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> 1003. E IN GESÙ CRISTO, SUO UNICO FIGLIO, NOSTRO SIGNORE, IL QUALE FU CONCEPITO DI SPIRITO SANTO, NACQUE DA MARIA VERGINE

Biblioteca Neval 3
Pubblicato da in Articoli di Guido Landolina ·
Tags: Pensieri a voce bassa
 
 
 
 
                      
 
 
 
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DI GUIDO LANDOLINA
 
 
OTTO BUONE RAGIONI PER CREDERE IN SOLO… OTTO 'LEZIONI',
 
A MENO CHE 'NON SI VOGLIA' CREDERE…
 
 
(Terza parte di nove)
 
(Primo e quindici di ogni mese)
 
  
 
  15.9.2017
Care amiche ed amici,
se con la mia email del 1° settembre scorso, vi avevo trasmesso il mio Pensiero Introduttivo a questa serie di miei 'Pensieri a voce bassa', con quella quindicinale successiva del 15 agosto ero entrato direttamente in argomento sviluppando l'affermazione del Credo:
IO CREDO IN DIO PADRE ONNIPOTENTE, CREATORE DEL CIELO E DELLA TERRA…
cioè la prima delle otto parti con cui intendo sviluppare questa nostra meditazione sul cardine della Fede e Dottrina cristiana.
In questa seconda parte odierna svilupperò il tema:
…E IN GESU' CRISTO, SUO UNICO FIGLIO, NOSTRO SIGNORE, IL QUALE FU CONCEPITO DI SPIRITO SANTO, NACQUE DA MARIA VERGINE…
trattando fra l'altro i seguenti argomenti:
1. Non si può parlare della nascita di Gesù se non si parla prima di Maria.
2. Nascita ed infanzia di Gesù.
3. Discorsi di Gesù: Il Pane del Cielo e la vera natura del Regno di Dio.
4. Discorsi di Gesù: La vera natura del Cristo, l'Acqua viva e la Luce del mondo.
5. Discorsi di Gesù: Il Discorso del Buon Pastore e la doppia natura di Gesù.
Vi troverete immersi in un percorso affascinante, conoscerete Gesù e lo ascolterete come anche voi foste stati allora presenti e… imparerete ad amarlo, perché per amare Gesù bisogna conoscerlo.
Con questa seconda parte si conclude in 67 pagine una sintesi sulla vita 'pubblica' di Gesù in preparazione alla fase successiva che segna i momenti della Passione, processo, morte sepoltura e… discesa agli Inferi…
Si parla tanto di Nuova Evangelizzazione, in un momento storico in cui anche fra le gerarchie della Chiesa odierna parrebbe che 'l'evangelizzare' le genti come ci ha comandato Gesù sia ora quasi un 'peccato', ma la vera nuova evangelizzazione non si potrà realmente promuovere se non facendo conoscere più profondamente la vera personalità e predicazione di Gesù, cosa che è possibile fare meglio grazie alle splendide visioni della mistica Maria Valtorta, avute e descritte da lei in presa diretta e da me parzialmente trascritte e commentate.
Allego dunque alla presente e-mail il brano in questione in formato pdf affinché lo possiate eventualmente inviare anche ai vostri amici per apostolato e loro arricchimento intellettuale e spirituale, testo che è comunque leggibile e scaricabile rispettivamente dal mio sito internet e da gloria.tv:
http://www.ilcatecumeno.net/pensieri_voce_bassa.htm
https://gloria.tv/Landolina%20Guido
Buona lettura,
 
 
1. IO CREDO IN DIO PADRE ONNIPOTENTE, CREATORE DEL CIELO E DELLA TERRA;

 
 
1003. E IN GESÙ CRISTO, SUO UNICO FIGLIO, NOSTRO SIGNORE, IL QUALE FU CONCEPITO DI SPIRITO SANTO, NACQUE DA MARIA VERGINE

 
 
3. PATÌ SOTTO PONZIO PILATO, FU CROCIFISSO, MORÌ E FU SEPOLTO; DISCESE AGLI INFERI; 4. IL TERZO GIORNO RISUSCITÒ DA MORTE; SALÌ AL CIELO, SIEDE ALLA DESTRA DI DIO PADRE ONNIPOTENTE, 5. DI LÀ HA DA VENIRE A GIUDICARE I VIVI E I MORTI. 6. CREDO NELLO SPIRITO SANTO, 7. LA SANTA CHIESA CATTOLICA, LA COMUNIONE DEI SANTI, LA REMISSIONE DEI PECCATI, 8. LA RISURREZIONE DELLA CARNE, LA VITA ETERNA. COSÌ SIA.

 
 
1. NON SI PUO’ PARLARE DELLA NASCITA DI GESÙ SE NON SI PARLA PRIMA DI MARIA.

 
 
1.1 Per comprendere meglio Gesù bisogna comprendere meglio Maria: il suo ‘ruolo’ nel Progetto Creativo di Dio.

 
 
Il Credo - si sa - è il fondamento della Fede Cristiana: chi ‘non crede’ al Credo, anche fosse a una sola parte di esso, non può dirsi veramente cristiano.
 
Il Credo, recitato con ardente fede è di tale rilevanza spirituale da assumere persino in taluni casi una rilevanza come preghiera di protezione… esorcistica.
 
Nel primo ciclo di queste nostre ‘riflessioni’ sulla prima affermazione del Credo abbiamo ragionato insieme sulla esistenza di un Dio Creatore delle cose visibili (l’universo con la Terra) ed invisibili (gli angeli).
 
In questo secondo ciclo, svilupperemo la seconda delle 8 affermazioni di fede del Credo, così come sopra evidenziata.
 
I Vangeli non raccontano la vita di Gesù secondo l’impostazione storico-biografica che intendiamo noi ‘moderni’ ma – scritti e utilizzati dagli evangelisti e dagli apostoli per essere strumento di catechizzazione – rappresentano una sintesi di fatti e concetti riguardanti la sua predicazione che poi gli evangelizzatori si riservavano di sviluppare nella loro opera di diffusione della Dottrina cristiana, così come Gesù aveva raccomandato a tutti loro ed ai ‘futuri’: andate ed evangelizzate tutte le genti!
 
Dunque non vi è nei quattro Vangeli – almeno in buona parte dei casi – una consequenzialità degli avvenimenti né una descrizione delle più ampie circostanze in cui tanti episodi si verificarono, ma è invece nell’Opera scritta negli anni ’40 del secolo scorso dalla mistica Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’[1] che si rilevano biografia e consequenzialità spazio-logico-temporale, vale a dire un succedersi logico e coordinato degli avvenimenti che getta una luce veramente illuminante su tanti episodi evangelici non facilmente comprensibili.
 
Aspetti, questi, chiaramente desumibili dalle oltre 650 visioni contenute nell’Opera suddetta sulla vita di Gesù, dalla nascita di Maria SS. a quella di Gesù stesso, alla predicazione apostolica, Passione, Resurrezione ed Ascensione al Cielo.
 
Cosa rispondere tuttavia a tutti coloro che – leggendo questi miei commenti sulla vita di Gesù tratti dalle visioni valtortiane – vi troveranno episodi sconosciuti, non menzionati nei Vangeli?
 
Anche la mia, a maggior ragione perché modesta, verrà chiamata ‘un’opera malamente romanzata’ della vita di Gesù come quell’anonimo redattore dell’Osservatore romano volle commentare circa cinquant’anni fa la messa all’Indice dell’Opera della mistica, opera che tuttavia - tradotta in oltre venti lingue – si è silenziosamente diffusa con il ‘passa parola’ ed è ormai conosciuta e letta quasi con venerazione da moltissime persone, laici ed ecclesiastici insigni, in tutto il mondo?
 
Risponderò a costoro con le parole e l’iperbole dell’evangelista Giovanni alla conclusione del suo Vangelo: se si fossero dovuti raccontare tutti gli episodi della vita di Gesù che gli apostoli avevano vissuto con Lui nei suoi tre anni di vita pubblica, forse non sarebbe bastato ‘il mondo intero’ a contenere i libri che si sarebbero dovuti scrivere.
 
Una volta avevo citato la frase di uno dei maggiori scrittori cattolici del nostro tempo, Vittorio Messori, il quale – avendo prodotto in maniera splendidamente prolifica molte opere di carattere storico-spirituale – aveva osservato che nella prima era contenuto in potenza tutto lo scibile delle successive che in definitiva non facevano altro che ampliare ulteriormente i concetti delle opere precedenti.
 
La frase non era esattamente questa ma questo ne era il senso.
 
Lo stesso – ma al contrario - succede a me che ho scritto molti libri di commento all’Opera di Maria Valtorta per cui in questo sintetico ciclo (una sorta di ‘Bignami’ di ripasso scolastico) riprenderò dei concetti che hanno invece trovato un ben maggiore approfondimento negli altri miei scritti.
 
Potrei però parlare di Gesù senza parlare prima della Madonna, la Madre perfetta che Lo ha messo al mondo?
 
Come sarebbe stato possibile al Verbo di Dio entrare nella Storia e divenire Carne-Gesù se Maria non avesse dato il suo ‘Sì’ permettendo l’Incarnazione e l’Avvio dell’Opera della Redenzione dell’Umanità?
 
Comincerò dunque con il parlare di Maria SS. perché il Dio Uno e Trino - volendo incarnarsi attraverso il suo Verbo Purissimo - non poteva farlo che in un seno senza Macchia, preservato cioè dalle conseguenze del Peccato originale compiuto dai primi due Progenitori.
 
Il primo uomo - come poi Maria SS. concepita ‘immacolata’, cioè priva di colpa d'origine - amava perché pieno di 'Grazia'.
 
La Grazia è Sapienza, la Sapienza è Dio, Dio è Amore.
 
L'uomo aveva in sé l'Amore ed amava, ma quando la Superbia, quel vapore che già si era condensato in Lucifero, si condensò nei Primi Due - ed essi, non paghi di avere praticamente tutto, vollero essere come Dio, come Lucifero – ecco che essi diventarono di fatto ribelli, usurpatori, e come ribelli ed usurpatori vennero cacciati dal Paradiso Terrestre.
 
Come dunque il primo uomo perse la Grazia - e quindi il diritto, per cominciare, a rimanere nel Paradiso terrestre, anticipazione di quello celeste - così i 'successivi' nascono senza la Grazia proprio a causa del Peccato originale e anche quando battezzati e quindi purificati della macchia possono nuovamente perdere la Grazia a causa dei peccati “attuali” che essi commettono andando contro la legge che Dio ha messo nei loro cuori, la legge dei dieci comandamenti.
 
Essi peccando per mancanza d'amore contro Dio e contro il prossimo e anche contro se stessi sono ad un tempo omicidi degli altri (dell'anima degli altri, grazie al saper odiare) e suicidi ad un tempo di se stessi perché uccidono la Grazia in sé, quella che rende l'Anima 'viva', quella che la mantiene figlia di Dio e che, una volta perduta, li fa figli di Satana.
 
Nella sua Misericordia – Misericordia coi primi due (perché avrebbe potuto mandarli subito all’Inferno assieme al loro ‘padre’) ma Misericordia anche per i successivi - Dio fece però la Promessa, la promessa di salvarci[2]: la promessa di Maria, già concepita nella sua mente ab-initio, pronta - come Anima - a discendere al giusto tempo per un concepimento in un  seno sulla terra – nel seno di una già umanamente santa, sua madre Anna - per santificare la terra accogliendo poi, con il suo libero arbitrio, l’Incarnazione) di un Dio che si sarebbe sacrificato per salvarci, che avrebbe dato la sua vita per ridarci la nostra: la vera Vita.
 
Un Dio che ci avrebbe dimostrato - con l'azione, per insegnarcelo - la vera sostanza dell'Amore che non è, no, dare la vita per gli amici - perché questa è generosità portata al massimo livello, altruismo, ancora venato da interesse umano - ma darla per i 'nemici', i nemici di Dio: non nemici perché lo crocefiggevano - ché la vita umana nulla vale se non per il fatto che essa è sofferenza e quindi mezzo di santificazione - ma perché nemici del proprio spirito, che è spirito infuso da Dio, creato da Dio a sua immagine e somiglianza.
 
Ecco spiegato in breve il ‘Progetto creativo’ di Dio. Non progetto sull’universo, fatto di materia, ma progetto sull’uomo, fatto di materia e spirito, che in spirito – se spirito di uomo giusto -  Dio vuole ritorni a sé.
 
In spirito dopo il primo giudizio, quello particolare, e con la carne glorificata (sempre se uomo ‘giusto’) dopo l’ultimo Giudizio: perché anche la carne dei Santi e Beati gioisca e venga ricompensata nella sua nuova gloria, gloria di carne martirizzata (e perciò superiore alla gloria che – se non avesse commesso il Peccato originale - avrebbe dovuto avere Adamo, che gloria non sarebbe stata perché 'donata' e quindi avuta senza merito) dalle sofferenze patite e superate nella vita terrena.
 
La ‘carne’, corrotta dal Peccato d'origine, corrotta da Satana per farci perdere la figliolanza di Dio, è stata infatti da Dio utilizzata per ridarci - attraverso la sofferenza, e quindi con più merito - la figliolanza rubataci, consentendoci di godere, nel Paradiso celeste, di una Gloria ancora maggiore: quella che spetta a coloro che sanno essere Martiri, martiri della vita, le cui sofferenze, le normali sofferenze, accettano e offrono, sull'Altare dell'Amore di Dio.

 
 
 
1.2 Maria: il Capolavoro della Creazione, l’Archetipo dell’Uomo perfetto, l’Antidoto al veleno di Satana.

 
 
L’insigne mariologo Gabriele Roschini quando parlava nelle sue Opere della Madonna sapeva certo molto bene quello che diceva e aveva definito Maria il ‘Capolavoro di Dio’.
 
Noi potremmo definirla ‘Capolavoro della Creazione’.
 
Ve lo spiego ancora qui, come prima, a modo mio, come spesso farò nei prossimi cicli di ‘riflessioni’.
 
Gesù è Sapienza, e nel Libro della Sapienza parla della Madre della Sapienza, cioè di Dio-Gesù.
 
Dio ‘pensò’ l’anima di Maria fin dal principio, prima ancora di porre mano alla Creazione, perché il Capolavoro della Creazione sarebbe stato Maria. [3]
 
La sua futura nascita, la creazione perfetta, avrebbe da sola giustificato la creazione dell’uomo, creato perfetto ma poi invece volontariamente decaduto.
 
L’amore di Maria verso Dio, la sua Purezza, un’anima che da sola Lo avrebbe amato come tutti i Santi messi assieme, avrebbe poi giustificato da parte di Dio la decisione di non distruggere la razza umana, traditrice e ribelle, dopo il Peccato originale.
 
Tutte le bellezze della natura e dell’universo sono state fatte per l’uomo, perché alla ‘felicità’ di Dio non era certo necessario l’universo, poiché Dio bastava a se stesso.
 
Nonostante il fatto che dopo il Peccato originale la corruzione sia entrata nella natura e nell’uomo, che cominciò a conoscere la sofferenza e la morte, la vita merita sempre d’esser vissuta, e quindi l’aver concesso alla razza corrotta di perpetuarsi e di poter vedere le bellezze straordinarie della Natura è stato ancora un grande dono di Dio.
 
La Mente suprema ‘sapeva’, fin da prima della Creazione, che l’uomo sarebbe stato ‘omicida’ della propria anima e ‘ladro’ dei doni spirituali ricevuti da Dio e allora – Buona all’estremo – pensò, da prima che la Colpa fosse, al mezzo per annullare la Colpa: il Verbo-Gesù e allo strumento per rendere il mezzo operante: Maria, la cui anima venne quindi ‘vagheggiata’ in anticipo nel Pensiero sublime del Padre.
 
