete accolto, 36nudo e mi avete vestito,
malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi».
37Allora i giusti gli risponderanno: «Signore,
quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti
abbiamo dato da bere? 38Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti
abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? 39Quando mai ti
abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?».
40E il re
risponderà loro: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo
di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me».
41Poi dirà anche
a quelli che saranno alla sinistra: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco
eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, 42perché ho
avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato
da bere, 43ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete
vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato».
44Anch'essi allora risponderanno: «Signore,
quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in
carcere, e non ti abbiamo servito?».
45Allora egli
risponderà loro: «In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno
solo di questi più piccoli, non l'avete fatto a me».
46E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti
invece alla vita eterna».
^^^^
A ben riflettere, meditandolo con attenzione, è una
immagine grandiosa, con Gesù seduto sul Trono della sua Gloria – Gloria non
solo di Verbo divino ma anche di Redentore - contornato da schiere angeliche di
tutti i gradi.
Con davanti a sé lo sterminato popolo degli uomini dal
primo all’ultimo, tutti convocati per ascoltare il Giudizio finale.
I già giudicati ‘buoni’ al Giudizio particolare con
dentro al cuore una trepida attesa e speranza, i ‘cattivi’ con dentro di sé il
presentimento di un ulteriore inasprimento della condanna.
Il brano di
Matteo – una sorta di parabola – ci ha già dato una idea che conferma quanto
abbiamo già approfondito in precedenza.
Il Giudizio finale – cornice, premi e condanne a parte – sarà basato sul criterio dell’amore o
disamore che avremo manifestato in vita.
Matteo – lo abbiamo già scoperto da piccoli indizi nei
precedenti brani valtortiani – non era solo dotato di un’ottima memoria, tenuta
in esercizio quando faceva l’esattore delle tasse - ma aveva l’abitudine, nei
momenti di tranquillità, di riposo, di intervallo fra un viaggio apostolico e
l’altro, di memorizzare e prendere appunti su quanto sentiva dire da Gesù su
delle tavolette cerate.
Si trattava sempre di una sintesi, perché allora non
vi erano né registratori né stenografi e spesso gli apostoli ascoltavano i
discorsi in piedi e fra la calca del popolo desideroso di ascoltare l’oratoria
sapiente e travolgente dell’Uomo-Dio, svolgendo inoltre il ruolo di ‘servizio
d’ordine’ per proteggere Gesù dal troppo entusiasmo o dai pericoli
rappresentati dalla casta dominante che gli era avversa.
E’ risaputo che gli apostoli non sempre intendessero
bene il senso di quanto Gesù voleva far comprendere, avendo peraltro Gesù
assicurato che dopo la sua ‘partenza’ avrebbe inviato il Consolatore, lo
Spirito Santo, a far loro comprendere le cose che Egli aveva pur detto ma che
essi non avevano ben compreso.
Tuttavia il ‘succo’ essi riuscivano a ricordarlo,
aiutandosi fra loro, facendosi chiarire l’un l’altro certi concetti e poi
rielaborandoli.
E’ quanto ha fatto appunto Matteo mettendo per
iscritto il brano precedente.
4.2 Il Giudizio universale raccontato da Gesù!
Questo brano del Vangelo di Matteo, già di per sé
chiaro, lo troviamo tuttavia analogo ma molto più arricchito da altri particolari
ne ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ dell’Opera valtortiana dove non c’è
alcun ‘succo’ ma è Gesù stesso quello che Maria Valtorta – in visione - sente
parlare ‘in diretta’. [32]
L’episodio descritto dalla mistica è di circa una
quarantina di pagine ed io mi limiterò pertanto a trascrivere qui di seguito
solo il brano sul Giudizio universale.
Siamo a Gerusalemme ed è il giorno del Mercoledì santo del quale abbiamo
parlato quando avevamo schematizzato gli avvenimenti dei vari giorni della
Settimana Santa che avevano preceduto la Passione di Gesù.
Gesù è nel Tempio dove - davanti ad una folla numerosa
ed a Scribi e farisei – parla del maggiore dei comandamenti, dell’obolo della
vedova e pronuncia una tremenda invettiva contro scribi e farisei che cospiravano
per ucciderlo, preannunciando quindi una futura punizione divina per loro, per
la città di Gerusalemme e per lo stesso intero Israele.
Alla fine – mentre la gente rimane ammutolita, divisa
fra chi guarda con odio, chi con amore, chi con ammirazione per la Sapienza di
Gesù – Egli, con i suoi dodici apostoli e i settantadue discepoli, fende la
folla aprendosi un varco verso l’esterno ed uscendo dalle mura.
Dopo una pausa di riposo nell’ora del pranzo, Gesù con
il gruppo di apostoli e discepoli si dirige verso il Monte Oliveto dove terrà
un discorso.
Gli uomini – dice ad un certo punto Gesù - vedranno il
Figlio dell’Uomo venire sulle nubi del cielo con grande potenza e gloria mentre
comanderà ai suoi Angeli di ‘mietere e vendemmiare, e di separare i logli dal
grano perché non ci sarà mai più perpetuazione della specie umana sulla Terra
morta’.
Quanto poi al giorno e all’ora precisa – continua Gesù
– nessuno li conosce, neppure gli Angeli del Signore, ma soltanto il Padre li
conosce.
