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Pubblicato da in Articoli di Elia - La scure ·
Tags: seminarinuovo cristianesimo
La scure
Iam enim securis ad radicem arborum posita est.
(Mt 3, 10)

Sacerdote cattolico
Elia
Per grazia di Dio, sono sacerdote dal 1995 e dottore in teologia da quest’anno; mi sono formato e ho servito la Chiesa in Italia e all’estero. Ho anche studiato da compositore e direttore di coro nella grande tradizione della musica sacra cattolica. Anche se preferirei così, non mi presento con il mio vero nome per ragioni di necessità superiore: per poter continuare ad esercitare il mio ministero; per non correre il rischio di pormi formalmente fuori della comunione ecclesiastica; per non scandalizzare quanti mi conoscono e non hanno gli elementi per condividere le mie valutazioni circa la situazione attuale. Quando sarò moralmente e spiritualmente certo che il Signore vuole che io esca allo scoperto, sarò ben felice di farlo; non ho alcun timore di difendere le mie affermazioni. A dispetto di quanto si potrebbe credere, non provengo da un ambiente tradizionalista: piuttosto il contrario. Vent’anni di esperienza pastorale, tuttavia, mi hanno aperto gli occhi sia sui gravi limiti della formazione ricevuta, sia sulle reali condizioni del Popolo di Dio.
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sabato 14 gennaio 2017

Come il chicco di grano

«Che cosa credete che facevamo in seminario?». Questa volta, nonostante le apparenze, non è una vergognosa ammissione. È la candida “confessione” di un giovane sacerdote cui il vescovo ha minacciato la sospensione a divinis qualora si azzardi a celebrare in rito antico. «Lei sa celebrare la Messa tradizionale, Padre?», è stata la spontanea reazione. «Certo, ho imparato durante gli studi. Che cosa credete che facevamo in seminario?». Grandioso. C’è tutto un movimento sotterraneo che sta crescendo silenziosamente fra seminaristi e giovani preti, sotto il naso di quella nomenklatura al potere che come una banderuola, quattro anni fa, ha repentinamente quanto radicalmente cambiato orientamento. Non ci si può opporre a Dio. Ecco i veri segni dei tempi di cui si riempiono la bocca nei loro stanchi ritornelli, che nessuno vuol più sentire. Poi si rompono il capo per capire come mai i ragazzi scappino dalle parrocchie appena ricevuti i sacramenti…

Ci avevano confezionato un nuovo “cristianesimo” facile e piacevole, al passo coi tempi, sensibile ai temi del mondo moderno e alle attese dell’uomo contemporaneo, senza regole, sacrifici, rinunce, penitenze, retaggio di un oscuro Medioevo in totale contraddizione con il Vangelo, quel lieto annunzio di liberazione, pace, gioia, amore e fraternità universale rimasto disatteso per quasi due millenni… Finalmente l’utopia diventava realtà; la Chiesa ritrovava la sua vera identità di rete informale di piccole comunità autarchiche, la liturgia rifioriva nella creatività dell’improvvisazione, Gesù poteva di nuovo passare fra la gente con la sua parola liberatrice e tutti, ortodossi, protestanti, ebrei, musulmani, buddhisti, indù, atei o animisti – che lo gradissero o meno – erano promossi a nostri fratelli. L’attesa escatologica si era miracolosamente compiuta: il “regno” era ormai fra noi, bastava convincersene e farlo sapere agli altri.

Su ciò che non andava, nella Chiesa o nel mondo, bisognava solo chiudere gli occhi; se proprio non era possibile, la soluzione era derubricare a debolezza o anomalia quanto fino allora considerato peccato, aggiornando l’arretrata morale cattolica alla luce degli ultimi dati della psicologia e della sociologia. Chi, nonostante l’arrivo dei tempi messianici, commetteva ancora crimini assolutamente inammissibili andava paternalisticamente compatito come qualcuno che non aveva capito la verità e a cui, di conseguenza, si sarebbe dovuto spiegare perché sbagliava. La fede coincideva con le giuste idee che assicuravano la salvezza – una salvezza del tutto terrena che si riassumeva in un vago benessere psichico conseguente al superamento delle alienazioni contemporanee. Nessuno, a quanto pare, s’era avveduto che quelle alienazioni derivavano proprio dall’abbandono della fede ricevuta e dei suoi modi tradizionali di esprimersi e nutrirsi.