L’uomo – corrotto nello spirito – sarebbe diventato ‘carne’, e per salvare la ‘carne’ il Verbo avrebbe dovuto farsi Carne. Il Verbo incarnato avrebbe dovuto sublimare la ‘carne’ umana per portarla in Cielo.
 
Ma, per essere Carne, Dio-Figlio aveva bisogno di una Madre che lo generasse umanamente secondo la carne. E per essere Dio aveva bisogno che il Padre fosse Dio.
 
Ecco dunque Dio – ab aeterno – ‘concepirsi’ la Sposa che, secondo la ‘carne’, sarebbe stata Madre del Figlio.
 
La creazione dell’uomo, per come era stata concepita nella mente di Dio, avrebbe dovuto rappresentare la quintessenza della spiritualità e dell’amore.
 
La nostra mente si smarrirebbe se potesse pensare come sarebbe divenuta la specie dell’uomo se l’uomo non avesse cominciato invece a riprodursi secondo gli insegnamenti di Satana.
 
L’uomo perfetto si sarebbe riprodotto carnalmente, ma di un amore dal quale la sessualità come la intendiamo noi - e a maggior ragione la libidine e la lussuria - sarebbero state assenti.
 
Satana – per spregio a Dio che è Purezza assoluta – ha voluto degradare il concetto d’amore, portandolo ad un livello che – spiritualmente parlando – è sub-animale, perché l’animale copula ma lo fa ai soli fini del mantenimento della specie, per comando divino che così ha prescritto per la sua sopravvivenza.
 
Ma all’uomo e alla donna depravati da Satana – ecco la rivincita di Dio – Dio volle contrapporre l’Uomo per eccellenza: Gesù, nato da una Donna sovrasublimata da Dio, al punto che – grazie alla potenza di Dio – Ella avrebbe generato un Figlio senza alcuna cooperazione umana ma per un atto di volontà divina che l’avrebbe decretato a seguito del ‘Fiat’ della Vergine Maria.
 
Prima che Satana diventasse il Ribelle e il Corruttore della razza umana, egli era già il Vinto, da Maria, che avrebbe dato alla luce l’Uomo-Dio: il vertice della Perfezione.
 
Satana tolse però a Dio la gioia di esser Padre di tutti gli uomini, perché una parte di essi – nel proprio libero arbitrio – avrebbe preferito Satana come padre.
 
Sulla base del progetto di Satana i ‘figli di Dio’ avrebbero dovuto diventare tutti figli suoi, venendo loro preclusa - a causa del Peccato originale e dei peccati individuali successivi - la possibilità di un ritorno al Cielo che è Perfezione.
 
Grazie però a Maria, che seppe mantenersi Pura in un mondo depravato, dando vita di carne al Figlio di Dio, l’Umanità sarebbe stata invece riscattata e avrebbe conosciuto in quale modo avrebbe potuto - con un poco di buona volontà - ritrovare la strada del Cielo.
 
Se Satana aveva voluto vendicarsi di Dio - che l’aveva fatto cacciare dal Cielo - corrompendo la spiritualità dell’uomo perfetto, Dio si era però già preso in anticipo la sua rivincita su Satana pensando – ancor prima che Satana fosse il Ribelle – di portare la perfezione della creazione di Maria ad una superperfezione, creando l’Uomo per eccellenza, neanche originato da un casto abbraccio ma da divino amplesso di pensiero.
 
Il Battesimo leva la Colpa, ma della Ferita rimane la cicatrice che lascia il segno: la debolezza dell’uomo, i fomiti che lo spingerebbero continuamente verso l’errore, se Gesù non gli avesse messo a disposizione degli aiuti soprannaturali per aiutarlo nella sua battaglia.
 
Maria – nella quale invece la Colpa non è mai stata e nella quale soprattutto la Purezza si è sempre mantenuta intatta - rappresenta dunque la Creazione Perfetta, il vero ‘Uomo’, razza della quale i Primi Due sono stati, in definitiva, solo dei ‘prototipi’.
 
Maria fu dunque il ‘modello’, l’archetipo di tutte le creature, la creatura perfetta, degna di ospitare un Dio.
 
La Creazione fu fatta per Lei perché tutti gli uomini decaduti potessero trovare in Lei la Perfezione, perché da quella Perfezione sarebbe nato il Redentore, che avrebbe riscattato l’Umanità e dato vita – grazie al suo Sacrificio - al popolo dei ‘figli di Dio’.
 
Anche Eva era stata creata ‘perfetta’, immacolata, ma Dio – che vive fuori del Tempo e quindi conosce in anticipo il nostro ‘futuro’ che ci scegliamo liberamente - sapeva che nella sua libertà Eva avrebbe deciso di ascoltare la voce dell’Ingannatore.
 
Conoscendo dunque il ‘veleno’ che Satana avrebbe iniettato ad Eva e ad Adamo e, attraverso di essi, alla loro discendenza che avrebbe contratto per ‘contagio’ la stessa ‘malattia’, Dio preparò in anticipo l’antidoto, cioè Maria, ‘pensandola’ fin dall’inizio ma inviandola sulla terra, anima nel seno fecondo di sua mamma Anna, quando fossero stati maturi i tempi per la Redenzione, affinché da questo Capolavoro potesse nascere il Dio-Redentore che insegnasse all’uomo, che aveva dimenticato la sua origine spirituale, quale fosse il percorso da compiere per tornare alla Salvezza.

 
 
1.3 L’Annunciazione dell’Arcangelo Gabriele.
 
 
A quest’ultimo riguardo, l’evangelista Luca racconta[4] che un Angelo del Signore era apparso nel Tempio di Gerusalemme al sacerdote Zaccaria, il marito di Elisabetta, per annunciare una prossima maternità di sua moglie: vale a dire la futura nascita di Giovanni Battista.
 
L’Angelo, anzi l’Arcangelo Gabriele, appare sei mesi dopo a Maria ed anche a Lei annuncia la prossima nascita di un figlio, spiegando - alla meravigliata fanciulla che dichiara di ‘non conoscere uomo’ - che nulla è impossibile a Dio e che – a comprova – la sua anziana parente Elisabetta, considerata sterile, aveva anch’ella concepito un figlio sei mesi prima, sia pur con umano coniugio.
 
Ovviamente – e direi, fortunatamente, per la realizzazione del progetto divino sulla ‘Redenzione’ dell’Umanità – Maria accetta di tutto cuore di sottomettersi alla volontà di Dio.
 
Maria[5] stava filando del lino, nella sua stanzetta con una porta aperta sull’orto e chiusa da una tenda, mentre pace e silenzio aleggiano nella casetta.
 
Maria mentre fila, canta dolcemente un inno sacro, finché il suo canto si trasforma in preghiera per chiedere a Jahvè di mandare presto il suo Messia.
 
Tutta Israele lo attendeva con ansia in quel periodo, poiché il Profeta Daniele, circa cinque secoli prima, aveva fatto una famosa profezia detta ‘delle settanta settimane’ (di anni) che si sarebbero dovute attendere per la Venuta del Messia e quei tempi stavano ora per compiersi.[6]
 
La tenda ha un palpito come mossa da un vento, una luce vivida si diffonde all’improvviso nella stanza e nella luce si materializza un Angelo dall’aspetto d’uomo, ma un uomo dal corpo ‘glorificato’, come fosse fatto di una materia diversa e splendente.
 
L’Angelo si prostra, quindi le sorride e le parla: ‘Ave, Maria, Piena di Grazia’.
 
Maria – sorpresa da quella luce - ha un attimo di soprassalto quando vede l’Angelo inginocchiato davanti a lei con atteggiamento di devozione. Si alza di scatto addossandosi ad una parete. Lei intuisce trattarsi di una apparizione, ma di Satana o da parte di Dio?
 
L’Angelo la invita a non aver paura perché il Signore è con Lei, le si presenta e le parla ancora:
 
 
^^^^
 
(...)
 
« Non temere, Maria! » ripete l'Arcangelo.
 
« Io sono Gabriele, l'Angelo di Dio. Il mio Signore mi ha mandato a te.
 
Non temere, perché tu hai trovato grazia presso Dio. Ed ora tu concepirai nel seno e partorirai un Figlio e gli porrai nome "Gesù". Questi sarà grande, sarà chiamato Figlio dell'Altissimo (e tale sarà in vero) e il Signore Iddio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà in eterno sulla casa di Giacobbe, e il suo Regno non avrà mai fine. Comprendi, o santa Vergine amata dal Signore, Figlia benedetta di Lui, chiamata ad esser Madre del suo Figlio, quale Figlio tu genererai?
 
« Come può avvenire questo se io non conosco uomo?  Forse che il Signore Iddio più non accoglie l'offerta della sua serva e non mi vuole vergine per amor di Lui?».
 
« Non per opera di uomo sarai Madre, o Maria. Tu sei l'eterna Vergine, la Santa di Dio. Lo Spirito Santo scenderà in te e la potenza dell'Altissimo ti adombrerà. Perciò Santo si chiamerà Colui che nascerà da te, e Figlio di Dio. Tutto può il Signore Iddio nostro. Elisabetta, la sterile, nella sua vecchiaia ha concepito un figlio che sarà il Profeta del tuo Figlio, colui che ne prepara le vie. Il Signore ha levato a questa il suo obbrobrio, e la sua memoria resterà nelle genti congiunta al nome tuo, come il nome della sua creatura a quello del tuo Santo, e fino alla fine dei secoli le genti vi chiameranno beate per la Grazia del Signore venuta a voi ed a te specialmente; venuta alle genti per mezzo tuo.
 
Elisabetta è nel suo sesto mese ed il suo peso la solleva al gaudio, e più la solleverà quando conoscerà la tua gioia.
 
Nulla è impossibile a Dio, Maria, piena di Grazia.  
 
Che devo dire al mio Signore? Non ti turbi pensiero di sorta. Egli tutelerà gli interessi tuoi se a Lui ti affidi. Il mondo, il Cielo, l'Eterno attendono la tua parola! ».
 
Maria, incrociando a sua volta le mani sul petto e curvandosi in un profondo inchino, dice: « Ecco l'ancella di Dio. Si faccia di me secondo la sua parola ».
 
L'Angelo sfavilla nella gioia.  Adora, poiché certo egli vede lo Spirito di Dio abbassarsi sulla Vergine curva nell'adesione, e poi scompare senza smuover tenda, ma lasciandola ben tirata sul Mistero santo.
 
 
^^^^
 
La prossima seconda riflessione sarà dedicata a

 
 
2. NASCITA ED INFANZIA DI GESÙ
 
 

 
2.1 La nascita di Gesù vista in visione da Maria Valtorta.

 
 
Era tempo di pace entro i confini dell’Impero romano, e fu conseguentemente possibile all’Imperatore emanare un editto con il quale veniva stabilito un censimento di tutte le popolazioni.[7]
 
Bisognava andarsi a ‘registrare’ nella città di origine della propria famiglia: nel caso di Giuseppe e Maria, a Betlemme di Giudea, vicino a Gerusalemme.
 
Erano passati altri mesi da quel loro viaggio di ritorno a Nazareth da Ebron, dove Maria si era recata per assistere Elisabetta incinta di Giovanni Battista, e Maria era ormai più che tondetta perché i giorni della nascita di Gesù stavano per compiersi e certo non era quello il momento più adatto ad un viaggio di oltre cento chilometri fino a Betlemme, a dorso di somarello.
 
Ma quelle dovevano essere donne d’altri tempi. Giuseppe - ligio agli ordini dell’Autorità che volevano il censimento ma lontano mille miglia dal pensare che sotto l’ombra del Signore avrebbe potuto viaggiare tranquillo - non sa, con Maria incinta, che pesci pigliare, se partire o non partire.
 
È invece Maria stessa che, risoluta come tutte le vere donne, decide per il sì, sapendo dalle Scritture che il Messia avrebbe dovuto nascere a Betlemme e che quindi quel viaggio era stato previsto da Dio Padre e che nulla di male avrebbe potuto loro succedere.
 
E partono.
 
La Valtorta descrive il viaggio e racconta che – proprio a causa del grande movimento per il censimento – non si trovavano più asinelli (il mezzo di locomozione rapida più usato a quei tempi) e Giuseppe e Maria si erano dovuti accontentare di uno solo, democraticamente diviso in due: cioè Maria incinta, con armi e…bagagli, sul ciuco, e Giuseppe, a terra, conducendolo prudentemente per la briglia.
 
Anche allora c’erano le locande e quindi vi fanno ‘tappa’ per delle soste notturne.
 
Ma quando arrivano nei dintorni di Betlemme, che era vicina a Gerusalemme, incontrano un pastore con il suo gregge.
 
Giuseppe gli chiede un poco di latte caldo per Maria ed il pastore, vedendola incinta e pensandola stanca morta ed intirizzita, si affretta a mungere una pecora.
 
Il pastore fa però loro sapere che nella locanda del paese vi è il ‘tutto esaurito’ per via dei pellegrini giunti per il censimento e consiglia loro di provare eventualmente a trovare un rifugio provvisorio per la notte in una delle stalle addossate ad un crinale di collina non molto lontano.
 
Alla locanda confermano a Giuseppe il ‘tutto esaurito’.
 
Giuseppe era un artigiano, e anche di quelli bravi, e certo aveva dei soldi con sé visto che si era messo in viaggio per il censimento.
 
Quella notte lui e Maria dovettero però accontentarsi di una stalla, facendo di necessità virtù.
 
I tempi del parto erano prossimi, è vero, ma Giuseppe (non Maria che invece ‘sentiva’ perfettamente che Gesù sarebbe nato nel primo giorno della Festa delle Luci) non pensava che Gesù nascesse quella notte stessa o, forse, sperava che ‘ritardasse’ ancora di qualche giorno.
 
Poteva mai pensare che il Figlio di Dio avrebbe voluto nascere in una stalla?
 
Invece sì, Gesù decide di nascere proprio quella notte, e proprio in quella stalla, o meglio in una specie di locale diroccato, semiscavato nella collina, al cui interno vi è già un bue che volta la testa muggendo appena li vede entrare, vi è un rozzo sedile e due pietre in un angolo presso una feritoia. Il nero di quell'angolo dice che là si fa fuoco.  Pavimento in terra battuta, molto fieno in una greppia.
 
Gesù-Verbo dunque – nelle visioni della Valtorta – non nacque in una stalla perché la sua famiglia fosse tanto povera da non potersi permettere economicamente una locanda, quanto invece per circostanze pratiche ma con lo scopo ultimo di fare tuttavia capire all’Umanità come Egli – che pur era il Dio-Incarnato - per primo avesse accettato una nascita povera e fra i rigori invernali per fare comprendere a noi tutti il valore dell’umiltà.
 
Giuseppe entra nella stalla, fa posto anche al ciuchino - stanco come un somarello ma dotato di buon appetito di fronte a quel fieno – e ramazza con delle ramaglie il suolo.
 
Quindi preleva una bella bracciata di fieno dalla greppia e lo sistema nell’angolo più asciutto e riparato, vicino al bue che se ne sta là tranquillo e forse contento per la compagnia, per farne un giaciglio per Maria.
 
Un secchio mal ridotto, che forse sarà stato utilizzato dai proprietari per abbeverare il bue, serve per prendere l’acqua nel rio vicino e abbeverare l’asinello, mentre con degli sterpi trovati dentro la stalla egli accende un fuocherello e poi stende il suo mantello come una tenda sul pertugio che fa da porta, per ripararsi dall’aria fredda della notte, senza preoccuparsi del fatto che così lui resterà senza coperta.
 
Insomma il presepe è pronto, mentre Maria - che se ne sta buona-buona seduta sullo sgabello sorridendo ogni volta che Giuseppe la guarda - finalmente si può accomodare sul soffice fieno con le spalle appoggiate ad un pezzo di tronco d’albero.
 