E continua in seguito, Gesù (i grassetti sono miei):
^^^^
(…)
Tutti gli uomini, nati che siano, devono morire, ed è
una singola venuta del Cristo questa morte e questo susseguente giudizio, che
avrà il suo ripetersi universale alla venuta solenne del Figlio dell'uomo.
Che sarà mai di quel servo fedele e prudente, preposto
dal padrone ad amministrare il cibo ai domestici in sua assenza?
Beata sorte egli avrà se il suo padrone, tornando
all'improvviso, lo trova a fare ciò che deve con solerzia, giustizia e amore.
In verità vi dico che gli dirà: "Vieni, servo buono e fedele. Tu hai
meritato il mio premio. Tieni, amministra tutti i miei beni".
Ma se egli pareva, e non era, buono e fedele, e
nell'interno suo era cattivo come all'esterno era ipocrita, e partito il
padrone dirà in cuor suo: "Il padrone tarderà a tornare!
Diamoci al bel tempo", e comincerà a battere e
malmenare i conservi, facendo usura su loro nel cibo e in ogni altra cosa per
avere maggior denaro da consumare coi gozzovigliatori e ubbriaconi, che
avverrà? Che il padrone tornerà all'improvviso, quando il servo non se lo pensa
vicino, e verrà scoperto il suo malfare, gli verrà levato posto e denaro, e
sarà cacciato dove giustizia vuole. E ivi starà.
E così del peccatore impenitente, che non pensa come
la morte può essere vicina e vicino il suo giudizio, e gode e abusa dicendo:
"Poi mi pentirò".
In verità vi dico che egli non avrà tempo di farlo e
sarà condannato a stare in eterno nel luogo del tremendo orrore, dove è solo
bestemmia e pianto e tortura, e ne uscirà
soltanto per il Giudizio finale, quando rivestirà la carne risorta per
presentarsi completo al Giudizio ultimo come completo peccò nel tempo della
vita terrena, e con corpo ed anima si presenterà al Giudice Gesù che egli non
volle per Salvatore.
Tutti là accolti davanti al Figlio dell'uomo.
Una moltitudine infinita di corpi, restituiti dalla terra e dal mare e
ricomposti dopo essere stati cenere per tanto tempo. E gli spiriti nei corpi.
Ad ogni carne tornata sugli scheletri corrisponderà il
proprio spirito, quello che l'animava un tempo. E staranno ritti davanti al
Figlio dell'uomo, splendido nella sua Maestà divina, seduto sul trono della sua
gloria sorretto dai suoi angeli.
Ed Egli separerà uomini da uomini, mettendo da un lato i buoni e dall'altro i cattivi,
come un pastore separa le pecorelle dai capretti, e metterà le sue pecore a destra e i capri a sinistra.
E dirà con
dolce voce e benigno aspetto a quelli che, pacifici e belli di una bellezza gloriosa nello splendore del corpo santo,
lo guarderanno con tutto l'amore del loro cuore: "Venite, o benedetti dal
Padre mio, prendete possesso del Regno preparato per voi sino dall'origine del mondo. Perché ebbi
fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi deste da bere, fui pellegrino e mi
ospitaste, fui nudo e mi rivestiste, malato e mi visitaste, prigioniero e
veniste a portarmi conforto".
E i giusti gli chiederanno: "Quando mai, Signore, ti vedemmo affamato e ti
abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti
vedemmo pellegrino e ti abbiamo accolto, nudo e ti abbiamo rivestito? Quando ti
vedemmo infermo e carcerato e siamo venuti a visitarti?".
E il Re dei re dirà loro: "In verità vi dico: quando avete fatto una di
queste cose ad uno di questi minimi fra i miei fratelli, allora lo avete fatto
a Me".
E poi si volgerà a quelli che saranno alla sua sinistra e dirà loro,
severo nel volto, e i suoi sguardi
saranno come saette fulminanti i reprobi, e nella sua voce tuonerà l'ira di
Dio: "Via di qua! Via da Me, o maledetti! Nel fuoco eterno preparato dal
furore di Dio per il demonio e gli angeli tenebrosi e per coloro che li hanno
ascoltati nelle loro voci di libidine triplice e oscena. Io ebbi fame e non mi
sfamaste, sete e non mi dissetaste, fui nudo e non mi rivestiste, pellegrino e
mi respingeste, infermo e carcerato e non mi visitaste. Perché non avevate che
una legge: il piacere del vostro io".
Ed essi gli diranno: "Quando ti abbiamo visto affamato, assetato,
nudo, pellegrino, infermo, carcerato? In verità noi non ti abbiamo conosciuto. Non eravamo, quando Tu eri sulla
Terra".
Ed Egli risponderà loro: "È vero. Non mi avete conosciuto. Perché non
eravate quando Io ero sulla Terra.
Ma avete però conosciuto la mia Parola e avete avuto i poveri fra voi, gli
affamati, i sitibondi, i nudi, i malati, i carcerati. Perché non avete fatto ad
essi ciò che forse avreste fatto a Me?
Perché non è già detto che coloro che mi ebbero fra
loro fossero misericordiosi col Figlio dell'uomo. Non sapete che nei miei
fratelli Io sono, e dove è uno di essi
che soffra là sono Io, e che ciò che non avete fatto ad uno di questi miei
minori fratelli lo avete negato a Me, Primogenito degli uomini?
Andate e ardete nel vostro egoismo. Andate, e vi fascino
le tenebre e il gelo perché tenebra e gelo foste, pur conoscendo dove era la
Luce e il Fuoco d'Amore".