Come meravigliarsi che questo “cristianesimo” nuova versione non dica più niente a nessuno? Come stupirsi che questo suo surrogato artificiale e posticcio risulti sempre più irritante e noioso, se non quando è oggetto di irrisione o di disprezzo? Abbiamo usato il nome di Dio invano, in modo da farlo bestemmiare e da rendere la fede irrilevante. Ciò che non costa nulla, ciò che dovrebbe venire spontaneo non appena se ne parli… non riveste il minimo interesse, eccetto per quelli che scelgono deliberatamente di vivere nell’illusione e di sostituire la realtà con l’immaginario della loro fantasia di persone immature. Tolti pochi individui di buona volontà sinceramente impegnati, ma spesso irretiti dall’ideologia loro inculcata, le parrocchie rigurgitano di gente che si agita per farsi notare sul miserabile palcoscenico della “pastorale creativa” o per realizzare improbabili progetti partoriti da una mente contorta in una curia diocesana.

Ma ecco che proprio quanto era stato irreversibilmente bandito come espressione di una religione crudele, retrograda, alienante e oscurantista ritorna a poco a poco a galla, senza far rumore. Non sono nostalgici o fondamentalisti a riesumarlo, ma adolescenti e giovani che scoprono che esiste qualcosa di serio per cui valga la pena vivere ed eventualmente consacrarsi. Ciò che costa sforzo e sacrificio deve aver valore – e la vita va pur spesa per qualcosa che abbia valore. Il soffocante nichilismo attuale non è imputabile esclusivamente agli indirizzi filosofici della modernità, ma anche al fatto che tutta una generazione di preti e religiosi gli ha spalancato le porte della Chiesa. Si può pure comprendere, con l’occhio dello storico, il loro personale disagio esistenziale in un’epoca segnata da profondi stravolgimenti politici, culturali ed economici, ma visti i risultati non si può certo dire che le loro scelte siano state vincenti. Sarebbe tempo di ammetterlo…

«Che non vi accada di trovarvi a combattere contro Dio» (At 5, 39). Perché i grandi esperti della Parola fanno così fatica ad attualizzare ciò che li concerne? Forse perché questo li obbligherebbe a convertirsi? Eppure «tutti dobbiamo comparire dinanzi al tribunale di Cristo» (2 Cor 5, 10)… e non vengano a raccontarci che questa è soltanto un’espressione pedagogica da demitizzare. È consolante costatare che, per molti seminaristi attuali, Bultmann, Rahner, Teilhard de Chardin e compagnia sono illustri sconosciuti o tutt’al più oscuri nomi che trovano giusto nei libri. Il vento autunnale porta via le foglie secche; poi, sotto la soffice coltre di neve, il frumento gettato nel terreno germoglia e cresce di nascosto, ma deve necessariamente spuntare e svilupparsi fino alla messe. «Guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura» (Gv 4, 35).

Per vederli, basta avere occhi non bendati dall’ideologia, ma rischiarati dallo Spirito. I giovani amanti della Tradizione non sono rigidi o insicuri, ma persone che si stanno realmente liberando dalle alienazioni indotte da una cultura perversa cui la “nuova chiesa” ha fatto da cassa di risonanza. Quando le deficienze inerenti alla natura umana decaduta o – peggio – le patologie di una società malata, sotto l’influsso della psicanalisi, sono considerate parte integrante dell’ordinario (e quindi inevitabile) funzionamento dell’uomo, si rischia davvero di alienarsi di brutto. Se uno si sente dire, in seminario o in convento, che non solo non si può fare a meno di un’attività sessuale, ma che l’impurità e le perversioni sono comuni a tutti, non potrà mai coltivare la castità, a meno che, per una grazia singolare, non si accorga dell’inganno. Rifiutarsi di essere manipolati non è indice di rigidità mentale, ma segno di libertà interiore e di consapevolezza del pericolo.