Giuseppe – sempre nella visione valtortiana - mette mano alla bisaccia: pane e formaggio, perché quel giorno il ‘convento’ di più non passa, annaffiando il tutto con l’acqua della loro borraccia.
 
È dunque arrivato il momento fatidico della nascita di Gesù.
 
Nella stalla Giuseppe veglia e, ogni tanto - preso dalla stanchezza del viaggio - si appisola. Ma poi si sveglia per mettere ancora qualche legno sul fuoco e controllare che Maria stia bene. Rendendosi però conto di non farcela a stare sveglio, si inginocchia davanti al fuoco con le spalle volte a Maria e si immerge in una fervente preghiera. Anche Maria – del tutto assorta – prega in ginocchio a braccia aperte con le palme in alto: Lei, con il pensiero ed i sentimenti era sempre unita a Dio.
 
Ad un certo punto, mentre un raggio di luna penetra attraverso una apertura del soffitto ed illumina Maria, Lei alza il volto e – come rapita da una interiore visione spirituale - sorride trasfigurata mentre intorno a Lei – quasi emanasse dalla Sua persona – si diffonde un alone di luce sempre più forte.
 
 
Vede e scrive M. Valtorta: [8]

 
 
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«…La luce si sprigiona sempre più dal corpo di Maria, assorbe quella della luna, pare che Ella attiri in sé quella che le può venire dal Cielo. Ormai è Lei la Depositaria della Luce. Quella che deve dare questa Luce al mondo. E questa beatifica, incontenibile, immisurabile, eterna, divina Luce che sta per esser data, si annuncia con un'alba, una diana, un coro di atomi di luce che crescono, crescono come una marea, che salgono, salgono come un incenso, che scendono come una fiumana, che si stendono come un velo...
 
La volta, piena di crepe, di ragnatele, di macerie sporgenti che stanno in bilico per un miracolo di statica, nera, fumosa, repellente, pare la volta di una sala regale.  Ogni pietrone è un blocco di argento, ogni crepa un guizzo di opale, ogni ragnatela un preziosissimo baldacchino contesto di argento e diamanti.  
 
Un grosso ramarro, in letargo fra due macigni, pare un monile di smeraldo dimenticato là da una regina; e un grappolo di pipistrelli in letargo, una preziosa lumiera d'onice.  Il fieno che pende dalla più alta mangiatoia non è più erba, sono fili e fili di argento puro che tremolano nell'aria con la grazia di una chioma disciolta.
 
La sottoposta mangiatoia è, nel suo legno scuro, un blocco d'argento brunito. Le pareti sono coperte di un broccato in cui il candore della seta scompare sotto il ricamo perlaceo del rilievo, e il suolo... che è ora il suolo? È un cristallo acceso da una luce bianca. Le sporgenze paiono rose di luce gettate per omaggio al suolo; e le buche, coppe preziose da cui debbano salire aromi e profumi.
 
E la luce cresce sempre più. È insostenibile all'occhio. In essa scompare, come assorbita da un velario d'incandescenza, la Vergine... e ne emerge la Madre.
 
Sì. Quando la luce torna ad essere sostenibile al mio vedere, io vedo Maria col Figlio neonato sulle braccia.  
 
Un piccolo Bambino, roseo e grassottello, che annaspa e zampetta con le manine grosse quanto un boccio di rosa e coi piedini che starebbero nell'incavo di un cuore di rosa; che vagisce con una vocina tremula, proprio di agnellino appena nato, aprendo la boccuccia che sembra una fragolina di bosco e mostrando la linguetta tremolante contro il roseo palato; che muove la testolina tanto bionda da parere quasi nuda di capelli, una tonda testolina che la Mamma sostiene nella curva di una sua mano, mentre guarda il suo Bambino e lo adora piangendo e ridendo insieme e si curva a baciarlo, non sulla testa innocente, ma su, centro del petto, là dove sotto è il cuoricino che batte, batte per noi... là dove un giorno sarà la Ferita.  Gliela medica in anticipo, quella ferita, la sua Mamma, col suo bacio immacolato…»
 
 
^^^^
 
 
Il bue di fronte a quel bagliore muggisce e l’asinello raglia, anche Giuseppe – che pregava con gli occhi chiusi completamente assorto e con le mani a copertura del viso - intravvede fra le dita il bagliore della luce, le apre, alza il viso mentre sente Maria che lo chiama.
 
Si volta, vede Maria e il bambino nella Luce e rimane come fulminato.
 
Vorrebbe inginocchiarsi ma Maria lo chiama dolcemente, si alza, si avvicina incontro a lui e, davanti ad un Giuseppe caduto ora in ginocchio, alzando le braccia al cielo, Maria offre solennemente il Bambino a Dio Padre.

 
 
2.2 La nascita di Gesù… raccontata anche da Gesù stesso.

 
 
Per la Dottrina cristiana la Vergine rimase tale prima, durante e dopo il parto.
 
Il prima del parto e il dopo il parto lo possiamo comprendere alla luce del voto fatto da entrambi gli sposi con l’offerta della loro castità coniugale a Dio, amandosi come Angeli, per accelerare la venuta del Messia e - dopo la nascita di Gesù - ancor di più in rendimento di grazie.
 
Ma il ‘durante’? Nei testi da me letti non mi è mai capitato di trovare una spiegazione sul ‘durante’. Né tantomeno di sentirlo spiegato da sacerdoti, forse per un certo qual senso di pudore, forse perché imbarazzante per noi uomini ‘moderni’, razionalisti e anche… cinici, forse semplicemente perché inspiegabile.
 
Se un figlio deve nascere – e Gesù-uomo era un essere umano in tutto e per tutto – non può che nascere nel modo che tutti sappiamo, no?
 
Quale ‘verginità’ allora, quanto al ‘durante’?
 
Vale quindi la pena di attirare l’attenzione su un punto della su trascritta visione della mistica, dove si dice:
 
 
«… E la luce cresce sempre più. È insostenibile all'occhio.  In essa scompare, come assorbita da un velario d'incandescenza, la Vergine... e ne emerge la Madre.
 
Sì. Quando la luce torna ad essere sostenibile al mio vedere, io vedo Maria col Figlio neonato sulle braccia…».
 
 
Dalla visione – non so se lo avete notato - emerge un fatto straordinario ma che tutto sommato non lo è poi tanto per chi – da cristiano credente – creda nella Resurrezione di Gesù.
 
Narrano i Vangeli che Gesù, la sera del giorno della Resurrezione, apparve all’improvviso davanti agli apostoli sbucando e materializzandosi dal nulla nel Cenacolo, ‘a porte chiuse’.[9]
 
Grazie alla Sua natura divina compì dunque nel Cenacolo un ‘miracolo’ inspiegabile alla luce delle leggi della fisica che noi conosciamo, come un miracolo fu pure quello della Trasfigurazione sul monte Tabor, per non parlare della Sua Ascensione al Cielo.
 
Il Verbo-Gesù compì dunque nella notte della Sua nascita un miracolo simile a quello del Cenacolo quando ne attraversò le pareti ‘materializzandosi’ davanti ai propri apostoli.
 
Egli venne alla luce attraversando le ‘pareti’ del grembo di Maria e apparendo direttamente fra le braccia di Maria” che - ripiegata sui calcagni - era in estasi e non si accorse di nulla, perché Gesù, prima di venire alla luce e sottostare poi alle leggi naturali dell’umanità, era - nella Sua divinità - in grado di non “ferire” o fare danni al corpo della madre.
 
In Genesi - nel momento della condanna del serpente e dei due progenitori - Dio aveva detto ad Eva: ‘Moltiplicherò le doglie delle tue gravidanze… partorirai i figli nel dolore…’.[10]
 
Mentre Eva - creata immacolata in un mondo perfetto - aveva peccato contro Dio, Maria si era invece mantenuta Immacolata in un mondo di peccato.
 
Era dunque giusto che Maria - anche come Madre del Figlio di Dio - rimanesse indenne dalle doglie dolorose ed umilianti del parto, come non sarebbe stato confacente alla dignità di un Dio nascere secondo le modalità dell’Umanità decaduta.
 
Nei Vangeli i vari racconti si snodano tra una festa religiosa e l’altra, tanto che a volte se ne perde il conto, come quello del numero delle ‘Pasque’ dei tre anni di vita pubblica di Gesù.
 
La Pasqua ebraica cadeva nel plenilunio di nisan, fra marzo e aprile, seguita un mese dopo dalla ‘Pasqua supplementare’ per quelli che non avevano potuto celebrare la prima.
 
Quindi, cinquanta giorni dopo la Pasqua, vi era la Pentecoste.
 
Poi in autunno, alla fine dei raccolti, vi era la Festa dei Tabernacoli, detta anche Festa delle capanne.
 
Infine il 25 di casleu, e cioè fra il nostro novembre/dicembre, le Encenie, detta anche Festa della Purificazione o della Dedicazione del Tempio. Ma, come se non fossero bastati tre nomi, quest’ultima ricorrenza veniva chiamata anche Festa delle Luci.
 
Ma a proposito proprio della Festa delle Luci e della nascita di Gesù…, in un’altra[11] delle visioni di Maria Valtorta è un Gesù trentunenne quello che, alla fine del primo anno della sua missione pubblica, racconta di quella notte in cui Egli – Verbo Incarnato – si rivedeva infante in quella stalla.
 
Vale la pena fare un 'flash' in avanti nel tempo e parlarne.
 
Gesù e gli apostoli avevano predicato per molti mesi ed erano giunti appunto alla fine dell’anno ebraico, che corrispondeva al mese di casleu, quello in cui cadeva la Festa delle Luci.
 
Il gruppo apostolico - anche per i rigori invernali che rendevano più difficile e malagevole lo spostarsi a piedi -  si apprestava a chiudere la propria attività per un certo tempo.
 
Ognuno sarebbe rientrato fra breve in famiglia per quello che oggi chiameremmo un periodo di ‘ferie’.
 
Ma prima si ritrovano tutti a Betania, nella casa di Lazzaro, ammiratore di Gesù. Lazzaro, che conosceva Gesù di fama, non era all’inizio un vero e proprio discepolo ma era già protettore e munifico benefattore del Gruppo apostolico. Egli aveva conosciuto Gesù attraverso Simone lo Zelote che possedeva una casa a Betania vicino alla proprietà di Lazzaro.
 
Lazzaro era fratello di Marta e Maria, e questa Maria altro non è che Maria ‘Maddalena’ o Maria ‘di Magdala’, così anche chiamata perché aveva molti possedimenti a Magdala in prossimità del Lago di Tiberiade, a quell’epoca famosa e lussuosa località di villeggiatura per benestanti ebrei, commercianti greci e romani, nonché alti funzionari di Roma.
 
Marta era una santa donna ma Maria Maddalena, giovane e bellissima, era una dissoluta: era lo scandalo della famiglia, la spina nel cuore di Lazzaro.
 
Lazzaro e Marta avevano implorato Gesù di ‘miracolare’ Maria, cioè di portarla alla conversione, e Gesù per amor loro e compassione di lei aveva accettato dicendo che lo avrebbe fatto a suo tempo.
 
La parabola della ‘pecorella smarrita’ – che Gesù avrebbe raccontato un anno dopo, avendo notato la Maddalena nascosta in mezzo alla folla per ascoltare non vista i suoi discorsi – la inventò su due piedi tutta per lei.
 
La parabola era commovente, lei intuì nel suo cuore che Gesù l’aveva detta per lei, ne fu sconvolta e questo fu l’episodio determinante della sua conversione, poiché lei ormai da qualche tempo – ascoltando di tanto in tanto Gesù con aria di noncuranza – aveva cominciato segretamente a macerarsi l’anima in un rimorso sempre più cocente.
 
Questa parabola – non nel resoconto scheletrico dei vangeli – ma nella travolgente e dolcissima eloquenza di Gesù nell’Opera di Maria Valtorta - è una delle più poetiche, vibranti e commoventi.[12]
 
Lazzaro era ricchissimo, praticamente ‘padrone’ della cittadina di Betania i cui abitanti lavoravano in buona parte nelle sue terre, riconoscenti nei confronti di un padrone buono e generoso. Aveva anche un palazzo a Gerusalemme, varie proprietà agricole nei dintorni, in Palestina e fuori Palestina.
 
Anche politicamente Lazzaro era una ‘personalità’ in Israele, perché - oltre che considerato per le sue ricchezze e stimato dagli ebrei per la sua onestà - era apprezzato ed era influente presso le Autorità romane per via di importanti servigi che suo padre Teofilo molti anni prima aveva reso a Roma.
 
Nella Festa delle Luci, numerose fiaccole - accese all’interno della sua casa di campagna - riverberavano i loro riflessi anche fuori nel giardino, dove Gesù passeggiava nella penombra assorto nei suoi pensieri.
 
Chissà a cosa pensava…, forse al fatto che quel giorno, lì a Betania, ricorreva l’anniversario di una analoga Festa delle Luci di trentuno anni prima, quando lui, a Betlemme, era nato.
 
L’apostolo Simone, detto lo Zelote, lo raggiunge per avvisarlo che il padrone di casa ha chiesto di Lui, perché tutto è pronto in tavola.
 
I due, Lazzaro e Gesù, non si conoscono ancora del tutto bene e Lazzaro vorrebbe conoscerlo meglio. Lo stuzzica e gli dice che certi ‘amici’ di Gesù gli hanno appena raccontato che Lui, Gesù, ebbe a nascere in un periodo analogo di una lontana Encenie mentre tutta Betlemme ardeva di fiaccole.
 
Gesù aveva due nature: umana e divina.
 
Egli – in quanto Dio - era Onnisciente, e tutto capiva e vedeva, quando per le esigenze della Sua missione di Redentore si manifestava in lui la Sua natura divina.
 
Nelle condizioni di ‘normalità’, nel vivere comune, era invece la Sua natura umana quella che si manifestava, senza Onniscienza, salvo il dono in misura perfetta della ‘introspezione dei cuori’, vale a dire la capacità di saper leggere pienamente nel ‘cuore’ delle persone.
 
Questo dono gli era però conferito non dall’essere Egli il Verbo incarnato ma dall’essere nato privo di Macchia di origine, come lo era stato Adamo prima del Peccato, e quindi con i doni di scienza, intelletto ecc. conferiti da Dio ai due Progenitori nella pienezza della loro Grazia.
 
Gesù mostra qui dunque di non sapere chi siano questi amici e lo chiede a Lazzaro perché – dice Gesù - lì non ha altri amici al di fuori dei discepoli, che sono presenti insieme ad altri suoi cari amici di Betania. Ha però per amici anche i pastori di quella lontana notte di Betlemme. Sono forse venuti lì anche essi?
 
Si fanno a quel punto avanti a sorpresa proprio i pastori che – dopo l’inizio dell'attività pubblica di Gesù manifestatosi quale Messia – lo hanno rivisto adulto dopo tanti anni e si sono fatti suoi discepoli.
 
Gesù rimane stupito nel vederli, esclamando allora di avere capito perché, con una scusa, tutti avessero fatto in modo di farlo uscire fuori in giardino: per chiamarlo dopo e farGli una sorpresa!  
 
Si siedono tutti a tavola ed è inevitabile che ad un certo punto i pastori - all’inizio imbarazzati in un ambiente tanto elegante, per di più di fronte a Lazzaro e soprattutto di fronte a Gesù – prendono coraggio e cominciano a raccontare la loro versione di quella notte di Betlemme, quando alcuni di loro erano ancora molto giovani e taluno anche bambino.
 
Quella notte i pastori, dopo l’annuncio angelico e l’Osanna degli Angeli, erano andati alla grotta avvicinandosi in silenzio e – facendo sbirciare il più piccolo di loro da un lato del mantello che Giuseppe aveva messo a chiusura dell’ingresso a protezione dal vento e dal freddo – essi avevano visto per la prima volta Gesù neonato.
 