E costoro andranno all'eterno supplizio, mentre i giusti entreranno nella vita
eterna.
Queste le cose future... Ora andate. E non dividetevi
fra voi. Io vado con Giovanni e sarò a voi a metà della prima vigilia, per la
cena e per andare poi alle nostre istruzioni».
«Anche questa sera? Tutte le sere faremo questo? Io
sono tutto indolenzito dalle guazze. Non sarebbe meglio entrare ormai in
qualche casa ospitale? Sempre sotto le tende! Sempre veglianti e nelle notti,
che sono fresche e umide...», si lamenta
Giuda.
«É l'ultima notte. Domani... sarà diverso».
«Ah! Credevo che volessi andare al Getsemani tutte le
notti. Ma se è l'ultima...».
«Non ho detto questo, Giuda. Ho detto che sarà l'ultima notte da passare al campo dei
Galilei tutti uniti. Domani
prepareremo la Pasqua e consumeremo l'agnello, e poi andrò Io solo a pregare nel Getsemani. E voi potrete fare ciò
che volete».
«Ma noi verremo con Te, Signore! Quando mai abbiamo
voglia di lasciarti?», dice Pietro.
«Tu taci, che sei in colpa. Tu e lo Zelote non fate
che svolazzare qua e là appena il Maestro non vi vede. Vi tengo d'occhio. Al
Tempio... nel giorno... nelle tende lassù...», dice l'Iscariota, lieto di
denunciare.
«Basta! Se essi lo fanno, bene fanno. Ma però non mi
lasciate solo... Io ve ne prego...».
«Signore, non facciamo nulla di male. Credilo. Le
nostre azioni sono note a Dio ed il suo occhio non si torce da esse con
disgusto», dice lo Zelote.
«Lo so. Ma è inutile. E ciò che è inutile può sempre
essere dannoso. State il più possibile uniti».
Poi si volge a Matteo:
«Tu, mio buon cronista,
ripeterai a costoro la parabola
delle dieci vergini savie e delle dieci stolte, e quella del padrone che dà dei
talenti ai suoi tre servi perché li facciano fruttare, e due ne guadagnano il
doppio e l'infingardo lo sotterra. Ricordi?».
«Si, Signor mio, esattamente».
«Allora ripetile a questi. Non tutti le conoscono. E
anche quelli che le sanno avranno piacere a riascoltarle. Passate così in
sapienti discorsi il tempo sino al mio ritorno. Vegliate! Vegliate! Tenete
desto il vostro spirito. Quelle parabole sono appropriate anche a ciò che
dissi. Addio. La pace sia con voi».
Prende Giovanni per mano e si allontana con lui verso
la città... Gli altri si avviano verso il campo galileo.
Dice Gesù: «Metterai qui la seconda parte del
faticosissimo Mercoledì Santo. Notte (1945). Ricordati di segnare in rosso i
punti che ti ho detto. Dànno luce quelle parolette. Tanta luce, per chi la sa
vedere».
^^^^
Non possiamo che concordare con Gesù quando Egli
chiama Matteo ‘mio buon cronista’.
Erano tutti – Gesù, apostoli e discepoli - sul Monte
Uliveto, seduti sull’erba sotto gli alberi. Ascoltavano tutti Gesù, ma il più
attento doveva essere proprio Matteo con la sua memoria prodigiosa di
‘cronista’, impegnato questa volta non solo a ricordare il ‘succo’ ma forse a
scrivere velocemente e quasi integralmente su una tavoletta cerata questa parte
finale del discorso di Gesù, tanto il brano già all’inizio citato del Vangelo
di Matteo è fedele al discorso tenuto da Gesù nella visione trascritta dalla
mistica Valtorta.
4.3 Il Giudizio universale in parabola.
Avete appena letto sopra che Gesù dava molta
importanza alle parabole appropriate
a ciò che Egli andava dicendo, come quella delle dieci vergini stolte e delle
dieci savie e quella del Padrone che dà i talenti ai suoi tre servi perché li
facciano fruttare, parabole che Matteo dice a Gesù di ricordare ‘esattamente’, tanto che poi le metterà
‘ in succo’ nel suo Vangelo.[33]
Cosa ne direste se allora ve ne riportassi io qui una
– di parabola - che, come Matteo,
ricordo ‘esattamente’ anch’io… - e
che più ‘appropriata’ non potrebbe
essere a quanto Gesù ha sopra detto in merito al Giudizio finale? [34]
Gesù – in questo episodio dell’Opera valtortiana – lo
vediamo con i suoi apostoli a Cesarea
Marittima, splendida e ricca città della Galilea sul mar Mediterraneo, ad
una sessantina di chilometri in linea d’aria dal Lago di Tiberiade. Porto di
commerci marittimi ma anche luogo di vacanza in riva al mare. Bei palazzi,
empori raffinati, mercati dove ricchi romani – discesi da lettighe portate da
schiavi e con seguito di altri schiavi carichi di cose acquistate – discutono
oziosamente e mollemente fra di loro.
Fra questi, un gruppetto dove uno di essi, un certo Ennio - evidentemente ricchissimo oltre
che gaudente e dissoluto perché lo si capisce dai suoi discorsi - invita gli altri due: Floro Turo Cornelio e Marco
Eracleo Flavio, a partecipare ad una grande festa che si terrà in serata a
casa sua, con cibi prelibatissimi fatti appositamente giungere dall’estero e
vini eccellenti venuti dall’Italia.