Avanti, dunque, senza paura! Sono lor signori che temono giovani svegli che non abboccano più. Sanno benissimo che, se si applicasse realmente il Summorum Pontificum, la situazione sfuggirebbe loro di mano: l’assiduità alla vera Messa dissolve la soggezione a un sistema totalitario impostosi con una colossale manipolazione collettiva di cui il novus ordo è il principale strumento. Chi celebra o assiste al divin Sacrificio nella forma che ci è stata consegnata, piuttosto che in quella inventata a tavolino per compiacere protestanti e massoni, comincia a sentirsi come un re che ha ricuperato i suoi domini. Più questa partecipazione è gravosa o rischiosa, più abbondante ne è il frutto spirituale. Lancio dunque un appello ai seminaristi e ai giovani sacerdoti: fatelo sempre di più – magari di nascosto, ma fatelo. È paradossale doversi esprimere così, ma che volete: è tutto capovolto. Soprattutto consacrate voi stessi e le vostre comunità al Cuore immacolato di Maria: sarà Lei a far crollare il sistema (come ha già fatto con l’impero sovietico), ma vuole servirsi di voi.


Pubblicato da Elia a
sabato 7 gennaio 2017


La terza via

La crisi nella Chiesa è talmente grave che i sani dovrebbero far quadrato. È vero, senza ombra di dubbio. Tuttavia, se mi soffermo a osservare i difetti di certi ambienti tradizionalisti, non è per il gusto di “fare le pulci” agli altri, ma per segnalare gravi pericoli che nascono da un’impostazione tendenzialmente settaria e dall’isolamento in cui si sono deliberatamente rinchiusi. Non si tratta di piccole magagne o di dettagli di secondaria importanza, bensì dell’essenza stessa della vita cristiana; la posta in gioco è l’essere realmente sani dal punto di vista soprannaturale.

L’adesione alla verità oggettiva non può prescindere completamente dalle condizioni del soggetto che deve conoscerla e praticarla. Una tendenza eccessivamente spiccata all’astrazione finisce col perdere di vista la realtà concreta delle persone, che è evidente al semplice buon senso. Un sistema di pensiero apparentemente perfetto (perché ogni cosa è incasellata in un posto preciso e ogni problema ha una soluzione prestabilita) rischia di passar sopra le situazioni effettive degli individui e della loro epoca storica, inquadrandole in una bella cornice ma lasciandole sostanzialmente come sono. Tali considerazioni non sono un cedimento allo storicismo, al relativismo o al soggettivismo, ma una semplice professione di sano realismo.

La tendenza oggettivante e astraente, tipica dell’uomo, legata alla sua propensione a porsi di fronte al mondo come a una realtà da conoscere e trasformare in base alle sue necessità e interessi, ha bisogno di essere contemperata dal senso della vita caratteristico della donna, il cui temperamento materno la rende sensibile alle condizioni delle persone, ai loro bisogni e alle aspirazioni che le abitano. «Non è bene che l’uomo sia solo» (Gen 2, 18): è molto più di un problema di solitudine, è un’esigenza di reciproco completamento. L’essere umano ha pure bisogno, viceversa, di un padre che, distaccandolo dalla madre, lo renda capace di un’esistenza autonoma e di un giudizio che non sia assoggettato ai sentimenti o alle emozioni.

L’equilibrio tra i due atteggiamenti è un’arte che si apprende alla scuola di Gesù e di Maria. Anche l’esercizio del ministero sacerdotale deve comporre armonicamente in sé tratti paterni e materni per poter realmente generare, nutrire ed educare le anime alla vita divina; un eccesso in un senso o nell’altro è comunque deleterio. La scomparsa del padre è un fenomeno che accomuna la società e la Chiesa odierne; di qui la deriva nel sentimentalismo soggettivo, in convincimenti personali tanto arbitrari quanto ottusi e pertinaci, in ambigui e asfissianti rapporti di fusione o di ricatto… È il trionfo di una “maternità” abusiva e deformata che soffoca i propri figli.

Là dove invece prevale un sistema unilateralmente mascolino, le cose non vanno necessariamente meglio per il semplice fatto che si evitano le deviazioni appena menzionate. In questo caso, infatti, la dottrina cristiana rischia di trasformarsi in un’arida costruzione intellettuale che può compiacere l’intelligenza, ma non è realmente accolta nel cuore così da poter plasmare la coscienza; il culto e la preghiera possono ridursi a mera esecuzione di riti e di formule che, per la freddezza e il distacco di chi la compie, si risolve facilmente in una disastrosa controevangelizzazione, specialmente dei più giovani; la vita morale può assumere i contorni di un’indifferente ottemperanza a una disciplina esteriore, che scade rapidamente nell’ipocrisia e nel cinismo. Per crescere in una vita genuinamente cristiana non basta conoscere a memoria gli asserti del catechismo o applicare un metodo di valutazione morale come si trattasse di un’equazione matematica.

