PENSIERI A
VOCE ALTA
di Guido
Landolina
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i 'Pensieri a voce alta', clicca
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8.1.2018
Pensieri a voce alta (in pillole)
di Guido Landolina
Vedi anche in Sezione Opere del sito
da 'I 4 NOVISSIMI', di Guido Landolina - Sezione Opere - Vol. I, Cap.
24
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8.1.2018
130. Non voglio morire!
Care amici ed amiche,
nel mio ultimo
'Pensiero a voce alta' (in pillole) n. 129 del 5 gennaio scorso, ho affrontato
in una paginetta il tema della Eutanasia,
detta anche 'dolce morte'.
Eccovi ora, questa
volta in tre paginette, un'altra riflessione che è in qualche modo collegata al
precedente tema.
Nella moderna società,
tutta volta al benessere ed al volere il meglio dalla vita, tendiamo a
rimuovere il pensiero della morte in sé e per sé.
Chi ne parla è un
'menagramo', e figuriamoci poi se ne parlassero in chiesa, figuriamoci…
Eppure è lì che se ne
dovrebbe parlare perché in una chiesa, in cui sperabilmente ci si va perché
preoccupati della nostra anima, le omelie - pur con il dovuto tatto - non dovrebbero,
almeno ogni tanto, trascurare questo tema.
Possiamo fin da ora,
con un semplice click, interrompere questa mia lettura. Ma non sarebbe una vile
fuga?
Non vogliamo parlare
per scaramanzia della 'nostra' morte? E allora parliamo di quella degli… 'altri'.
Se ne parla ad
esempio in occasione dei funerali, un paio di giorni dopo, ma in termini
piuttosto generici, elogiando meriti e vita dell'amico od amica scomparsa,
senza comunque quasi mai pensare che la sua anima è stata già 'giudicata' da Dio ed inviata al suo destino, sperabilmente
fausto, sin dal primo attimo
infinitesimale della sua nuova esistenza.
'Alea iacta est', il
dado è stato ormai tratto? Tutte inutili le tardive preghiere? No, se non fosse
per il fatto che Dio Onnisciente, nel suo Eterno Presente, le vede in anticipo e
in qualche modo voglio sperare ne tenga conto, certo per quelli che si salvano
in Purgatorio ma hanno tanto cammino da fare.
E' più che legittimo
per noi dirci, anche inconsciamente 'Non
voglio morire', ma questo non significa - spiritualmente parlando - che si
debba nascondere la polvere sotto il tappeto perdendo così un'ottima opportunità
di meditazione.
E' infatti evidente
che tutti dobbiamo morire e questa è dunque una realtà di fronte alla quale non
serve nascondersi ma anzi che essa debba essere valutata per affrontarla
'vittoriosamente' nel migliore dei modi.
La morte è sempre una cosa tremenda sia per la
sofferenza fisica che per quella morale e spirituale che la precede.
Anche questa situazione dolorosa è però - spiritualmente
parlando - 'giusta' perché essa
rappresenta l'ultima possibilità di
espiazione in vita offertaci da Dio per quanto di grave potremmo aver fatto
in terra.[1]
Dio, nel comminare un destino di morte fisica ai
due Progenitori dopo il Peccato originale, ha compiuto un atto di Giustizia quanto alla loro Colpa ma nel contempo uno di Misericordia offrendo, con quest'ultima
espiazione, ad essi ed a noi una maggiore opportunità di salvezza.
Triste il morire pensando al mondo che si lascia e
che ci appare in quel momento molto bello, per quanto per tanti altri aspetti
esso possa essere stato invece tremendo.
La paura
di disintegrarci nel nulla, quella di rimanere dopo po' di tempo solo uno
sbiadito ricordo persino per i nostri famigliari più cari, quella di essere
anzi del tutto dimenticati già dalla generazione successiva, la paura inoltre
di lasciare i nostri affari ai quali eravamo tanto attaccati al punto di farne
degli 'dei' ai quali dedicare tutto il nostro tempo sottraendolo alla famiglia,
la paura del distacco dai nostri beni materiali che abbiamo tanto amato, e così
via.
E poi, altra paura: 'Se si disintegrerà nel nulla
oltre che il corpo anche la nostra anima (che però dubitiamo spesso che
esista), che ne sarà allora di noi, del nostro 'io', dei nostri ricordi, dei
nostri affetti?'
E se invece l'anima esistesse e pure l'Aldilà? E se
l'Inferno non fosse una fantasia?
Quante domande!
Ed ecco
la nostra paura: non voglio morire!
È l'urlo strozzato che potremmo gridare
all'indirizzo di Dio ma che ci è messo in bocca da Satana che spera che
quell'ultimo grido di maledizione ci rimanga nella strozza mentre lui ci
ghermisce ghignando e ci porta all'Inferno.
No, bisogna imparare ad 'allenarci' per tempo all'idea di morire, abituandoci
gradatamente all'idea di abbandonarci fiduciosi a Dio sapendo che Lui - proprio in virtù di questo nostro abbandono
alla Sua sapiente e divina Volontà - 'organizzerà' il tutto nel migliore
dei modi, molto meglio di quanto noi avevamo temuto: è questa la vera 'dolce morte', è questa la vera 'eutanasia'!
Una morte nel Signore diventa garanzia di salvezza
in Cielo, la rassegnazione alla volontà di Dio diventa una sorta di indulgenza
plenaria, una morte nel Signore si traduce in un trapasso sereno con Gesù il
quale di lì a breve ci dovrà giudicare ma che - grazie al nostro abbandono - ci
tiene fra le braccia, per non dire sul cuore.
[1] Maria
Valtorta: 'I
Quaderni del ‘1945-1950' - 14.7.1946 - C.E.V.