Lo scopo della festa, anzi dell’orgia – risponde lui agli altri due che glielo chiedono
facendo commenti sguaiati – è quello di festeggiare le sue ‘nozze’ perché –
aggiunge lui – ben di ‘nozze’ si tratta ‘ogni qualvolta uno deliba il primo sorso ad un’anfora
chiusa’, cosa che egli avrebbe fatto quella sera avendo comprato una fanciullina
tredicenne, importata dalla Gallia come schiava, avendola pagata ben ventimila
sesterzi.
Non mancano fra i tre le battute sul ‘Nazareno’ per
colpa del quale molte donne romane alla Corte di Gerusalemme ma che sono
evidentemente in vacanza lì a Cesarea, - a
cominciare da Claudia Procula, moglie di Ponzio Pilato - si sarebbero date
da qualche tempo a costumi castigatissimi proprio dopo aver ascoltato a
Gerusalemme e anche altrove i suoi discorsi sull’anima immortale, sulla
castità, ecc. ecc.:
I due amici di Ennio sono incuriositi e sono curiosi
di saperne di più sulla fanciullina (i grassetti sono miei):
^^^^
30 aprile 1946.
(…)
«Ma dove l'hai trovata?».
«Eh! ci fu chi
fu sagace e acquistò schiavi dopo le guerre galliche e non li usò che come riproduttori, tenendoli bene, solo
soggetti a procreare per dare fiori novelli di bellezza... E Galla è un di questi. Ora è pubere, e il padrone l'ha
venduta... e io l'ho comperata... ah! ah! ah!».
«Libidinoso! ».
«Se non ero io, era un altro... Perciò... Non doveva
nascere femmina...».
«Se ti
udisse... Oh! eccolo!».
«Chi?».
«Il Nazareno
che ha stregato le nostre dame. È alle tue spalle...».
Ennio si volta come
avesse alle spalle un aspide. Guarda Gesù che avanza lentamente fra la
gente che gli si accalca intorno, povera gente del popolo e anche schiavi di
romani, e ghigna: «Quello straccione?! Le donne sono delle depravate. Ma
fuggiamo, che non streghi noi pure! Voi», dice finalmente ai poveri suoi schiavi,
rimasti tutto il tempo sotto i loro
carichi, simili a cariatidi per le quali non c'è pietà, «voi andate a casa
e lesti, ché avete perso tempo fino ad ora e i preparatori attendono le spezie,
i profumi. Di corsa! E ricordate che c'è la sferza se tutto non è pronto al
tramonto».
Gli schiavi vanno via di corsa, e più lentamente li
segue il romano coi due amici...
Gesù si avanza. Mesto,
perché ha sentito la finale della conversazione di Ennio, e dall'alto della
sua statura guarda con infinita
compassione gli schiavi correnti sotto il loro peso.
Si volge intorno, cerca altri volti di schiavi di
romani... Ne vede alcuni, trepidanti
fra la paura di esser sorpresi dagli intendenti o scacciati dagli ebrei,
mescolati fra la turba che lo stringe, e dice fermandosi: «Non vi è alcuno di quella casa fra voi?».
«No, Signore. Ma li conosciamo», rispondono gli
schiavi presenti.
«Matteo, da' loro abbondante obolo. Lo spartiranno coi
compagni perché sappiano che c'è chi li ama. E voi sappiate, e ditelo agli altri, che con la vita cessa soltanto il
dolore per quelli che furono buoni e onesti nelle loro catene, e col dolore la
differenza fra ricchi e poveri, fra liberi e schiavi. Dopo c'è un unico e
giusto Iddio per tutti, il Quale, senza tener conto di censo o di catene, darà
premio ai buoni e castigo ai non buoni. Ricordatevelo».
«Sì, o Signore. Ma
noi delle case di Claudia e Plautina
siamo abbastanza felici, come quelli di Livia
e Valeria, e ti benediciamo perché Tu ci hai migliorato la sorte», dice un
vecchio che da tutti è ascoltato come un capo.
«Per mostrarmi che mi avete gratitudine, siate sempre
più buoni, e avrete il vero Dio a vostro eterno Amico».
E Gesù alza la mano come per licenziare e benedire, e poi si addossa ad una colonna e inizia a
parlare fra l'attento silenzio della folla. Né già gli schiavi si
allontanano, ma restano, ascoltando le parole uscenti dalla bocca divina.
«Udite. Un
padre di molti figli dette ad ognuno di essi, divenuti adulti, due monete di
molto valore e disse loro: "Io non intendo più lavorare per ognuno di voi.
Ormai siete in età di guadagnarvi la vita. Perciò
dò ad ognuno uguale misura di denaro, perché la impieghiate come più vi
piace e a vostro utile. Io resterò qui
in attesa, pronto a consigliarvi, pronto
anche ad aiutarvi se per involontaria sciagura perdeste in tutto o in parte
il denaro che ora vi do. Però
ricordatevi bene che sarò inesorabile per chi lo disperde con malizia
volontaria e per i fannulloni che lo consumano o lo lasciano quale è con l'ozio
o coi vizi.
A tutti ho insegnato il Bene e il Male. Non potete perciò dire che andate
ignoranti incontro alla vita. A tutti ho dato esempio di operosità saggia e
giusta e di vita onesta.