Sono forse vaghi rischi o questioni marginali, queste? Chi legge giudichi. Se qualcosa di buono la modernità ha portato, è una maggiore consapevolezza dell’importanza del soggetto, anche nella vita di fede. Riconoscere questo è forse un’apertura al modernismo? Non mi sembra proprio. È piuttosto un’esigenza di fedeltà a quella verità rivelata che deve essere accolta in profondità da persone reali, non da puri spiriti o da astratte entità mentali. L’esigenza “maschile” di obiettività richiede che essa sia presentata per quello che è, non per quello che piace a chi parla o a chi ascolta; l’attenzione “femminile” alle condizioni concrete dei destinatari spinge a cercare il modo più adatto perché essa sia effettivamente recepita e compresa in modo vitale.

L’esperienza bimillenaria della Chiesa, nonché quella diretta di ogni buon evangelizzatore, lo conferma. Non si sono mai ottenuti buoni risultati asfaltando le menti di formule e precetti; sotto lo strato di bitume le male erbe continuano a svilupparsi indisturbate, fino a forarlo… e il giorno in cui questo accade, amare sono le sorprese, specie nella vita di un sacerdote o di un consacrato. È forse meglio – obietterà qualcuno – che l’esistenza di un cattolico (chierico, religioso o laico) sprofondi direttamente nel marcio per l’assenza di qualsiasi regola? Non intendo certo questo: evidenziare un inconveniente non significa approvare quello opposto; vorrei soltanto, se possibile, trovare una via equilibrata. È faticoso, certo, ma chiunque abbia a cuore la salvezza delle anime non se ne può esimere. Tra lo sbraco e l’indottrinamento, perché non tentare con la persuasione?

È indubbio che la liturgia tradizionale trasmetta la fede integra, renda a Dio il culto che gli è gradito e sia più efficace per il bene spirituale dei fedeli; in una parola, è il baluardo della vera religione. Ma mezzo secolo di mistificazioni non si cancella in un attimo. Le persone hanno bisogno di tempo – nonché di una grazia del tutto speciale – per modificare le prospettive e le coordinate della mente e del cuore; chi scrive lo sa per esperienza personale. Vogliamo essere meno pazienti del buon Dio e costringere la gente a un salto mortale? Siamo sicuri che ce la faranno o che, al contrario, non abbandoneranno l’impresa scoraggiati senza neanche la possibilità di tornare a ciò che avevano prima, di cui avremo fatto terra bruciata? La responsabilità è troppo grande; la Chiesa non è una piccola élite riservata a chi ha una buona dose di intellettualismo e di volontarismo – ammesso che capisca qualcosa all’infuori delle istruzioni che riceve in vernacolo, costretto perciò, sospeso com’è sul vuoto, ad aggrapparsi ad esse senza altri appigli… Non credo che il Signore voglia soldatini impassibili e manovrabili a comando: Gloria Dei vivens homo.

Non si tratta di salvare capra e cavoli, ma di cercare una via che sia accessibile al maggior numero possibile di anime. Non si possono mettere i fedeli davanti all’alternativa: o la Messa tradizionale o niente, così come non si può accusare indistintamente tutta l’attuale gerarchia cattolica di essere modernista e di celebrare in modo da far perdere la fede alla gente. È vero che le omissioni presenti nel novus ordo, a lungo andare, possono intaccare la fede fino a dissolverla, specie a causa dello stile celebrativo più diffuso; ma a chi non è in grado di fare subito il salto non si può offrire altro che la nuova Messa celebrata con la mens e lo stile dell’antica (e già questo, per molti, è un trauma). Ci vuole un’infinita pazienza per operare come, del resto, fa Dio con ognuno di noi, prendendo ciascuno per mano là dove si trova e conducendolo, al suo passo, verso il meglio; di colpo non ce la farebbe. Non poniamo perciò alla grazia limiti troppo stretti, come se la sopravvivenza della Chiesa dipendesse da ciò che facciamo noi: il Salvatore è uno solo e la Sposa appartiene a Lui.