A questo punto Pietro protesta, dicendo che non è giusto che gli altri ‘sappiano’ mentre gli apostoli – a parte il giovane Giovanni che gli apostoli sanno essere il detentore di tanti segreti di Gesù, fatto di cui Pietro si lamenta dicendo che lui, Giovanni, se ne sta sempre ben zitto – non sanno niente, per di più dopo un anno di viaggi di evangelizzazione fatti insieme.
 
Gli altri apostoli si associano alle ‘proteste’ di Pietro e – a cominciare da Bartolomeo, che ricorda sorridendo a Gesù di averGli detto una volta che ‘da Nazareth non poteva venire niente di buono’ – gli chiedono di parlar loro di quell’importante avvenimento della sua vita.
 
Gesù accondiscende, accettando di parlare di quella notte e anche di ciò che i pastori non sanno.
 
Narra dunque Gesù che – avvicinatosi il tempo che Dio aveva considerato giusto per donare all’Umanità il Redentore (che avrebbe aperto i Cieli agli uomini di buona volontà) - Dio si preparò la sua ‘Vergine’.
 
Il Verbo divino, infatti, facendosi Carne, non avrebbe potuto abitare in un corpo in cui Satana - attraverso il Peccato originale e le sue conseguenze - avesse messo il proprio ‘sigillo’.
 
Dio operò dunque perché Maria, nel seno materno di Anna, fosse preservata dalla ‘Macchia’.
 
L’anima di Maria – deduco io – venne opportunamente preservata in anticipo, come fosse stata in qualche misterioso modo ‘immunizzata’ dalla ‘malattia’, ed a quel punto venne infusa da Dio nell’embrione concepito dai suoi genitori.
 
Maria – dice Gesù - fu dunque ‘la Vergine’ prima del concepimento, tale rimase nel seno della madre Anna, vergine fu nei primi passi, vergine quando confermò questo desiderio davanti al Gran Sacerdote del Tempio dove aveva trascorso l’infanzia fino al momento in cui il Gran Sacerdote aveva deciso il suo sposalizio, e vergine anche dopo quando Giuseppe, scelto come marito da Dio, accettò volentieri di rispettare il suo desiderio di castità, desiderio che a dire il vero era anche di Giuseppe. Vergine insomma sempre. E la sua verginità non va intesa solo in senso fisico, ma anche in senso ‘morale’ e ‘spirituale’, perché mai il suo spirito ebbe connubi con Satana. Ella rimase sempre “fonte sigillata” e “specchio tersissimo di Dio”.
 
Pietro, uomo fatto, sposato e smaliziato, ascolta con attenzione - rimuginando fra sé su quella maternità di Maria senza che Giuseppe l’avesse fisicamente sfiorata – e chiede allora a Gesù come avesse reagito Giuseppe a Nazareth nel saperla incinta.
 
Gesù risponde che Dio aveva fatto capire a Maria di tenere il segreto di quel concepimento spirituale.
 
Giuseppe, pertanto, non si rese conto del fatto se non guardandola quando – tre mesi dopo la partenza di Maria da Nazareth per Ebron dove abitavano Elisabetta e Zaccaria - egli arrivò da Zaccaria a Gerusalemme (dopo la presentazione di Giovanni Battista al Tempio) per riprendersi la sposa. Prima di partire per Ebron, Maria aveva dovuto aspettare circa un mese e quando ritorna a Nazareth è ormai di 4 mesi e il suo stato è ben visibile anche sotto l’abito lungo e ampio.
 
Pietro, stupito, chiede ancora come avesse reagito a quella scoperta, perché ‘se al suo posto ci fosse stato lui…’
 
Gesù gli spiega che Giuseppe era in realtà quello che oggi chiameremmo un santo, perché Dio sapeva chi scegliere e a chi affidare i suoi doni, ma che - dopo quella dura prova - in Giuseppe subentrò la gioia
 
Pietro rimugina ancora fra sé le parole di Gesù ma poi non ne può più e a mezza bocca esclama: «Se ero io…, non succedeva, perché prima avrei…, Oh! Signore, come è stato bene che non fossi io! L’avrei spezzata come uno stelo senza darle il tempo di parlare. E dopo, se assassino non fossi stato, avrei avuto paura di Lei… La paura di tutto Israele, da secoli, per il Tabernacolo…».[13]
 
Pietro, evidentemente, non era ancora santo come Giuseppe. Era un uomo vigoroso ed impetuoso con una forte attitudine al comando, generoso e… anche ‘manesco’, come avrebbe dimostrato due anni dopo, nella notte del Getsemani sul monte degli Ulivi, staccando con un fendente di spada un orecchio ad uno dei soldati dei sacerdoti del Tempio che erano venuti a catturare il suo Maestro.
 
Egli diventerà santo dopo, macerato dal pentimento e dal rimorso per aver tre volte rinnegato Gesù la notte della cattura e soprattutto dopo la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli nel Cenacolo.
 
Anche i pastori intervengono con i loro ricordi, rammentando il loro dolore dopo che seppero della fuga notturna da Betlemme della Sacra Famiglia senza più essere riusciti ad avere alcuna notizia per tutti gli anni successivi.
 
Persino il sacerdote Zaccaria – dicono i pastori – aveva detto di non sapere dove fossero fuggiti.
 
Gesù spiega loro che il segreto sulla piena manifestazione del Messia avrebbe dovuto essere mantenuto per prudenza fino al giorno opportuno.
 
E anche quando – morto Erode il Grande – essi tornarono dall’Egitto, evitarono sempre per prudenza di far tappa sia ad Ebron che a Betlemme ma andarono direttamente a Nazareth in Galilea, costeggiando il mare. Questa prudenza estrema sulla identità del Messia – continua Gesù - spiega anche l’affanno di Maria dopo il suo smarrimento a Gerusalemme, dodicenne, e nel momento in cui finalmente ella Lo ritrovò fra i dottori del Tempio.
 
Gesù conclude rammentando di essere il Perfetto, in quanto Figlio del Padre, e di essersi perciò sempre regolato con perfezione per conservare al Padre il Salvatore. E così Egli ha fatto fino all’anno prima, quando – all’inizio della Sua Missione – Egli aveva deciso che poteva e doveva ormai rivelarsi al mondo.
 
Alla domanda se non avesse mai più visto Giovanni Battista da allora, Gesù risponde che il ‘suo’ Giovanni lo vide solo al Giordano, al momento in cui volle da lui il Battesimo.
 
In realtà nell’Opera della nostra mistica il racconto di Gesù ed i dialoghi dei presenti sono molto più ampi di quanto abbia qui sintetizzato io con parole mie, limitandomi all’essenziale. Pietro vorrebbe potersi ricordare tutto. Ma – e questa è una frase di cui lascio a voi comprendere la portata – gli risponde tranquillizzandolo Matteo, dicendogli:
 
 
«Sta’ buono, Simone. Domani mi faccio ripetere tutto dai pastori. Con pace. Nel frutteto. Una, due, tre volte se occorre. Io ho buona memoria, esercitata al mio banco, e ricorderò per tutti. Quando vorrai ti saprò ripetere tutto. Non tenevo neppure le note a Cafarnao, eppure…».
 
 
Avete capito, ora, perché il Vangelo di Matteo è molto più dettagliato in tanti punti, come ad esempio nel ‘Discorso della montagna’, del Vangelo di Marco?
 
Marco non solo non era stato apostolo e quindi nemmeno testimone oculare dei fatti ma aveva dovuto scriverli sulla base della suddetta ‘relativa’ memoria di Pietro…
 
Matteo fu il primo – si apprende dall’Opera valtortiana – a scrivere il suo Vangelo, anche se dopo una quindicina di anni dall’Ascensione di Gesù.
 
Egli era tuttavia molto intelligente e - da buon ‘pubblicano’ - quando ancora se ne stava seduto al suo banco di Cafarnao dove incassava le gabelle, aveva imparato ad esercitare la memoria, al punto da non aver neanche più bisogno di consultare le ‘note’ dei registri contabili. Egli teneva tutto a mente fino all’ultimo 'soldo': chi doveva pagare e quanto dovesse pagare![14]
 
 
 

2.3 Fuga della Sacra Famiglia da Betlemme verso l’Egitto, prima infanzia di Gesù in Egitto ed adolescenza a Nazareth.

 
 
Rientro a Nazareth o fuga in Egitto? Una discordanza evangelica.
 
Matteo racconta nel suo Vangelo che dopo la partenza dei Magi da Betlemme un angelo avverte in sogno Giuseppe di alzarsi, prendere il Bambino e sua Madre, e fuggire in Egitto, come dire che non c’era da perder neanche un attimo di tempo.[15]
 
Matteo continua e dice che Giuseppe ‘si alzò e, di notte, preso il Bambino e sua Madre, si ritirò in Egitto…’.
 
Non so se lo abbiate notato, ma l’Angelo non dice a Giuseppe di prendere suo figlio e sua moglie e di fuggire, ma di prendere il Bambino e Sua Madre.
 
Gesù non era infatti figlio di Giuseppe ma - per discendenza di carne - era solo figlio della Madre, cioè di Maria.
 
A riguardo di questa precipitosa partenza, mi sembra di aver però trovato qui una discordanza evangelica…
 
Luca – dopo aver narrato l’episodio della cerimonia della Purificazione – aveva concluso infatti testualmente così:[16]
 
 
‘Quando ebbero compiuto tutto quello che riguardava la legge del Signore, ritornarono in Galilea, nella loro città di Nazareth.
 
Intanto il fanciullo cresceva, si sviluppava, riempiendosi di saggezza, e la grazia di Dio era su di Lui’.
 
 
Quindi, secondo il racconto di Luca, dopo la cerimonia della Purificazione – qualche tempo dopo la nascita di Gesù - la Sacra Famiglia se ne torna a Nazareth e l’evangelista ce la ripresenta a Gerusalemme dodici anni dopo al compimento del dodicesimo anno di Gesù.
 
Matteo racconta invece che c’è stato l’arrivo dei Magi e che dopo la loro partenza la Sacra Famiglia fugge precipitosamente non a Nazareth ma verso l’Egitto.
 
Intanto diciamo che sarebbe sbagliato giudicare l’attendibilità dei Vangeli limitandoci a considerare ‘buoni’ solo gli episodi che sono citati e riferiti identicamente anche dagli altri evangelisti.
 
Ogni evangelista, infatti, racconta le cose dal proprio angolo visuale e inserisce quegli elementi che sono in quel momento a sua conoscenza o più significativi.
 
Quale delle due versioni è allora quella giusta?
 
Non è nemmeno tanto verosimile che – dopo un sogno come quello di cui parla Matteo con l’Angelo che ingiunge letteralmente a Giuseppe di alzarsi nottetempo e di fuggire subito in Egitto – Giuseppe e Maria fossero andati in Egitto passando prima da Nazareth.
 
Dando un’occhiata ad una carta geografica di Israele, possiamo notare che - per la famigliola che si trovava a Betlemme - Nazareth era agli antipodi rispetto all’Egitto.
 
Infatti Betlemme, che è a pochi chilometri da Gerusalemme, è più o meno a metà strada fra Nazareth, verso nord, e il confine egiziano del territorio di Israele, verso sud.
 
Dovendo fuggire nottetempo da Betlemme a sud verso l’Egitto – come racconta Matteo - non avrebbe avuto senso andare a Nord, con le soldataglie di Erode alle calcagna, per poi rimanersene ad aspettarle a Nazareth come se niente fosse.
 
Oltretutto Nazareth era situata ben 120 chilometri circa a nord rispetto a Betlemme, verso l’odierno Libano.
 
Perché tornare a Nazareth? Per salutare i parenti? Ma quello non era un viaggio di piacere, un viaggio turistico, era una fuga drammatica pena la morte. Andare a Nazareth avrebbe significato farsi 120 chilometri all’andata, salutare i parenti, farsi altri 120 chilometri al ritorno, a dorso d’asino, su strade molto pattugliate.
 
Insomma – contando il fatto che c’era un bambino piccolo da portare ed una donna fragile, e inoltre che se fossero andati a Nazareth a ‘sistemare’ le loro faccende famigliari prima di andarsene all’estero, altri due o tre giorni li avrebbero persi - i giorni perduti fra andata e ritorno, sarebbero stati almeno sette o otto, senza contare i giorni ulteriori di viaggio per raggiungere l’Egitto.
 
In tutti quei giorni Erode avrebbe avuto il tempo di stendere una maglia impenetrabile di soldati per intercettare e raggiungere quel piccolo Messia in fuga che – secondo i suoi timori - metteva in pericolo il suo trono.
 
 
 
Nessun ritorno a Nazareth, dunque. Giuseppe deve avere obbedito all’Angelo ‘alla lettera’: saltare giù dal letto, fare fagotto e partire alla svelta direttamente verso l’Egitto.
 
Concludendo, l’errore nei Vangeli o - se vogliamo, la svista narrativa - è di Luca.
 
Luca ‘salta’ anzi a piè pari l’episodio dell’Egitto - che forse non era neanche a sua conoscenza - o semplicemente lo salta perché ne aveva già parlato Matteo nel suo Vangelo, così come Giovanni, nel suo Vangelo successivo, ometterà moltissimi episodi che avevano già raccontato gli altri tre evangelisti sinottici.
 
Luca dice solo che Gesù avrebbe passato il resto della sua vita a Nazareth fino all’episodio narrato da lui stesso: il ‘ritrovamento’ di Gesù dodicenne al Tempio fra i dottori, episodio che invece Matteo da parte sua non racconta.
 
Nulla ci dicono i Vangeli sulla vita e durata del soggiorno di Gesù in Egitto, mentre è invece la Valtorta, che Gesù chiamava nei suoi Dettati ‘il piccolo Giovanni’ dal nome del grande Evangelista, a parlarcene attraverso le sue visioni.[17]
 
Un deserto, una piramide, una casetta ad un solo piano, molto modesta e intonacata a calce. Due porte affiancate, ciascuna delle quali immette in un piccolo ambiente. Un poco di terreno sabbioso intorno, recintato da canne coperte da dei rampicanti, un gelsomino in fiore, un cespuglio di rose, dove vi è un piccolo orto. Una pianta ad alto fusto che fa ombra alla casa e al terreno, una capretta legata alla pianta che mangia le foglie di alcuni rami che le sono stati gettati davanti. Su una stuoia, per terra, un Gesù bambino di circa due anni. Molto bello, gioca con dei pezzetti di legno intagliati che certo gli avrà fatto Giuseppe. Capelli dorati, riccioli, pelle chiara e rosea, occhietti azzurri, vivi e splendenti, come li avrà anche da adulto.
 
Ha una camiciola bianca lunga, certo la Sua tunica, i piedini scalzi, mentre egli gioca anche con i suoi sandaletti che sono lì vicino. Poco più in là Maria, all’ombra della pianta, lavora ad un telaio e tiene d’occhio il bambino.
 
Scena molto serena.
 
Poi a sera arriva Giuseppe, con gli attrezzi da falegname sulle spalle, segno che anche in Egitto si guadagnava da vivere facendo il falegname.
 
Giuseppe entra in una delle due stanze della casetta. Funge da laboratorio, cucina, stanza da pranzo, con una tavolo e una lucerna, sgabelli, un focolare acceso, il telaio che nel frattempo Maria ha portato in casa.
 
Ambiente povero ma ordinatissimo.
 
Si siedono tutti a tavola per la cena, non senza aver prima pregato secondo l’uso ebraico. Tralascio molti altri particolari.
 
L’angelo - in seguito - appare però ancora una volta in sogno a Giuseppe e gli dice di ritornare a Nazareth poiché Erode il Grande era morto.
 