Perciò non potete dire che vi ho corrotto lo spirito
col mio mal esempio. Io ho fatto il mio dovere. Ora voi fate il vostro, ché
scemi non siete, né impreparati, né analfabeti. Andate", e li licenziò
rimanendo solo, in attesa, nella sua casa.
I figli si sparsero per il mondo. Avevano tutti le stesse cose: due monete di gran valore,
di cui potevano liberamente disporre, e
un più grande tesoro di salute, energia, cognizioni ed esempi paterni.
Perciò avrebbero dovuto riuscire tutti ad un modo. Ma che avvenne?
Che fra i figli, chi
bene usò delle monete e si fece presto un grande e onesto tesoro con il
lavoro indefesso e onesto e una vita morigerata, regolata sugli insegnamenti
paterni; e chi sulle prime fece
onestamente fortuna, ma poi la disperse con l'ozio e le crapule; e chi fece denaro con usure o commerci
indegni; e chi non fece nulla perché fu inerte, pigro, incerto, e finì le
monete di molto valore senza aver ancora potuto trovare un'occupazione
qualsiasi.
Dopo qualche tempo, il padre di famiglia mandò servi
in ogni dove, là dove sapeva essere i suoi figli, e disse ai servi: "Direte ai miei figli di radunarsi
nella mia casa. Voglio mi rendano conto di cosa hanno fatto in questo tempo, e
rendermi conto da me stesso delle loro condizioni".
E i servi andarono per ogni dove e raggiunsero i figli
del loro padrone, fecero l'ambasciata, e ognuno tornò indietro col figlio del
padrone che aveva raggiunto.
Il padre di famiglia li accolse con molta solennità. Da padre, ma anche da giudice.
E tutti i parenti della famiglia erano presenti, e coi parenti gli amici, i
conoscenti, i servi, i compaesani e quelli dei luoghi limitrofi. Una solenne
adunanza.
Il padre era sul
suo scranno di capo famiglia, intorno a
semicerchio tutti i parenti, amici, conoscenti, servi, compaesani e
limitrofi.
Di fronte, schierati, i figli.
Anche senza interrogazioni, il loro aspetto diverso dava risposta sulla verità.
Coloro che erano stati operosi, onesti, morigerati
e avevano fatto santa fortuna, avevano l'aspetto florido, pacifico e
benestante di chi ha larghi mezzi, buona
salute e serenità di coscienza. Guardavano il padre con un sorriso buono,
riconoscente, umile ma insieme trionfante, splendente della gioia di avere
onorato il padre e la famiglia e di essere stati buoni figli, buoni cittadini e
buoni fedeli.
Quelli che avevano sciupato nell'ignavia o nel vizio i loro averi stavano mortificati, mogi, sparuti nell'aspetto
e, nelle vesti, coi segni delle crapule o della fame chiaramente impressi su
tutti loro.
Quelli che avevano fatto fortuna con delittuose manovre avevano
l'aggressività, la durezza sul volto, lo
sguardo crudele e turbato di belve che temono il domatore e che si
preparano a reagire...
Il padre iniziò l'interrogatorio da questi ultimi: "Come mai, voi che eravate di così sereno
aspetto quando partiste, ora parete fiere pronte a sbranare? Da dove vi viene
quell'aspetto?".
"La vita
ce lo ha dato. E la tua durezza di
mandarci fuori di casa. Tu ci hai messo a contatto col mondo".
"Sta bene. E che avete fatto nel mondo?".
"Ciò che potemmo per ubbidire al tuo comando di guadagnarci
la vita col niente che ci hai
dato".
"Sta bene. Mettetevi in quell'angolo...
E ora a voi, magri, malati e malvestiti. Che faceste per ridurvi così?
Eravate pure sani e ben vestiti quando partiste".
"In dieci anni gli abiti si logorano...", obbiettarono
i fannulloni.
"Non ci sono dunque più telai nel mondo che
facciano stoffe per le vesti degli uomini?".
"Sì... Ma ci vogliono denari per
comperarle...".
"Li avevate".
"In dieci anni... si sono più che finiti. Tutto
ciò che ha principio ha fine".
"Sì, se se ne leva senza mettervene. Ma perché
voi avete soltanto levato? Se aveste lavorato, potevate mettere e levare senza
che il denaro finisse, ma anzi ottenendo che aumentasse. Siete stati forse
malati?".
"No, padre".
"E allora?".
"Ci sentimmo spersi... Non sapevamo che cosa fare, che
fosse buono... Temevamo di far male. E
per non fare male non facemmo nulla".
"E non c'era il
padre vostro a cui rivolgervi per consiglio? Sono forse stato mai padre
intransigente, pauroso?".
"Oh, no! Ma ci vergognavamo di dirti: 'Non siamo
capaci di prendere iniziative'. Tu sei sempre stato così attivo... Ci siamo
nascosti per vergogna".
"Sta bene. Andate nel mezzo della stanza. A voi!
E che mi dite voi? Voi che all'aspetto della fame unite quello della malattia? Forse
che il troppo lavoro vi ha resi malati? Siate sinceri e non vi sgriderò. Alcuni
degli interpellati si gettarono in
ginocchio battendosi il petto e dicendo: "Perdonaci, o padre! Già Dio ci ha castigati e ce lo
meritiamo. Ma tu, che sei padre nostro, perdonaci!... Abbiamo iniziato bene; ma non abbiamo perseverato. Trovandoci
facilmente ricchi, dicemmo: 'Orbene, ora godiamo un po', come ci suggeriscono
gli amici, e poi torneremo al lavoro e rifaremo il disperso'. E volevamo fare
così, in verità. Tornare alle due monete
e poi rifarle fruttare, come per giuoco. E per due volte (dicono due) per tre (dice uno) ci riuscimmo. Ma poi la
fortuna ci abbandonò... e consumammo tutto il denaro”.