Pubblicato da Elia a   
sabato 31 dicembre 2016


In vetere novum

Un anno si chiude con la rovina dei progetti criminali dell’Occidente in Siria, la cui regia sionista non può essere taciuta. Sei milioni di sfollati e un quarto di milione di morti, secondo le stime: alla “sicurezza” di Israele può bastare? La bestia nera, poco prima dell’estremo rantolo, sta assestando le ultime zampate per puro spirito di vendetta, fino a prendersela con il coro dell’armata russa; una potenza troppo rozza per apprezzare l’arte, sa solo gettare bombe, addestrare tagliagole armandoli fino ai denti e ordire finti incidenti o falsi attentati. Sul fronte opposto la strategia dell’intelligenza, portata avanti con nervi saldissimi, perseveranza imbattibile e una forza di volontà inossidabile, ha avuto ragione di una coalizione di potenza economica e militare ben superiore. La forza usata con finezza, puntualità e parsimonia ottiene ben di più che aggressioni brutali, se non irrazionali.

Il 2017 vedrà finalmente la consacrazione della Russia al Cuore immacolato di Maria? Ci vorrebbe un miracolo, ma non è mai detto. In ogni caso, sembra proprio che il dispiegamento del “nuovo ordine mondiale” abbia incontrato un intoppo considerevole. Se gli occidentali persistono con le provocazioni, potremmo presto sperimentare l’efficienza di un esercito che ha ribaltato le sorti del Medio Oriente. Non ci auguriamo certo un’occupazione per il semplice gusto di vedere com’è, ma se non altro ci sbarazzeremmo di tanti parassiti che “governano” l’Europa per conto terzi, per non parlare degli ecclesiastici apostati che potrebbero ricevere una buona lezione di ortodossia… Se – da quanto si dice – il clero russo si distingue per sete di denaro e di potere, almeno sulla fede non traligna (cosa che preserva da altri vizi, più diffusi nel clero modernista).

Da noi ci hanno convinto che ci si può convertire e seguire Cristo senza rinnegare il peccato né iniziare a combattere i propri difetti. A seconda del movimento cattolico che uno sceglie, per essere cristiani sembra che bastino forti emozioni religiose, oppure un’aggiornata formazione intellettuale, oppure ancora interminabili scambi di vedute con il pretesto di ascoltare la Parola… Si propongono cicli di catechesi che durano anche anni, ma in cui non si sfiorano nemmeno i nodi centrali del cambiamento di vita; mai si insegnano le antiche prassi, utili a correggersi e mortificarsi onde poter purificare il cuore e imparare a cooperare con la grazia in modo reale, piuttosto che a chiacchiere. Lo sbrodolarsi addosso con i propri sproloqui compiaciuti è diventato la suprema virtù; poi poco importa che i peccati mortali siano ancora ammessi o tollerati.

Il paradosso è che questo nuovo “cristianesimo” fatto di valori pensati e discussi, in cinquant’anni, si è sedimentato in una sorta di nuova “tradizione” che per molti è ormai normativa; di conseguenza si tende ora a considerare “conservatore” chi si affanna a difenderla, per quanto sia un’invenzione del tutto recente, mentre chi coltiva la Tradizione di sempre appare come un marziano… Il dramma di molti gruppi e comunità di fedeli, oggi, è che l’incessante evoluzione inerente al modernismo, che con questo pontificato ha conosciuto un enorme balzo in avanti, rende obsoleto quanto fino a ieri era il loro cavallo di battaglia, il fondamento della loro identità, la ragion d’essere della loro aggregazione. Per non andare in crisi, allora, l’unica alternativa è soffocare ogni domanda e buttarsi a corpo morto nel franceschianesimo – e guai a chi mi rimette dei dubbi, non ho più nient’altro a cui aggrapparmi nella vita spirituale.

Chi invece ha il coraggio di provare la sola novità credibile (ossia il ritorno a ciò che ci è stato consegnato dal passato), senza curarsi dei giudizi e dei commenti di quanti hanno camminato con lui fino a quel momento, ritrova di colpo luce, pace e orientamento. Certo, è una grazia che non a tutti è concessa; per questo non è giusto abbandonare i vecchi compagni di viaggio al loro destino. Ma è pur vero, viceversa, che la grazia chiede di essere accolta; ogni volta che qualcuno lo fa, il dono ricevuto comincia silenziosamente a irradiarsi, impregnando per osmosi il suo ambiente e attirando altri alla stessa scoperta. Quando una persona è ben disposta, il rito antico le parla anche senza una comprensione letterale dei testi: si capisce da dentro, come mi confidava una fedele poco prima di Natale. Non è più un martellamento di idee che dall’esterno ti devono convincere, ma una realtà che si comunica interiormente a chi è aperto.