La Valtorta rivede in una visione successiva Gesù a Nazareth, un bambino dall’apparente età di cinque anni.[18]
 
A Nazareth c’è una prima lezione di Giuseppe al piccolo Gesù nel laboratorio di casa: una lezione sull’uso degli attrezzi da lavoro.
 
Si vedono attrezzi vari costruiti da Giuseppe in formato ridotto, adatti ad un bimbo di quell’età: un piccolo martello, una sega, dei piccoli cacciavite, una piccola pialla, il tutto su di un piccolo bancone a misura di… bambino.
 
Prima operazione: come imparare a segare un pezzo di legno senza segarsi le… dita.
 
Poi l’uso della pialla per raddrizzare il taglio fatto storto…
 
In un’altra visione la mistica vede nell’orto-giardino un Gesù più grandicello che gioca con altri due bambini della stessa età: sono Giacomo e Giuda, cuginetti di Gesù in quanto figli di Alfeo di Nazareth, fratello di Giuseppe e sposo di Maria Cleofa, la donna di cui parlano i Vangeli che diverrà discepola di Gesù.
 
I due bambini sono gli stessi che diventeranno apostoli.
 
È una scena divertente.
 
Prima giocano ai mercanti, poi si stancano e cambiano gioco. Decidono di fare l’esodo dall’Egitto. Uno dei due cuginetti (Giacomo) propone a Gesù di fare Mosè, lui farà Aronne e suo fratello Giuda farà Maria, la sorella di Aronne.
 
Giuda (che da adulto nei Vangeli è chiamato il Taddeo) protesta perché lui è un maschio e non vuol fare la femmina, ma Giacomo gli dice che fa lo stesso e anzi lui – Giuda - ballerà davanti al vitello d’oro, che nel caso specifico viene simboleggiato da un alveare su un lato del giardino
 
Giuda si impunta:
 
«Io non ballo. Sono un uomo e non voglio essere una donna. Sono un fedele e non voglio ballare davanti all’idolo».
 
Interviene Gesù a far da paciere:
 
«Non facciamo questo punto. Facciamo l’altro: quando Giosuè viene eletto successore di Mosè. Così non c’è quel brutto peccato di idolatria e Giuda è contento di essere uomo e mio successore. Non è vero che sei contento?».
 
«Sì, Gesù. Ma allora tu devi morire, perché Mosè muore, dopo. Io non voglio che tu muoia, Tu che mi vuoi sempre tanto bene».
 
«Tutti si muore… Ma Io prima di morire benedirò Israele, e siccome qui non ci siete che voi, benedirò in voi tutto Israele…».
 
 
Non vi dico il resto, finché Gesù – nel seguito del gioco in cui interpreta il ruolo di Mosè – dall’alto di un monticello del giardino - benedice Israele, vale a dire i due cuginetti prostrati, poi si sdraia, chiude gli occhi e … muore.
 
Profetico, direi. Il Verbo che è in lui – a futura memoria – prefigura forse con un gioco innocente quanto Gesù farà poi dalla Croce del Calvario quando morirà dopo aver detto: ‘Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno…’.
 
Maria, che arriva in quel momento, lo vede steso a terra immobile e spaventata gli grida di alzarsi, perché – lo rimprovera - ‘… lei non lo vuole vedere morto’
 
La ricostruzione dei bambini dell’episodio di Mosè è stata comunque perfetta e poi se ne comprende il perché: come maestra di religione tutti e tre hanno Maria, la quale aveva studiato nel Tempio e come già detto conosceva a menadito le scritture e i salmi che i ragazzi recitavano.
 
I due cuginetti, inseparabili compagni di giochi ed istruiti scolasticamente da Maria, alcuni decenni dopo diventeranno anche compagni di Gesù durante la sua evangelizzazione e lo seguiranno nella morte con il loro martirio.

 
 
2.4 Gesù dodicenne fra i dottori del Tempio, prima profezia messianica: 'Attendetemi nella mia ora.  Queste pietre riudranno la mia voce e fremeranno alla mia ultima parola…'.  

 
 
Passano dunque gli anni e Luca racconta[19] che Giuseppe e Maria erano soliti andare ogni anno a Gerusalemme, per la Festa di Pasqua.[20]
 
Il che significava - come già detto - farsi circa 120 chilometri a dorso d’asino o a piedi all’andata e altrettanti fino al ritorno a Nazareth.
 
Questo per Giuseppe significava - poiché fra feste pasquali e viaggio di andata e ritorno sarebbero stati necessari almeno una decina di giorni – lasciare la propria attività di falegname non per prendersi delle ‘ferie’, come faremmo noi oggi, ma per fare un pellegrinaggio che – anche per Maria e per Gesù – sarebbe stato molto disagevole e faticoso.
 
In questo episodio evangelico, però, il ‘bimbo’ era intanto cresciuto. Era già un ragazzo, anzi un adulto, anche se solo dodicenne, perché quella era l’età in cui in Israele un giovane veniva dichiarato – con una apposita cerimonia nell’immancabile Tempio - maggiorenne per la legge, dopo aver superato un esame di…religione, fatto questo che per Gesù non avrebbe comunque dovuto costituire una preoccupazione.
 
Il Dio che era in Lui – ne abbiamo già accennato - non si rivelava che a sprazzi, in attesa della rivelazione ‘pubblica’ a trent’anni, all’inizio cioè della ‘missione’ al Giordano quando lo Spirito del Signore sarebbe apparso a Giovanni Battista sul capo di Gesù sotto forma di colomba ed una Voce avrebbe tuonato dal cielo indicando che quello era il suo Figlio prediletto.
 
Ma quando il Dio che era ‘nascosto’ in lui si ‘rivelava’, quasi la carne umana stentasse a contenere la divinità compressa, agli occhi della gente Gesù poteva assomigliare a uno di quei bambini ‘prodigio’, quelli di cui ogni tanto si sente ad esempio dire che a sette anni risolvono complessi problemi di alta matematica o compongono brani di musica eccelsa: un genio infantile, insomma, che però – al di fuori del suo ambito ‘geniale’ – si comporta, gioca e scherza come tutti gli altri ragazzi della sua età.
 
E Gesù – da giovanetto – credo dovesse essere tenuto prudentemente d’occhio dai suoi ‘genitori’ perché questi umanamente temevano che il Dio che era in lui avrebbe potuto far balenare magari troppo quei lampi di luce che avrebbero dato adito a interrogativi ed attirato l’attenzione delle Autorità e di Satana prima che giungesse il tempo della maturità di Gesù, come uomo pronto alla missione.
 
Attenzione di Satana che, come vedremo, sarebbe scattata infatti subito dopo la manifestazione della Voce di Dio al guado del Giordano (dove Giovanni Battista avrebbe ‘battezzato’ Gesù), concretizzandosi nelle famose ‘tentazioni’ sataniche nel deserto.
 
Tornando a quel viaggio a Gerusalemme, dunque, dovevano essere tutti in comitiva, perché – essendo, quelli, dei viaggi di pellegrinaggio - gli israeliti erano soliti partire in gruppi numerosi dai paesi d’origine.
 
Probabilmente facevano parte della ‘comitiva’, oltre che gli amici paesani, anche i parenti, come quell’Alfeo, il già citato fratello di Giuseppe, sua moglie Maria d’Alfeo, con i loro figlioli Giacomo e Giuda, cugini coetanei.
 
I cugini, nel Vangelo, vengono chiamati - alla moda ebraica - ‘fratelli’.
 
Il pellegrinaggio per gruppi, che poi si univano sulla strada a quelli di altri paesi, ingrossandosi e componendo una vera e propria ‘carovaniera’, era anche dettato da ragioni di sicurezza.
 
Si viaggiava insieme per difendersi meglio dai briganti che - nonostante a quell’epoca Roma tenesse ben sgombre almeno le strade consolari non badando tanto al sottile e ai garantismi nel comminare la pena di morte - rappresentavano sempre un pericolo sulle strade meno battute e con viandanti isolati.
 
Al ritorno, finite le feste pasquali, i ‘gruppi’ si ricomponevano e file lunghissime di gente si snodavano per le strade, assottigliandosi e frammentandosi sempre più man mano che ogni gruppo deviava dalla via principale prendendo la strada secondaria che avrebbe condotto al proprio villaggio.
 
Era un caravanserraglio di cammelli, cavalli, asini e asinelli, carri e carretti, in mezzo ad un vociare confuso di richiami ed inviti a sbrigarsi, in mezzo a parenti e compaesani che si danno di voce ed a ragazzi per i quali quel viaggio avventuroso si ammantava di mistero e di interesse e che tutto facevano fuorché starsene con i loro genitori, magari… in fondo alla carovana.
 
Maria e Giuseppe si accorgono solo alla fine della giornata che Gesù manca all’appello ma non perché nessuno dei due si fosse occupato di sapere dove era Gesù prima di partire. La ragione è un’altra: Maria umilmente pensava che essendo Gesù ormai maggiorenne si fosse unito a Giuseppe e ai maschi; Giuseppe invece conoscendo la natura amorosa di Gesù, pensava che Lui avesse ancora voluto rimanere con la Madre, anche se ormai adulto per la Legge.
 
È l’ora dell’imbrunire, la carovana si ferma, si sistemano i bivacchi, si accendono i fuochi, è l’ora di mangiare e… Gesù? Dov’è Gesù?
 
Dov’è Gesù?!
 
Nessuno lo sa e, a ben pensarci, nessuno l’ha visto, neanche gli amici.
 
Erano ormai ad una giornata di cammino da Gerusalemme, verso Nord, diciamo quasi una trentina di chilometri, ed era notte. Che fare?
 
Maria e Giuseppe – torce alla mano - decidono di rientrare a Gerusalemme a passo veloce, fatto che gli avrà consentito di arrivare all’alba.
 
Essi sapevano bene che nel caso di Gesù potevano entrare in ballo forze spirituali negative come era successo in occasione dell’eccidio ordinato da Erode il quale – convinto ‘umanamente’ di difendere così il suo trono da quell’ipotetico Messia menzionato dai Magi -  aveva assecondato una suggestione satanica e aveva ordinato la soppressione, ancorché sapesse che il Messia doveva essere nato solo da non molti mesi, di tutti i bambini di Betlemme e dintorni dai due anni di età in giù, tanto per non sbagliare.
 
Gesù godeva certamente di una protezione ‘angelica’ che creava intorno a Lui una ‘barriera’ che confondeva le idee a Satana ma era sempre necessario usare prudenza.
 
Come già accennato sopra, Satana arriverà ad individuare il famoso ‘Messia’ – che anch’Egli attendeva come gli israeliti, ma non per acclamarLo – solo dopo il Battesimo del Giordano e soprattutto nel deserto quando si accorgerà di non essere riuscito a farLo ‘cadere’ in tentazione, come aveva già fatto con i Primi Due Progenitori.
 
Se il sanguinario Erode il Grande era ormai morto da alcuni anni, vi era pur sempre Erode Antipa, cioè il figlio, che quando si trattava di ‘tagliar teste’ non scherzava nemmeno lui, come farà poi con Giovanni Battista. E gli erodiani erano un vero e proprio partito politico al potere, rappresentato nel Sinedrio e alleato dei romani, i quali ultimi neppure loro volevano perdere il controllo della regione e sentir parlare di un Messia o di un Re dei re.
 
Ecco il perché dell’affanno di Maria e Giuseppe nel constatare la mancanza di Gesù: non solo responsabilità di genitori, ma responsabilità di tutori umani rispetto al Figlio di Dio che essi avevano avuto in consegna.
 
Ecco anche perché quel senso di liberazione e di ‘aggressività amorosa’ di Maria, quando – avendo trovato fra i dottori del Tempio l’enfant prodige – prorompe affannata in quel grido-rimprovero: ‘Figlio, perché ci hai fatto questo?!’
 
Gesù, in uno di quei suoi sprazzi di Luce che si rivelavano appunto quando il Dio che era in Lui riteneva opportuno in qualche modo rivelarsi, stava infatti dialogando con i sapienti del Tempio.
 
E dialogava veramente ‘da Dio’ se, come racconta Luca, questi grandi dottori si stupivano per la Sua intelligenza, per i suoi discorsi e le Sue risposte che certamente dovevano riguardare le cose di Dio.
 
E quel ‘Figlio’ risponde allora ai due genitori: ‘Non sapevate che io mi devo occupare di quanto riguarda mio Padre?’.
 
La visione valtortiana di questo episodio è di potente bellezza, oltre che di estremo interesse.[21]
 
Lì al Tempio era iniziata una disputa teologica fra ‘dottori’.
 
Un gruppo era guidato da Gamaliele, il famoso rabbi che era stato anche maestro di Saulo (il futuro San Paolo), e da un altro rabbi vecchio e quasi cieco che lo appoggiava: Hillel.
 
Il secondo gruppo era guidato da un certo Sciammai, astioso e intransigente.
 
Gamaliele sosteneva che in base alla profezia delle ‘settanta settimane’ di Daniele – di cui abbiamo già parlato – il Messia doveva essere già nato.
 
Sciammai sosteneva il contrario, perché la schiavitù da cui avrebbe dovuto essere liberato Israele era addirittura aumentata e la Pace, che il Principe messianico avrebbe dovuto portare con sé, era ben lontana dall’esserci, particolarmente in Gerusalemme, oppressa dai romani, né tantomeno si vedeva il preannunciato ‘Precursore’.
 
È qui che Gesù interviene, interloquendo con Sciammai e dando ragione a Gamaliele.
 
La schiavitù di cui parla il Profeta – proclama il Gesù dodicenne con aspetto fiero, con voce limpida e occhi sfavillanti – non è quella dei romani a cui Sciammai allude, ma quella del Male che separa l’uomo da Dio, e la regalità del Messia non sarà di tipo umano.
 
L’uomo verrà liberato dal Messia, che sarà però un Condottiero spirituale, Principe della Pace perché stipulerà una alleanza fra terra e Cielo, imprimendo la Paternità celeste nello spirito degli uomini con la Grazia nuovamente infusa per i meriti del Redentore.
 
‘Pace agli uomini di buona volontà’, ma Israele tuttavia – continua l’ispirato Gesù dodicenne - non avrà la Pace perché non avrà buona volontà. Il popolo misconoscerà il Cristo perché lo spera ‘re di umana potenza’.
 
Il popolo di Israele non lo amerà perché il Cristo, l’Unto, predicherà ciò che a quel popolo non piace.
 
Il Cristo non debellerà nemici militari ma i ‘nemici dell’anima’ che piegano il cuore dell’uomo a ‘possesso infernale’.
 
«Israelecontinua il giovane Gesù valtortiano per la sua mala volontà perderà la pace e soffrirà in sé, per dei secoli, ciò che farà soffrire al suo Re, che sarà da esso ridotto al Re di dolore di cui parla Isaia…».
 
I presenti ascoltano allibiti!
 
Sciammai e i suoi accoliti: «Questo nazareno è Satana!  ».
 
Hillele i suoi: « No. Questo fanciullo è Profeta di Dio.  Resta con me, Bambino. La mia vecchiezza trasfonderà quanto sa al tuo sapere, e Tu sarai Maestro del popolo di Dio ».
 
Gesù: «In verità ti dico che, se molti fossero come tu sei, salute verrebbe ad Israele.  Ma la mia ora non è venuta.  A Me parlano le voci del Cielo e nella solitudine le devo raccogliere finché non sarà la mia ora.  Allora con le labbra e col sangue parlerò a Gerusalemme, e sarà mia la sorte dei Profeti lapidati e uccisi da essa.  Ma sopra il mio essere è quello del Signore Iddio, al quale Io sottometto Me stesso come servo fedele per fare di Me sgabello alla sua gloria, in attesa che Egli faccia del mondo sgabello ai piedi del Cristo. Attendetemi nella mia ora.  Queste pietre riudranno la mia voce e fremeranno alla mia ultima parola. Beati quelli che in quella voce avranno udito Iddio e crederanno in Lui attraverso ad essa. A questi il Cristo darà quel Regno che il vostro egoismo sogna umano, mentre è celeste, e per il quale Io dico: "Ecco il tuo servo, Signore, venuto a fare la tua volontà. Consumala, perché di compierla Io ardo"».
 