"Ma perché non vi siete ripresi dopo la prima
volta?".
"Perché il pane speziato del vizio corrompe il
palato, e non si può più farne senza...
"C'era vostro padre...".
‘’E’ vero. E a te sospiravamo con rimpianto e
nostalgia. Ma noi ti abbiamo offeso... Supplicavamo il Cielo di ispirarti di
chiamarci per ricevere il tuo rimprovero e il tuo perdono; questo chiedevamo e
chiediamo, più delle ricchezze che non vogliamo più, perché ci hanno
traviati".
"Sta bene. Mettetevi voi pure presso quelli di prima, al centro della
stanza. E voi, malati e poveri come questi, ma che tacete e non mostrate dolore,
che dite?".
"Ciò che dissero i primi. Che ti odiamo
perché col tuo imprudente agire ci hai rovinati. Tu che ci conoscevi non dovevi lanciarci nelle tentazioni.
Ci hai odiato e ti odiamo. Ci hai fatto questo tranello per liberarti di noi.
Sii maledetto".
"Sta bene. Andate coi primi in quell'angolo. Ed ora a voi, floridi, sereni, ricchi figli miei. Dite. Come siete giunti
a questo?"
"Mettendo
in pratica i tuoi insegnamenti, esempi, consigli, ordini, tutto. Resistendo
ai tentatori per amore di te, padre benedetto che ci hai dato la vita e la
sapienza".
"Sta bene. Venite alla mia destra e udite tutti il
mio giudizio e la mia difesa. Io ho dato a tutti ad un modo di denaro e di esempio e sapienza.
I miei figli hanno risposto in maniere diverse.
Da un padre lavoratore, onesto, morigerato, sono
usciti dei simili a lui, poi degli oziosi, dei deboli facili a cadere in tentazione e dei crudeli che odiano il padre, i fratelli e il prossimo su cui, anche
se non lo dicono lo so, hanno esercitato usura e delitto.
E nei deboli e negli oziosi ci sono i pentiti e gli impenitenti.
Ora io giudico.
I perfetti già sono alla
mia destra, pari a me nella gloria come nelle opere; i pentiti staranno di nuovo, come fanciulli ancora da istruirsi,
soggetti fino a che non avranno raggiunto il grado di capacità che li faccia di
nuovo adulti; gli impenitenti e
colpevoli siano gettati fuori dei miei confini e perseguitati dalla maledizione di chi non è più loro padre, perché il loro odio per me annulla i
rapporti della paternità e della figliolanza fra noi.
Però ricordo a tutti che ognuno si è fatto la sua sorte, perché io
ho dato a tutti le stesse cose che, nei riceventi, hanno prodotto quattro
diverse sorti, e non posso essere accusato di aver voluto il loro male".
La parabola è finita, o voi che avete ascoltato. Ed
ora vi do i paragoni di essa.
Il Padre dei Cieli è adombrato dal
padre di numerosa famiglia.
Le due monete date dal padre a tutti i figli prima di mandarli nel
mondo sono il tempo e la libera
volontà che Dio dà ad ogni uomo, perché li usi come meglio crede, dopo
essere stato ammaestrato ed edificato con la Legge e gli esempi dei giusti.
A tutti, uguali doni. Ma ogni uomo li usa come la sua volontà vuole.
Chi tesorizza il tempo, i mezzi, l'educazione, il
censo, tutto, nel bene e si mantiene sano e santo, ricco di moltiplicata
ricchezza.
Chi comincia bene e poi si stanca e disperde.
Chi non fa nulla pretendendo che gli altri facciano.
Chi accusa il Padre dei suoi errori; chi si pente,
disposto a riparare; chi non si pente e accusa e maledice come se la sua rovina
fosse stata forzata da altri.
E Dio ai giusti
dà subito premio; ai pentiti
misericordia e tempo di espiare per giungere al premio per il loro pentimento
ed espiazione; e dà maledizione e
castigo a chi calpesta l'amore con l'impenitenza conseguente al peccato. A
ognuno dà il suo.
Non disperdete dunque le due monete - il tempo e il libero arbitrio - ma usateli con
giustizia per essere alla destra del Padre e, se avete mancato, pentitevi e
abbiate fede nel misericordioso Amore. Andate. La pace sia con voi!».
Li benedice e
li guarda allontanarsi sotto il sole che inonda piazza e vie. Ma gli schiavi
sono ancora là...
«Ancor qui, poveri amici? E non sarete puniti?».
«No, Signore, se diremo che abbiamo udito Te. Le nostre padrone ti venerano. Dove
andrai ora, Signore? Ti desiderano da
tanto...».
«Presso il cordaio del porto. Ma parto questa sera, e
le vostre padrone saranno alla festa...».
«Lo diremo ugualmente. Ce lo hanno ordinato di
segnalare ogni tuo passaggio, da mesi e mesi».
«Va bene. Andate. E
voi pure fate buon uso del tempo e del pensiero, che è sempre libero anche se
l'uomo è in catene».
Gli schiavi si curvano fino a terra e se ne vanno
verso i quartieri romani. Gesù e i suoi, per una vietta modesta, verso il
porto.