All’epoca della mia adolescenza e giovinezza, gli ambienti chiesastici conoscevano un solo imperativo: sensibilizzarsi ovvero coscientizzarsi (che brutto neologismo!). Bisognava avere tutti le idee giuste secondo le quali cambiare il mondo; la liturgia non era altro che un pretesto o un veicolo per la loro diffusione. Ma le idee cambiano continuamente, sospinte come schiuma dalle onde di questo mondo liquido e fluttuante; così oggi non si predica più la promozione umana nei Paesi del Terzo Mondo, bensì l’accoglienza senza limiti e il presepe multiculturale… Ci si sente buoni perché si dà ascolto ai comizi clericali e qualche spiccio alla mafia che sfrutta i poveri immigrati, dopo averli strappati alle loro case e sbarcati qui da noi. Che dire poi di un papa mancato che – come se non bastasse – ha il chiodo fisso del meticciato e lo infila dappertutto? È proprio un’altra religione, funzionale al Piano Kalergi; è un po’ tardi per accorgersene, ma meglio tardi che mai.

Negli ultimi decenni, anche nella Chiesa, ne abbiamo viste e sentite tante, se non troppe… Siamo stufi di quelle novità che invecchiano dopo appena qualche anno e devono quindi essere sostituite da altre “novità” già viste, come nel ciclo della moda. Rifugiamoci davanti al presepe (tradizionale), che non hanno potuto proibirci di allestire in casa nostra, e abbandoniamoci alla dolcezza che il Dio Bambino riversa su chi ha la grazia di conoscerlo. Adoriamolo quale Agnello innocente che si offre per noi sull’altare e lasciamo prorompere dal nostro cuore la tenerezza e la gioia di amarlo. È una piccola pregustazione dell’eternità, per donarci la quale si è incarnato. Qualunque cosa ci riservi il nuovo anno, là troveremo una forza e una pace inesauribili. Il Cuore immacolato di Maria infonda nelle nostre anime il gusto soprannaturale della penitenza e della riparazione, preparandole così alla battaglia che ci attende. Il nuovo anno sarà come Dio vuole… e come anche noi lo renderemo.

Pubblicato da Elia a   
sabato 24 dicembre 2016


Un bambino nato per soffrire

Fu offerto in sacrificio quando nacque (sant’Atanasio).

Il Figlio di Dio, infinitamente santo e assolutamente impassibile, si è fatto figlio dell’uomo per poter riparare la colpa di Adamo e tutte quelle – innumerevoli – che ne sono scaturite e continuano a scaturirne. È nato per prendere su di sé tutti i peccati della storia e offrirsi a Dio in espiazione al posto nostro, Lui perfettamente innocente e, al contempo, capace di un atto redentivo di infinito valore. I santi Padri scorgono nelle durezze della Natività un’anticipazione della Passione salvifica: il Re dei re ha cominciato a patire fin dalla Sua venuta al mondo per liberare l’umanità peccatrice dal potere del male. È evidente che, se quest’ultimo non è ancora scomparso dalla terra, ciò non è imputabile ad un Suo eventuale insuccesso, ma al fatto che, nonostante l’inaudito e immeritato atto di misericordia da parte del Padre celeste, noi continuiamo a disobbedirgli.

Che i bambini soffrano e muoiano è un fatto che strazia il cuore, ma la cui spiegazione ci è ben nota dalla Rivelazione. Le malattie non sono altro che una delle stimmate della natura umana decaduta in conseguenza del peccato originale. A questo, tuttavia, bisogna aggiungere che mai le offese a Dio avevano raggiunto la gravità e la frequenza di oggi – e questo non può non ricadere sulla vita di tutti indistintamente, dato che è l’ordine stesso della creazione ad essere sistematicamente violato. I peccati contro natura elevati ad istituzione dello Stato, l’aborto considerato un diritto umano, la soppressione dei malati terminali camuffata da compassione… ce n’è a iosa per giustificare flagelli e calamità che si stanno compiendo in misura ancora irrisoria rispetto a quel che meritiamo. Se non ci piace che i bambini soffrano, cominciamo a far meno peccati.




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