 
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E così la Valtorta vede concludersi la visione, con un Gesù dodicenne dal volto infiammato di ardore spirituale e alzato al cielo, le braccia aperte, ritto in piedi fra i dottori attoniti.
 
 
La prossima terza riflessione sarà dedicata a:

 
 
3. DISCORSI DI GESÙ: IL PANE DEL CIELO E LA VERA NATURA DEL REGNO DI DIO

 
 
3.1 La seconda moltiplicazione dei pani ed il discorso sul Pane del Cielo.

 
 
In questa terza ‘riflessione’ sulla figura di Gesù come propostaci dalla seconda affermazione del Credo sopra sottolineata in grassetto, concentreremo ora l’attenzione – dopo averlo sentito parlare dodicenne ai dottori del Tempio – sulla sua successiva vita da adulto, e più precisamente su alcuni episodi della sua predicazione, pochi episodi fra i tanti, ma che serviranno a rendercene più chiara la figura di Uomo-Dio.
 
Predicazione da adulto, abbiamo detto, perché dal Gesù dodicenne al Tempio fino all’inizio – Lui trentenne – della sua vita pubblica di evangelizzazione, nulla dicono i Vangeli.
 
L’età di trenta anni era considerata, nell’antica tradizione di Israele, l’età ideale per la maturazione e missione profetica, e Gesù, Profeta per eccellenza che come Verbo aveva per secoli e secoli parlato alla mente dei Profeti dell’Antico Testamento, ora inizia a parlare ‘in proprio’.
 
Nella visione teologica modernista ed illuminista - che tende a rifiutare i miracoli ed in genere il soprannaturale – si vogliono riconsiderare i Vangeli alla luce della pura ragione e della ‘scienza’.
 
Certi teologi famosi hanno quindi contestato a Gesù il fatto di essersi dichiarato ‘Figlio di Dio’, cioè Dio, mentre essi lo considerano ‘un uomo che si credeva Dio’, anche se gli riconoscono il fatto di essere un ‘uomo’ particolarmente saggio ed ‘illuminato’: non certo uno Spirito divino incarnato.
 
Costoro eccepivano che in fin dei conti egli si era limitato a ripetere frasi già dette dai profeti,
 
Essi però – nel loro scarso credere – non avevano considerato che i Profeti non avevano fatto altro che annunciare al mondo ciò che il Verbo divino diceva loro nella mente, Verbo che – incarnatosi nell’Uomo-Dio – avrebbe ripetuto in forma molto ampliata, anzi divina, il Suo Pensiero per farne la nuova Dottrina che avrebbe dovuto non cambiare ma perfezionare la Legge mosaica.
 
In ordine di tempo, dopo l’inizio della predicazione evangelica, cito a titolo esemplificativo solo alcuni episodi in ordine cronologico del suo primo anno di attività pubblica:
 
 
·       Battesimo di Gesù al Giordano
 
·       Tentazioni di Satana nel deserto
 
·       Miracolo delle nozze di Cana con l’acqua trasformata in vino
 
·       Cacciata di Gesù dalla Sinagoga di Nazareth
 
·       Colloquio notturno a Gerusalemme con Nicodemo su come entrare nel Regno di Dio
 
 
Quindi, sempre in ordine cronologico ma a questo punto nel secondo anno di attività pubblica:
 
 
·       Incontro con la Samaritana presso il pozzo di Sichar e discorso sull’Acqua viva
 
·       Il discorso della montagna
 
·       L’insegnamento della Preghiera del Padre Nostro
 
·       La disputa di Gesù con i farisei a Cafarnao e la decapitazione di Giovanni Battista
 
·       La prima moltiplicazione dei pani
 
 
Non si contano - nell’Opera valtortiana - i discorsi di Gesù alle folle nei suoi tre anni di predicazione per condurle alla sua Dottrina ed alla salvezza, discorsi eccelsi sul piano umano, spirituale e teologico.
 
È però soprattutto nel terzo anno, quello conclusivo della sua missione, che Egli ne pronuncia alcuni di grande rilevanza per sottolineare la sua figura messianica e la sua reale natura di Uomo-Dio.
 
La meditazione su questi discorsi – che faremo in questa terza ‘riflessione’, ma poi anche nelle successive - ci permetterà di conoscere meglio Gesù e quindi di amarlo.
 
Siamo dunque ora nel terzo anno della predicazione pubblica di Gesù.
 
Poco tempo dopo l’episodio evangelico della Sua Trasfigurazione sul monte Tabor – presenti gli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni - avviene l’episodio di una seconda moltiplicazione dei pani, ripetizione di una analoga ‘moltiplicazione’ che era già avvenuta nella missione apostolica dell’anno precedente.
 
Gli evangelisti Matteo e Marco ci raccontano questo secondo miracolo: non più consistente – come nel primo episodio[22] - nella moltiplicazione di cinque pani, e due pesci in un numero sufficiente a sfamare cinquemila uomini con dodici canestri di avanzi, bensì, questa volta di sette pani e dei pesciolini’, per quattromila uomini con sette ceste di avanzi.[23]
 
Né Matteo, né gli altri due evangelisti Marco e Luca accennano però - nel racconto della prima moltiplicazione - al fondamentale discorso del ‘Pane del Cielo’ narrato da Giovanni, come non ne parlano del resto nemmeno ora in occasione della seconda moltiplicazione.
 
Giovanni – da parte sua - nel suo Vangelo successivo ai tre precedenti -  parla solo di 'una' moltiplicazione, e cioè della prima sopra descritta[24], ma pochi versetti dopo, nello stesso capitolo[25] – attenzione! – egli ‘incolla’ il seguente discorso sul Pane del Cielo che tiene a Cafarnao, sul Lago di Tiberiade:
 
 
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Gv 6, 22-77:
 
 
Il giorno dopo, la gente rimasta di là del mare osservò che non c’era che una barca, e Gesù non era entrato in essa con i suoi discepoli, ma che i discepoli soli erano partiti.
 
Giunsero intanto altre barche da Tiberiade, presso il luogo dove avevano mangiato quel pane, dopo che il Signore ebbe reso le grazie.
 
La gente, adunque, visto che lì non c’era né Gesù né i suoi discepoli, salì anch’essa nelle barche e andò a Cafarnao in cerca di Gesù.
 
Trovatolo di là del mare, gli domandarono: ‘Maestro, quando sei venuto qua?’
 
Gesù rispose loro: ‘In verità, in verità vi dico: voi cercate me, non per i miracoli che avete veduto, ma perché avete mangiato di quei pani e ve ne siete saziati. Cercate di procurarvi non il cibo che perisce, ma il cibo che dura per la vita eterna, quello che il Figlio dell’Uomo vi darà; perché è lui che il Padre, Dio, ha segnato con il suo sigillo’.
 
Gli dissero: ‘Che dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?’
 
Gesù rispose loro: ‘Questa è l’opera di Dio: che crediate in Colui che Egli ha mandato’.
 
Gli domandarono: ‘Che miracolo fai tu, affinché lo vediamo e crediamo in te? Che opera fai? I nostri padri mangiarono la manna nel deserto, così come sta scritto: ‘Diede loro da mangiare pane venuto dal cielo’.
 
Gesù rispose loro: ‘In verità, in verità vi dico: non Mosè vi diede il pane del cielo, ma il Padre mio vi dà il vero pane del cielo, poiché il pane di Dio è quello che discende dal cielo e dà la vita al mondo’.
 
Gli dissero allora: ‘Signore, dacci sempre di questo pane’.
 
Gesù dichiarò loro: ‘Io sono il pane di vita: chi viene a me non avrà più fame; e chi crede in me non avrà più sete. Ma io ve l’ho detto: voi mi vedete, ma non credete. Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: e chi viene a Me, Io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma quella di Colui che mi ha mandato. Or la volontà di Colui che mi ha mandato è questa: che io non perda niente di quanto egli mi ha dato, ma che lo resusciti nell’ultimo giorno. Poiché la volontà del Padre mio è che chiunque conosce il Figlio e crede in lui, abbia la vita eterna: ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno’.
 
I giudei mormoravano di lui perché aveva detto: ‘Io sono il pane disceso dal cielo’, e dicevano: Non è costui Gesù, figlio di Giuseppe, del quale conosciamo il padre e la madre?’ Come mai ora dice: ‘Sono disceso dal cielo’?
 
Gesù rispose loro: ‘Non mormorate fra voi. Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato, ed Io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: ‘Saranno tutti istruiti da Dio’. Chiunque, pertanto, ha udito il Padre e accoglie il suo insegnamento, viene a me. Non già che qualcuno abbia visto il Padre, eccetto che colui che viene da Dio: questi ha visto il Padre. In verità, in verità vi dico: chi crede ha la vita eterna’.
 
Io sono il Pane di vita. I padri vostri mangiarono la manna nel deserto e morirono. Questo è il Pane disceso dal cielo, affinché chi ne mangia non muoia. Sono Io il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno; e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo’.
 
Discutevano perciò fra di loro i Giudei dicendo: ‘Come può darci da mangiare la sua carne’?
 
Gesù disse loro: ‘In verità, in verità vi dico: se non mangerete la carne del Figlio dell’uomo e non berrete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me e io in lui. Come il Padre vivente ha mandato me ed io vivo per il Padre, così chi mangia me vivrà anch’egli per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non come quello che mangiarono i padri e morirono: chi mangia questo pane vivrà in eterno’.
 
Queste cose disse Gesù, insegnando nella sinagoga di Cafarnao.
 
Molti dei suoi discepoli, udito che l’ebbero, esclamarono: ‘Questo linguaggio è duro. Chi lo può ammettere?’.
 
Gesù, conoscendo in se stesso che i suoi discepoli mormoravano di ciò, disse loro: ‘Ciò vi scandalizza? Che sarà, dunque, se vedrete il Figlio dell’uomo ascendere dov’era prima? È lo spirito che vivifica, la carne non giova a nulla: le parole che io vi dico sono spirito e vita. Ma ci sono fra voi alcuni che non credono’.
 
Gesù, infatti, sin da principio sapeva chi erano i non credenti e chi l’avrebbe tradito.
 
Poi aggiunse: ‘Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre’.
 
Da allora molti dei suoi discepoli si ritrassero e non andavano più con lui.
 
Allora Gesù disse ai Dodici: ‘Volete andarvene anche voi?’
 
Simon Pietro rispose: ‘Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna. Noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio’.
 
Gesù rispose loro: ‘Non ho eletto Io voi Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo’.

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Egli alludeva a Giuda, figlio di Simone Iscariote, poiché costui, uno dei Dodici, lo avrebbe tradito.
Se dunque l'evangelista Giovanni, il 'grande Giovanni', associa il discorso sul Pane del Cielo al primo dei due miracoli della moltiplicazione dei pani, al contrario il piccolo Giovanni’, e cioè la mistica Valtorta, vede in visione l’episodio del discorso del Pane del Cielo non come successivo alla prima ma alla seconda moltiplicazione dei pani. [26]
 
Come spiegare questa differenza temporale e di circostanze?
 
Possibile che il ‘grande’ Giovanni sbagli, e che il ‘piccolo Giovanni’ abbia ‘ragione’?
 
Abbiamo detto fin dall’inizio che lo scopo degli evangelisti nel comporre i loro testi non è stato quello di dare un resoconto scientificamente ‘storico’ e ‘cronologico’ degli avvenimenti, ma di mettere insieme fatti, parabole, insegnamenti dati da Gesù in circostanze diverse e anche distanti nel tempo e nei luoghi fra di loro, al fine di seguire un loro specifico programma di insegnamento catechistico: convertire le genti.
 
Giovanni scrisse il suo Vangelo alcuni decenni dopo i tre precedenti. Egli conosceva dunque bene quanto in essi era stato raccontato in merito ai due ben distinti episodi della moltiplicazione dei pani.
 
Egli aveva sempre vissuto - in quei tre anni di vita pubblica al seguito di Gesù - a strettissimo contatto con il suo Maestro, di cui era anche confidente, e sapeva dunque molto bene quando Gesù aveva fatto quel discorso.
 
A lui – che andava al sodo - deve essere però sembrato sufficiente, ai fini catechistici, raccontarne solo uno di miracolo, il primo, il più straordinario perché era stato il primo, ma anche perché aveva indotto molti ‘potenti’ di allora ad entrare nell’ordine di idee di cercare di convincere in futuro Gesù a farsi re, obbiettivo questo che essi avrebbero tuttavia provato a raggiungere concretamente dopo che si era sparsa la notizia addirittura di un secondo miracolo analogo.
 
Scrive infatti Giovanni:
 
 
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Gv 6, 14-15:
 
(…) Quegli uomini, visto il prodigio fatto da Gesù, dicevano: ‘Questo è davvero il Profeta che ha da venire al mondo’.
 
Ma Gesù accortosi che venivano a rapirlo per farlo re, si ritirò di nuovo da solo sulla montagna.
 
 
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È dunque per associazione di idee che Giovanni, al suo racconto del primo miracolo, ‘incolla’ l’episodio del Pane del Cielo, episodio quest'ultimo che nella cronologia valtortiana avviene però circa un anno dopo il primo miracolo, e più precisamente dopo la seconda moltiplicazione dei pani.
 
La Valtorta vede dunque ora in visione Gesù che predica su un monte con tanta gente - uomini, donne e bambini - che però, lontana dai paesi, non aveva di che rifocillarsi.
 
Gesù ripete allora il miracolo della moltiplicazione del pane dell’anno precedente, ma il giorno dopo - rientrato a Cafarnao – fa ai suoi discepoli ed agli stessi abitanti, che si erano radunati nella sinagoga per ascoltarlo, l’ormai famoso discorso sul Pane del Cielo che molti di quei discepoli avrebbero rifiutato.
 
Gesù non aveva mai fatto mistero ai suoi discepoli di quanto fosse difficile seguire la sua strada e di quanto fosse stretta la ‘porta’ spirituale attraverso la quale era necessario passare, e non tutti – pur ammirandone la sapienza – erano convinti di poterlo o volerlo veramente fare.
 
Molti lo seguivano per il gusto di poter assistere con i propri occhi a questi suoi straordinari miracoli, altri per ottenere molto più praticamente guarigioni per sé o per propri parenti o amici, altri ancora per semplice curiosità o per il gusto di sentire certi discorsi sapienti o, come dicevano i romani che culturalmente lo ammiravano molto, i suoi discorsi da ‘filosofo’ ed oratore efficace.
 
Quelli che seguivano Gesù per ragioni veramente spirituali, cioè per guadagnarsi il Regno di Dio, erano veramente pochi, e quei pochi trovavano per di più la sua Dottrina difficile da seguire e quindi da accettare.
 
Quella che Gesù proponeva ai suoi stretti discepoli, ancora più che al popolo, era infatti la via dell’ascesi, cioè della rinuncia alla propria umanità, al proprio ‘io’ protervo ed egoista per divenire ‘spiriti’, o meglio uomini ‘spirituali’.
 
Il discorso del Pane del Cielo pronunciato a Cafarnao è ora però la goccia che fa traboccare il vaso.
 
Fin da subito - lo si vede dal testo di Giovanni - le cose si mettono male.
 
Gesù, all’inizio della sua predicazione, aveva stabilito la sua base operativa di partenza proprio in quella cittadina dove aveva parlato innumerevoli volte e fatto parecchi miracoli.
 