^^^^
Nel
prossimo ciclo di riflessioni approfondiremo l’affermazione del Credo:
6.
CREDO NELLO SPIRITO SANTO
[1] Padre Enrico
Zoffoli: Dizionario del Cristianesimo
[2]
16, 19-31: Parabola del ricco e del povero
19C'era un uomo
ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si
dava a lauti banchetti.
20Un povero, di
nome Lazzaro, stava alla sua porta,
coperto di piaghe, 21bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla
tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
22Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli
accanto ad Abramo.
Morì anche il ricco e fu sepolto.
23Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli
occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui.
24Allora gridando
disse: «Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua
la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa
fiamma».
25Ma Abramo
rispose: «Figlio, ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e
Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo
modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti.
26Per di più, tra
noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare
da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi».
27E quello
replicò: «Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, 28perché
ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch'essi in
questo luogo di tormento».
29Ma Abramo rispose: «Hanno Mosè e
i Profeti; ascoltino loro». 30E lui replicò: «No, padre Abramo, ma
se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno». 31Abramo
rispose: «Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se
uno risorgesse dai morti»».
[3] M.V.:
L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. III, Cap. 191.5 – C.E.V.
[4] Gv 3, 1-5
[5] M.V.:
‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. IV – Cap. 290 - Centro Ed.
Valtortiano
[6] Maria
Valtorta: ‘I Quaderni del 1944’ – Dettato 11.1.44, ore 10 – C.E.V.
[7]
Rm 2, 1-8: 1 Tu dunque, o uomo, chiunque tu sia, ti rendi
inescusabile, perché nel giudicare gli altri condanni te stesso, facendo le
medesime cose che tu condanni. Ciascuno sarà giudicato secondo le opere 2 Or
noi sappiamo che il giudizio di Dio contro coloro che fanno tali cose è secondo
verità. 3 E tu, o uomo che giudichi quelli che fanno tali cose e le
fai, credi forse di sfuggire al giudizio di Dio? 4 Ovvero disprezzi
le ricchezze della sua bontà, della sua pazienza, della sua tolleranza? E non
sai che la bontà di Dio t’invita a penitenza? 5 Ma tu, colla tua
durezza e col cuore impenitente, ti accumuli un tesoro d’ira pel giorno
dell’ira e della manifestazione del giusto giudizio di Dio, 6 che
renderà a ciascuno secondo le opere: 7 a quelli che, perseveranti
nel bene, cercano la gloria, l’onore e l’immortalità, la vita eterna; 8
a quelli che, ostinati, non dànno retta alla verità, ma obbediscono
all’ingiustizia, ira e indignazione.
[8] M.V.: ‘Lezioni
sull’Epistola di Paolo ai romani’ – Dettato 11 gennaio 1948 – Lezione 7a -
C.E.V.
[9] Matteo 7, 21;
Luca 6, 46
[10] 2 Luca 18,
9-14
[11] Matteo, Capp.
5, 6, 7
[12] Matteo 7, 1;
Luca 6, 37
[13] Galati 5, 22
[14] M.V.:
‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. VII, Cap. 451.6 – C.E.V.
[15]
Rm 2, 12: 12 Tutti quelli che senza legge hanno
peccato, senza legge periranno; e tutti quelli che sotto una legge han peccato,
saranno da essa condannati; 13 non quelli infatti che ascoltano
la legge son giusti dinanzi a Dio, ma quelli che la mettono in pratica saranno giustificati. 14 Quando i
Gentili, che non hanno legge, fanno
naturalmente ciò che la legge impone, non avendo legge, son legge a se stessi; 15 e
mostrano che il tenor della legge è
scritto nel loro cuore, testimone la loro coscienza ed i pensieri che a
vicenda tra di loro accusano od anche difendono, 16 nel giorno in
cui, secondo il mio Vangelo, Dio giudicherà per mezzo di Gesù Cristo le azioni
segrete degli uomini.
M.V.: ‘Lezioni
sull’Epistola di Paolo ai romani’ – Dettato 16.1.1948 – C.E.V.
[16] Maria
Valtorta: ‘Lezioni sull’Epistola di Paolo ai Romani’ – Dettato 16.01.48 –
C.E.V.
[17] Luca 2, 14
[18] Genesi 1, 27
[19] Matteo 25,
14-30
[20] Apocalisse 5,
9-10
[21] Matteo 27,
45-50
[22] Ap 7, 2-3
[23] M.V.:
‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. VII – Cap. 456.5 – C.E.V.
[24] N.d.A.: Per
maggiori ragguagli sul Limbo come inteso nell'Opera della grande mistica,
vedere fra i tanti brani - da 'L'Evangelo come mi è stato rivelato' di Maria
Valtorta - i seguenti: Capp. 157.4, 208.2, 300.4, 305.5, 406.7, 406.8, 406.9,
406.10, 406.11, 406.12, 444.6, 520.7, 534.4, 550.4
[25] M.V.:
'L'Evangelo come mi è stato rivelato' in 10 volumi, Vol. VII, Cap. 444.6 -
Centro Ed. Valtortiano
[26] N.d.A.:
Giudizio di Dio che terrà ovviamente conto anche del sempre possibile
‘pentimento perfetto’
[27] Rm 2, 9-10-11: 9 Tribolazione ed angoscia sopra ogni
anima d’uomo che fa il male, del Giudeo prima, poi del Greco; 10 gloria
e onore e pace a chiunque fa il bene, al Giudeo prima, poi al Greco; 11 perché
non v’è accettazione di persone avanti a Dio.
[28] M.V.: 'Lezioni
sull'Epistola di Paolo ai Romani' - 14.01.48 - Centro Ed. Valtortiano
[29] M.V.:
'L'Evangelo come mi è stato rivelato' - 'I Quaderni del 1944' - Dettato 15.01.44 - C.E.V.
[30]
N.d.A.: con riferimento alla precedente frase di Gesù: ‘Io ve lo
dico, io che pur l’ho creato quel luogo: quando
sono sceso in esso per trarre dal Limbo coloro che attendevano la mia
venuta, ho avuto orrore,
io, Dio, di quell’orrore; e, se cosa fatta da Dio non fosse
immutabile perché perfetta, avrei voluto renderlo meno atroce, perché sono
l’Amore e di quell’orrore ho avuto dolore…’, frase che sembra fare intendere
che Gesù dopo la sua Morte sarebbe disceso all’Inferno,
ritengo opportuno richiamare qui per la seconda volta l’attenzione sulla
spiegazione data dallo stesso Gesù valtortiano riportata nel precedente
paragrafo 4.2 del ‘Capitolo 4. Cattura di Gesù al Getsemani, processo, morte,
sepoltura e discesa agli Inferi’, di cui alla precedente riflessione sul Credo:
‘3. PATÌ SOTTO PONZIO PILATO, FU
CROCIFISSO, MORÌ E FU SEPOLTO; DISCESE AGLI INFERI’:
^^^^
In
data 31.1.47 (Quaderni 1945/1950) la mistica chiede, infatti, a Gesù se Egli
voglia soddisfare una domanda che le era stata fatta tempo addietro da un Padre
Servita, forse G.P. Berti, per propria iniziativa o suggerimento di altri, circa la discesa di Gesù all’Inferno,
termine quest’ultimo contenuto in un precedente dettato e che lei pensava
avesse ‘urtato’ qualcuno, parola che lei incidentalmente aveva appunto
ritrovato accennata in un Dettato di Gesù del 15.1.44.
Scrive Maria Valtorta
(i grassetti sono sempre i mei):
^^^^
31-1-47.
(…)
Mi permetto anche di
ripetere a Gesù, presente e
buonissimo, una domanda che mi fu fatta da qualche Padre Servita, non so di
preciso chi, ma mi sembra P. Berti, non so se per propria iniziativa o per
suggerimento di altri, circa la discesa
di Gesù all’inferno, e che incidentalmente ho ritrovata accennata in data
15.1.44 e che sembra abbia urtato qualcuno.
Mi risponde...
Giunge ora la lettera di P. Berti che mi chiede di fare un pro-memoria da presentarsi al S.
Padre.
E Gesù sorridendo, tutto luminoso, mi dice appena mi viene portata la lettera: “Aprila
e leggila”.
Cosa che faccio,
rimanendo sbalordita come tutte le volte che c’è rispondenza fra le parole di
Gesù e ciò che succede.
Gesù, sempre sorridendo, dice: “Ecco perché proprio ora, dopo quattro mesi, ti
accontento e per questo Padre, al quale ti ho detto già che potevi comunicare questo
punto.
Per gli altri punti,
sai a chi devi e quando e come notificarli. E ora ascolta, ché ripeto il
principio”.
Dice
Gesù:
«Darai queste parole a P. Berti, ormai
sai che è lui che te ne chiese: Quando alla mia Maria ho dettato il dettato
del 15.1.44 e ho detto: “quando sono sceso in
esso per trarre dal limbo coloro che attendevano la mia venuta ho avuto
orrore di quell’orrore e, se cosa fatta da Dio non fosse immutabile perché
perfetta, avrei voluto renderlo meno atroce perché sono l’Amore e di
quell’orrore ho avuto dolore”, ho voluto
parlare dei diversi luoghi d’oltre tomba, dove erano i trapassati, presi in
generale, e detti “inferno” per opposizione al Paradiso dove è Dio.
Quando, nel
sovrabbondare del mio gaudio dopo la
consumazione del Sacrificio, io ho potuto aprire il Limbo ai giusti e trarre
dal Purgatorio moltissimi spiriti, ho fremuto di orrore contemplando nel
mio pensiero che solo per il luogo di
dannazione non c’era redenzione né mutazione di orrore. Ma non entrai in esso. Non era
giusto e utile farlo.
Vi stupisce che abbia
tratto anche dal Purgatorio molte
anime?
Pensate: se una S.
Messa può liberare un penante, e sempre serve ad abbreviare e addolcire la
purgazione, cosa non sarà stato il reale Sacrificio dell’Agnello divino per i
purganti?
Io,
Sacerdote e Vittima, ho ad essi applicato i miei meriti e il mio Sangue,
ed Esso ha fatto bianche le stole non ancor totalmente fatte candide dal bianco
fuoco della carità purgativa[30].
Mandagli questo e la
mia benedizione.»
[31] Mt 25, 31-46 –
La Sacra Bibbia – Ed. CEI 2008
[32] Maria Valtorta:
‘L’Evangelo…’ – Vol. IX, Cap. 596.43/52 - Ed. CEV
[33] Mt 25, 1-30 –
La Sacra Bibbia
[34] M.V.:
‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. VI, Cap. 425.7-10 - Centro Ed.
Valtortiano