Ciononostante gli abitanti di Cafarnao non si convertirono che in minima parte.
 
Allora, nella sinagoga piena di discepoli e paesani, Gesù mette da parte la ‘diplomazia’ e sbatte in faccia a tutti una accusa brutale: molti lo seguono non per acquisire fede, grazie ai miracoli che Egli opera, ma piuttosto nella speranza di riempirsi la pancia con il pane che lui faceva materializzare come aveva fatto il giorno prima.
 
Mi sembra di sentire i mormorii che devono essersi levati fra la gente.
 
Gesù – e nel terzo anno di vita pubblica lo vedremo mostrarsi sempre più spesso severo anche con scribi e farisei – era Verità, era strumento di contraddizione e doveva con la spada della sua Parola tagliare nettamente in due ed operare una discriminazione fra buoni e cattivi.
 
Ma quando ‘scuoteva’ lo faceva sempre a fin di bene, per dare uno scrollone psicologico ricorrendo anche a rimproveri estremi per richiamare sulla via giusta.
 
In questa circostanza era opportuno mettere in chiaro le cose una volta per tutte e liberarsi dei seguaci ipocriti che sarebbero altrimenti stati una 'palla al piede' non solo nel proseguimento della missione di evangelizzazione ma anche ai fini della costituzione - attraverso i 'discepoli, collaboratori stretti degli apostoli come i sacerdoti lo sono oggi dei vescovi - della struttura portante della futura Chiesa cristiana.
 
Dopo quella stoccata, diretta a chi pensava prosaicamente alla pancia, Gesù prosegue dicendo che è invece bene non procurarsi il cibo che nutre il corpo ma quello che rigenera lo spirito, perché con il primo si muore ma con il secondo si guadagna la vita eterna.
 
E qui Gesù precisa che il cibo di vita eterna lo darà lui agli uomini, perché Egli stesso è ‘Pane’ del Cielo.
 
Avrete notato dai Vangeli ufficiali – ma lo cosa avviene anche nel ‘vangelo’ valtortiano - che Gesù si esprimeva sovente in forma velata, riservando certe rivelazioni più esplicite ai tempi finali, quando ormai la prudenza umana non aveva più scopo e tutto poteva e doveva essere ormai detto.
 
Non doveva ad esempio ancora essere detto nulla dell’Eucarestia, il dono più strepitoso ed in un certo senso più difficile da comprendere che Egli avrebbe lasciato all’Umanità riservandone l’annunzio ai suoi apostoli solo nel corso dell’Ultima Cena.
 
Qui – in questo discorso tenuto a Cafarnao - Gesù comincia però a preparare il ‘terreno’ facendone ripetutamente una anticipazione velata, proprio ricollegandosi al precedente miracolo della moltiplicazione dei pani.
 
La gente però non capisce e mormora: quella faccenda di Gesù che si dice ‘Pane del Cielo’ gli sembra una stravaganza, anzi una assurdità.
 
Ma Gesù rincara la dose e aggiunge che il ‘Pane’ che lui darà loro è la sua ‘carne’ e questa sarà ‘vita’ del mondo.
 
Lo sconcerto aumenta, i presenti discutono fra di loro sempre più animatamente: ‘Come può costui darci a mangiare la sua carne?’.
 
E Gesù di rimando: ‘In verità, in verità vi dico: se non mangerete la carne del Figlio dell’uomo e non berrete il suo sangue, non avrete in voi la vita…’.
 
Immaginate la gente…, non più solo il ‘pane’, non più solo la ‘carne’, ma ora anche il ‘sangue’!
 
Ecco perché Giovanni – ancor più ispirato degli altri evangelisti – fu l’unico a riportare quel lungo discorso di Cafarnao, così importante, collegandolo alla moltiplicazione dei pani della prima volta.
 
Il miracolo della moltiplicazione dei pani è infatti una allegoria del futuro miracolo della moltiplicazione del Pane dell’Eucarestia, della ‘moltiplicazione’ di Gesù Eucaristico.
 
Giovanni voleva che fosse chiaro il collegamento concettuale fra il pane materiale, che serve a nutrire il corpo, e la persona di Gesù.
 
Gesù – a memoria delle generazioni successive e dei critici razionalisti specie di area ‘protestante’ che vedono nell’Eucarestia solo un simbolo – voleva far comprendere che così come Dio, essendo Creatore, poteva moltiplicare all’infinito pani e pesci creandoli dal nulla,[27] bastando a ciò soltanto un atto del suo pensiero e della sua volontà per ‘materializzarne’ a sufficienza per migliaia di persone, così Dio non ha alcuna difficoltà a ‘moltiplicare se stesso’ transustanziandosi nell’Eucarestia per sfamare spiritualmente l’Umanità fino alla fine del mondo  e darle il Pane di Vita eterna.
 
Per quei discepoli, tuttavia, quel suo invito oscuro a mangiare la sua ‘carne’ ed a bere il suo ‘sangue’ per avere la Vita eterna, interpretato alla lettera, assumeva valenze umanamente ripugnanti ed inaccettabili.
 
Molti dei settantadue lo rifiutano e – ritenendole farneticazioni – abbandonano Gesù.
 
Egli voleva tuttavia provare la loro fede. Sarebbero infatti arrivati tempi di persecuzione e perché il nascente Cristianesimo potesse sopravvivere sarebbe stata necessaria una fede rocciosa in Gesù, anzi una fede cieca negli insegnamenti che Gesù aveva in precedenza impartito.
 
‘Meglio perderli che trovarli… - deve aver pensato Gesù - se non mi credono’.
 
E Gesù, infatti, poco dopo li rimpiazzò quasi tutti con altri di provata fede.
 
Ma, attenzione, il Gesù valtortiano fa anche capire che il miracolo della moltiplicazione dei pani non è solo ‘figura’ della ‘moltiplicazione’ dell’Eucarestia, ma anche della… Parola.

 
 
3.2 Un ‘avviso’ per i ‘dottori difficili’: la moltiplicazione della Parola.

 
 
Ecco ora non la visione della nostra mistica ma il ‘commento’ (i grassetti sono i miei) che Gesù in persona fa al suo ‘piccolo Giovanni’ alla fine della visione stessa:[28]
 
 
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Dice Gesù:
 
«Ecco un'altra cosa che darà noia ai dottori difficili.  
 
L'applicazione che Io faccio a questa visione evangelica.  
 
Non ti faccio meditare sulla mia potenza e bontà.  Non sulla fede e ubbidienza dei discepoli. Nulla di questo. Ti voglio far vedere l'analogia dell'episodio con l'opera dello Spirito Santo.
 
Vedi: Io do la mia parola. Do tutto quanto potete capire e perciò assimilare per farne cibo all'anima. Ma voi siete tanto resi tardi dalla fatica e dall'inedia che non potete assimilare tutto il nutrimento che è nella mia parola. Ve ne occorrerebbe molta, molta, molta. Ma non sapete riceverne molta. Siete tanto poveri di forze spirituali! Vi fa peso senza darvi sangue e forza. Ed ecco che allora lo Spirito opera il miracolo per voi.  Il miracolo spirituale della moltiplicazione della Parola. Ve ne illumina, e perciò la moltiplica, tutti i più riposti significati, di modo che voi, senza gravarvi di un peso che vi schiaccerebbe senza corroborarvi, ve ne nutrite e non cadete più affranti lungo il deserto della vita.
 
Sette pani[29] e pochi pesci!
 
Ho predicato tre anni e, come dice il mio diletto Giovanni, ‘se si dovessero scrivere tutte le parole ed i miracoli che ho detto e compiuto per dare a voi un cibo abbondante, capace di portarvi senza debolezze sino al Regno, non basterebbe la Terra a contenere i volumi’.  
 
Ma se anche ciò fosse stato fatto, non avreste potuto leggere tale mole di libri. Non leggete neppure, come dovreste, il poco che di Me è stato scritto. L'unica cosa che dovreste conoscere, come conoscete le parole più necessarie sin dalla più tenera età.
 
E allora l'Amore viene e moltiplica. Anche Egli, Uno con Me e col Padre, ha "pietà di voi che morite di fame" e, con un miracolo che si ripete da secoli, raddoppia, decuplica, centuplica i significati, le luci, il nutrimento di ogni mia parola.  
 
Ecco così un tesoro senza fondo di celeste cibo.  Esso vi è offerto dalla Carità. Attingetene senza paura. Più il vostro amore attingerà in esso e più esso, frutto dell'Amore, aumenterà la sua onda.
 
Dio non conosce limiti nelle sue ricchezze e nelle sue possibilità. Voi siete relativi. Egli no. È infinito. In tutte le sue opere. Anche in questa di potervi dare in ogni ora, in ogni evento, quelle luci che vi abbisognano in quel dato istante.
 
E come nel giorno di Pentecoste lo Spirito effuso sugli apostoli rese la loro parola comprensibile a Parti, Medi, Sciti, Cappadoci, Pontici e Frigi, e simile a lingua natìa ad Egizi e Romani, Greci e Libici, così ugualmente Esso vi darà conforto se piangete, consiglio se chiedete, compartecipazione di gioia se gioite, con la stessa Parola.
 
Oh! che realmente se lo Spirito vi illustra: "Va' in pace e non voler peccare", questa frase è premio per chi non ha peccato, incoraggiamento all'ancora debole che non vuole peccare, perdono al colpevole che si pente, rimprovero temperato di misericordia a colui che non ha che una larva di pentimento. E non è che una frase. Delle più semplici. Ma quante non sono nel mio Vangelo! Quante che, come bocci di fiore che dopo un'acquata e un sole d'aprile si aprono fitti sul ramo dove prima ve ne era sol uno fiorito e lo coprono tutto, con gioia di chi li mira, si schiudono in noi col loro spirituale profumo per attirarci al Cielo.
 
Riposa, ora. La pace dell'Amore sia con te».
 
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Chi sono quelli che Gesù chiama qui i ‘dottori difficili’?
 
Sono certi esegeti, quelli che in nome del razionalismo e della scienza, o meglio dello scientismo applicato a fatti spirituali, pretendono di far passare tutto il Vangelo attraverso la cruna dell’ago del loro raziocinio.
 
Comunque il discorso fatto da Gesù è sostanzialmente questo: ‘Voi uomini siete tanto spiritualmente tardi che non sareste neanche in condizione di saper valutare il significato profondo e molteplice di quanto Io-Gesù vi spiego con la mia Parola, e allora lo Spirito Santo – anziché imbottirvi la testa con i cento significati che quella parola, che è Parola di Dio, avrebbe nella sua pienezza – ve ne illumina di volta in volta le sfumature di significato che per voi, in quel ‘particolare momento’ della giornata o della vostra vita, è quello necessario’.
 
A proposito del fatto di essere illuminati di volta in volta in certi ‘particolari momenti’…, consentitemi una digressione fuori tema.
 
Dopo la pentecostale discesa dello Spirito Santo sugli apostoli questi – ormai pieni di coraggio - erano usciti dal Cenacolo e si erano messi a catechizzare cosicché tutti gli ebrei della diaspora, lì convenuti per la Festa ebraica, li sentirono parlare nella propria lingua, come narrano i Vangeli.
 
Avevo dunque pensato che quel miracolo dello Spirito Santo fosse consistito nell’insegnare agli apostoli – in quel particolare momento – a parlare in lingue estere.
 
Ebbene non fu così. La rilettura di questo brano del Gesù valtortiano che ho sopra trascritto – brano che io ho avuto occasione di leggere più volte in passato senza mai fare caso a questo particolare che ora vi dico – mi fornisce ora la risposta corretta.
 
La chiave di comprensione la troviamo mascherata in quella frase della sopra trascritta visione della mistica Valtorta che forse non avete ancora potuto analizzare a sufficienza e che ora ritrascrivo:
 
 
«…  E come nel giorno di Pentecoste lo Spirito effuso sugli apostoli rese la loro parola comprensibile a Parti, Medi, Sciti, Cappadoci, Pontici e Frigi, e simile a lingua natìa ad Egizi e Romani, Greci e Libici, così ugualmente Esso vi darà conforto se piangete, consiglio se chiedete, compartecipazione di gioia se gioite, con la stessa Parola».
 
 
Quindi fu lo Spirito Santo - effuso sugli apostoli nel giorno di Pentecoste - Colui che, agendo in certo qual senso da ‘Traduttore’, ‘rese la loro parola comprensibile’ agli altri.
 
Non furono pertanto gli apostoli a parlare nelle varie lingue, ma furono gli ebrei nativi di altre regioni e parlanti lingue diverse ad intendere le parole ebraiche degli apostoli come se fossero state da essi pronunciate nella loro lingua estera abituale.[30]
 
Chissà – facendo correre il pensiero - quale sarà stato il meccanismo utilizzato dallo Spirito Santo e raccontato nell’Antico Testamento che portò – dopo l’episodio della Torre di Babele – alla cosiddetta ‘confusione delle lingue’ che spinse l’Umanità, riformatasi dopo il Diluvio universale ma ancora una volta allontanatasi da Dio, a disperdersi?
 
Mi viene da pensare ad un meccanismo inverso, anche se concettualmente analogo: anziché capire la lingua altrui, non capirla più.
 
E quando non ci si capisce la cosa migliore è andarsene ognuno per la propria strada.
 
Dopo l’episodio sul Pane del Cielo raccontato nel Vangelo di Giovanni e riportato sopra in nota, Gesù riprende le sue peregrinazioni.
 
Vi è ad esempio l’episodio nel quale i farisei – sperando che egli si compromettesse con una risposta sbagliata - chiedono se egli ritenga giusto divorziare dalla propria moglie[31].
 
Quindi, dopo molte altre tappe, ritroviamo Gesù sulla strada di Gerusalemme perché si stava avvicinando la Pasqua[32], quella del terzo anno.
 
Egli trascorrerà molti giorni a Gerusalemme predicando sovente sotto i porticati del Tempio, come i Rabbi erano soliti fare davanti ai pellegrini che, vedendoli, si riunivano intorno a loro ad ascoltarli.
 
A Gerusalemme Gesù sarà nuovamente e a più riprese ospite di Lazzaro.
 
Seguiranno ancora viaggi e racconti di parabole finché - in casa di un potente fariseo – un tale Elchia - che lo invita a pranzo, ma sempre nella segreta speranza che Gesù si tradisca facendo o lasciandosi scappare qualcosa di compromettente atto ad accusarlo formalmente – capita un primo grave incidente, raccontato da Luca[33], in cui Gesù lancia quella sua famosa invettiva contro dottori e farisei.
 
Il racconto valtortiano dell'episodio, nella completezza dialettica delle parole dette da Gesù, è da antologia. [34]
 
Fu dopo tale fatto che – avendo Elchia riferito le parole di Gesù ad Anna, sommo Sacerdote del Tempio, suocero del Pontefice Caifa - maturò nel Tempio e fra i Capi dei Giudei la decisione di eliminare fisicamente Gesù alla prima occasione utile.

 
 
3.3 Gesù, il tentativo di farlo re e la sua spiegazione della vera natura del Regno di Dio.

 
 
Avevo in precedenza spiegato come – a mio parere - Giovanni avesse ritenuto di ‘collocare’ il discorso di Gesù sul Pane del Cielo dopo il racconto del primo miracolo della moltiplicazione dei pani (anziché dopo il secondo miracolo come in realtà avvenne).
 
Ciò non solo perché il primo miracolo fu quello che ebbe maggiore risonanza in tutto Israele ma anche perché proprio da quel primo miracolo era nata la convinzione nei ‘potenti’ che Egli fosse senz’altro l’atteso Messia Condottiero annunciato nei secoli precedenti dai Profeti per l’instaurazione del Regno di Dio e che quindi egli dovesse essere convinto a ‘candidarsi’ per una investitura… a Re di Israele (‘popolo di Dio’), un re che avrebbe finalmente sconfitto e soggiogato le potenze che a turno nei secoli  avevano oppresso gli israeliti.
 
Episodio conclusosi tuttavia – come racconta in poche parole Giovanni - con una fuga solitaria di Gesù su un non meglio identificato ‘monte’.
 
Cosa è dunque questa storia del tentativo di ‘rapimento’ per farlo re?
 
È bene parlarne perché aiuta a meglio comprendere la figura di Gesù di cui parla la seconda affermazione di fede del Credo, la Sua missione fra gli uomini ed in particolare la vera natura del ‘Regno di Dio’ che Egli era venuto ad instaurare sulla Terra prima ancora che in Cielo.
 
Lo comprendiamo tuttavia meglio dalla lettura dell’Opera valtortiana.[35]
 
La maggior parte dei personaggi che detenevano il potere in Israele non voleva accettare la messianicità di Gesù, ma una minoranza – con una certa influenza politica – stupefatta di fronte ai miracoli mostrava di credervi.
 
Questa minoranza, dopo il primo miracolo del pane e ancor più dopo il secondo, si convince dunque, come già detto, che uno che riesce a ‘materializzare’ per ben due volte pane per migliaia di persone può davvero fare anche il ‘miracolo’ di liberare Israele dall’oppressione romana.
 
Gesù – secondo costoro - non può dunque essere che l’atteso Messia, cioè il futuro ‘Re di Israele’.
 
Detto fatto, i ‘congiurati’ organizzano segretamente in una casa amica (quella di Cusa, alto dignitario alla corte di Erode Antipa, dignitario che per via della moglie Giovanna - discepola citata nei Vangeli, miracolata in precedenza da Gesù – era diventato per riconoscenza suo amico) una riunione di ‘cospiratori’ alla quale fanno in modo che – invitato da un Cusa in buona fede, convinto di fare il bene di Gesù e quello di Israele – partecipi Gesù al quale faranno ufficialmente la proposta di accettare l’incoronazione a Re, dicendosi sicuri che tutto il popolo lo avrebbe seguito entusiasta.
 
Nella riunione in realtà si erano infiltrati – fingendo di essere d’accordo - alcuni emissari del Sinedrio che speravano in tal maniera di produrre le prove delle attività sediziose di Gesù onde poterlo accusare poi di fronte a Roma.
 
Gesù, che è Verbo-Dio, sa ovviamente tutto in anticipo, ma decide ugualmente di partecipare perché vuole cogliere l’occasione per spiegare ai ‘congiurati’ ed agli Israeliti che la figura del Messia è ben diversa da quella che tutti in Israele si erano messi in testa.
 
In Israele – dirà fra l’altro Gesù - la ‘messianicità’ è stata concepita come un privilegio per il solo popolo di Israele, dando cioè di essa un significato nazionale, personale, egoista, che svilisce la grandezza dell’idea messianica ad una comune manifestazione di potenza umana e di sopraffazione vittoriosa sui dominatori trovati in Israele dal Cristo…’.
 
Il vero Dio – spiega sempre Gesù - non è un povero ‘dio’ di questo o quel popolo, un idolo, una figura irreale. È la Sublime realtà, è la Realtà universale, è l’Essere Unico, Supremo Creatore di tutte le cose e di tutti gli uomini. È perciò Dio di tutti gli uomini…
 
La Scrittura parlava di un ‘re liberatore’ ma è un liberatore dal Peccato, un liberatore dalla schiavitù di Satana’…
 
Quando poi Gesù, fissando negli occhi alcuni suoi interlocutori, li smaschera di fronte agli altri svelando il loro reale ruolo di infiltrati, scoppia un pandemonio con accuse reciproche fra i presenti.
 
Gesù ne approfitta per sgattaiolare via da dietro una tenda, uscire dalla casa e rendersi irreperibile.
 
Egli era andato da solo a quel convito, ma l’apostolo Giovanni – che non si era fidato dell'invito a quell'incontro – lo aveva seguito di nascosto, attendendolo all’esterno della casa.
 
Vedendolo fuggire via veloce, Giovanni lo segue da lontano finché riesce a raggiungerlo su un alto scoglio che sovrasta il lago di Tiberiade e lo trova seduto mentre piange.
 
L’apostolo lo abbraccia per confortarlo e finisce che i due piangono insieme per due dolori diversi, Gesù per essere un Messia incompreso, Giovanni per vederlo sofferente.
 
Gesù racconterà poi al giovane apostolo quanto era accaduto raccomandandogli il silenzio con gli altri ma di dirlo pure il giorno in cui gli uomini vorranno mostrarlo come un comune ‘capopopolo’:
 
 
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‘…Un giorno questo verrà. Tu ci sarai e dirai: ‘Egli non fu re della terra perché non volle. Perché il suo Regno non era di questo mondo. Egli era il Figlio di Dio, il Verbo incarnato, e non poteva accettare ciò che è terreno. Volle venire nel mondo e vestire una carne per redimere le carni e le anime del mondo, ma non soggiacque alla pompa del mondo e ai fomiti dei peccati, e nulla di carnale e mondano fu in Lui. La Luce non si fasciò di Tenebre, l’Infinito non accolse cose finite, ma delle creature, limitate per la carne ed il peccato, fece delle creature che più gli fossero uguali, portando i credenti in Lui alla regalità vera e instaurando il suo Regno nei cuori, avanti di instaurarlo nei Cieli, dove sarà completo ed eterno con tutti i salvati’.
 
Questo dirai, Giovanni, a chi mi vorrà tutto uomo, a chi mi vorrà tutto spirito, a chi negherà che io abbia subito tentazione…e dolore. Dirai agli uomini che il Redentore ha pianto… e che essi, gli uomini, sono stati redenti anche dal mio pianto…’.
 
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Nel corso della storia antica del cristianesimo non sono mancate le eresie, come quelle che – analogamente a certi teologi modernisti odierni - consideravano Gesù solo un comune uomo, o quelle altre che lo consideravano invece uno ‘spirito’ che aveva assunto solo ‘sembianze’ umane.
 
Anche in epoca recente, certi critici prestigiosi hanno voluto darci una immagine di Gesù visto storicamente come 'un uomo' realmente vissuto ma che venne successivamente mitizzato e trasformato in ‘Dio’, oppure l’immagine di un personaggio ideale, che tuttavia non sarebbe mai esistito, al quale è stata poi fittiziamente 'incollata', per renderlo più credibile, l’immagine di un personaggio storico, come se il personaggio ‘ideale’ fosse veramente vissuto.
 
E non sono nemmeno mancati quelli che hanno voluto presentarcelo come un capopopolo ‘democratico’, inventore del socialismo, anzi del comunismo, per non dire un campione del ‘pauperismo’.
 
Gesù spingeva fin da allora il suo sguardo divino nella profondità dei tempi futuri e nel dire ciò a Giovanni – piangendo - pensava non solo ai contemporanei di Giovanni ma soprattutto a quelli nostri.
 
Se Giovanni ha ricordato con due soli versetti l’episodio del tentativo di farlo ‘re’, alcune di queste parole del Gesù valtortiano riecheggiano con più vasta eco nel Prologo del suo Vangelo con il Verbo che si fa Carne, Luce fra le Tenebre, Verbo che viene nel mondo ma che il mondo non riconosce e respinge…
 
Quello del Prologo è un brano famoso dal quale emerge grandiosa la divinità di Gesù e l’ispirazione di Giovanni.
 
Ho già detto che Gesù aveva la doppia natura di Uomo e di Dio.
 
Il Dio che era in lui non poteva essere ‘tentato’ da un angelo ribelle che gli era inferiore ma l’Uomo in lui sì.
 
E Satana si servì anche di questa astuzia… politica per cercare di fare cadere l’Uomo, solleticando la sua vanità, stimolando il suo orgoglio, così come all’inizio era riuscito a fare cadere i due Progenitori e come aveva poi cercato di fare invano nelle Tentazioni del deserto.
 
Dopo tante umiliazioni e frustrazioni nel corso della predicazione, un umanamente legittimo desiderio di rivincita e la prospettiva di una grandezza umana potevano risultare per l’Uomo-Gesù delle tentazioni irresistibili, ma Egli seppe respingerle per non compromettere la missione di Redenzione.

 
 
3.4 L'attesa messianica in Israele.

 
 
Ne abbiamo già accennato in precedenza. Il livello politico e religioso, in Israele, era praticamente unificato.
 
A parte il ‘potere’ esercitato da Roma su tutte le più importanti questioni di ordine pubblico e di carattere generale, la vita civile era amministrata dal Sinedrio, una sorta di supremo Tribunale, di natura religiosa e politica - del quale facevano parte i sommi sacerdoti, anziani, scribi e farisei - le cui sentenze avevano valore esecutivo, tranne quella di morte che poteva essere comminata solo dai romani.
 
A livello più propriamente politico Roma era una ‘potenza occupante’, con proprie guarnigioni stanziate sul territorio, mentre gli ebrei si dividevano in fazioni filo-romane e filo-indipendentiste.
 
I Romani – che pur si tenevano fuori dalle beghe religiose locali – non avrebbero potuto accettare, in uno scacchiere geografico e politico così instabile (come si vedrà dalla successiva guerra giudaica che porterà alla distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C), rivendicazioni politiche di carattere messianico – intese in senso di potere temporale come del resto le intendevano i Giudei.
 
Lo stesso si poteva dire per le fazioni giudee che erano filo-romane, mentre quelle ‘indipendentiste’ vedevano in un futuro Messia - un Re dei re ma Re di guerra e non certo Re d’amore - l’opportunità storica di liberarsi degli oppressori romani e di sottomettere gli altri popoli che a turno, con alterne vicende, avevano nei secoli spesso schiavizzato Israele.
 
Sul piano più strettamente religioso, poi, la classe sacerdotale certo vedeva in Gesù un pericoloso ‘concorrente’, perché egli predicava una dottrina dell’amore che era il contrario di quanto essa praticava, e minava in sostanza la sua stessa autorità religiosa.
 
Tutte valide ragioni, insomma, per indurre Gesù alla prudenza perché la cosa più importante era il perseguimento – nei tempi dovuti – degli obbiettivi della sua missione.
 
Ecco perché ad un certo punto della sua azione di evangelizzazione Gesù va a Gerusalemme ‘in incognito’[36] mentre gli emissari dei gran sacerdoti giudei si aggirano nel campo dei galilei chiedendo se qualcuno lo avesse visto.
 
Alla Festa dei Tabernacoli o delle capanne, infatti, gli ebrei erano soliti venire da un po’ ovunque. Gerusalemme si riempiva fino all’inverosimile e molta gente – divisa soprattutto per gruppi di provenienza - si accampava all’aperto, in tende o capanne.
 
I Capi religiosi non volevano – per elementare calcolo di prudenza e timor di popolo – eliminare Gesù ‘pubblicamente’, cioè assassinarlo, ma cercavano nelle sue parole gli appigli di carattere religioso per accusarlo di fronte al popolo oppure gli appigli di carattere politico per denunciarlo a Roma, come poi sarebbe successo con Ponzio Pilato, detentore del 'jus sanguinis', cioè del potere di condannarlo a morte, al quale i Capi ebrei denunciarono Gesù quale sedizioso dicendo che Egli si era dichiarato Messia, Re dei Giudei, e quindi contro l'Imperatore di Roma.
 
Ma il popolo stava con Gesù. ‘È buono…!’ dicevano infatti in molti. ‘No, inganna il popolo!’, replicavano però i mestatori del potere costituito.
 
Elogiare pubblicamente Gesù era però pericoloso, perché significava porsi contro il Potere.
 
Gesù, che durante la festa non era nel campo dei Galilei ma doveva certamente essere ospite di qualche famiglia che gli dava accoglienza e protezione, verso la metà dei giorni di festa fa una sua comparsa al Tempio e, come gli altri Rabbi, si mette a ‘insegnare’.
 
In occasione delle feste la popolazione di Gerusalemme e i pellegrini che venivano da fuori convergevano al Tempio per le abituali preghiere.
 
Quello era dunque il posto migliore per predicare. I rabbi avevano le loro ‘scuole’ di studenti, e la folla si radunava intorno a loro per ascoltarli, perché molti erano oratori che parlavano veramente bene.
 
Di cosa parlavano? Parlavano del Vecchio Testamento e spiegavano le ‘leggi’.
 
Alcuni Rabbi, come Hillele e Gamaliele che abbiamo conosciuto quando abbiamo raccontato l'episodio di Gesù dodicenne trovato a parlare con i dottori del Tempio, erano poi anche molto sapienti.
 
Saulo stesso (poi divenuto Paolo) era stato allievo di Gamaliele.
 
Figuriamoci che ressa intorno a Gesù. Egli non solo era sapiente e famoso per i suoi miracoli ma le sue parole, proprio perché in lui parlava la Divinità, erano illuminate nella mente degli ascoltatori dallo Spirito Santo e toccavano quindi profondamente il cuore delle persone non prevenute che si rendevano perciò conto che le sue parole – per il sommovimento interiore che provocavano – provenivano proprio da Dio.
 
Gesù entra nel Tempio seguito dagli apostoli. Tutti lo conoscono e tutti lo osservano interrogandosi su quanto farà o dirà.
 
C’è anche Gamaliele che incrocia il suo sguardo e lo osserva in maniera pensosa.
 
Gesù – sul gradino più alto di una scalinata ed appoggiato ad una colonna, si mette per l’ennesima volta a predicare sulla venuta del Regno di Dio: i miracoli fatti sono la conferma che Dio è con il suo Cristo, cioè Gesù, l’Unto.
 
Parte da qualcuno della folla una provocazione:
 
«Lo sappiamo che ti vuoi fare re. Ma un re tuo pari sarebbe rovina di Israele. Dove sono le tue potenze di re?». Molti scuotono il capo e ridono.
 
‘Nulla è impossibile a Dio’, ribatte Gesù.
 
‘Ma dove è questo Regno visto che non se ne vedono i segni esteriori?!’, rincara un altro.[37]
 
E Gesù: «Il Regno di Dio non viene con apparato.  Solo l'occhio di Dio vede il suo formarsi, perché l'occhio di Dio legge nell'interno degli uomini. Perciò non andate cercando dove è questo Regno, dove si prepara.  E non credete a chi dice: "Si congiura in Batanea, si congiura nelle caverne del deserto d'Engaddi, si congiura sulle rive del mare".  Il Regno di Dio è in voi, dentro di voi, nel vostro spirito che accoglie la Legge venuta dai Cieli come legge della vera Patria, legge che praticandola fa cittadini del Regno. Per questo prima di Me è venuto Giovanni a preparare le vie dei cuori, per le quali doveva penetrare in essi la mia Dottrina.  Con la penitenza si sono preparate le vie, con l'amore il Regno sorgerà e cadrà la schiavitù del peccato che interdice agli uomini il Regno dei Cieli».
 
 
La prossima riflessione darà dedicata a:

 
 
4. DISCORSI DI GESÙ: LA VERA NATURA DEL CRISTO, L’ACQUA VIVA E LA LUCE DEL MONDO
 

 
4.1 La vera natura del Cristo. Gesù: 'Ecco l’uomo della cui origine siete incerti, negatori o pensosi…'.
 
 
Siamo nuovamente al Tempio, in uno dei giorni della festa dei Tabernacoli, anzi proprio il giorno successivo[38] al discorso di Gesù sulla natura del Regno di Dio.
 
Gesù parla, anzi sta per parlare, e la gente bisbiglia, si interroga. Vi è – come al solito quando parla Gesù – una gran folla: apostoli, discepoli, incerti, pagani, ma vi sono anche non pochi malevoli.
 
La gente – che sapeva quanto si stesse tramando alle spalle di Gesù, e Gesù stesso lo aveva del resto precedentemente affermato a chiare lettere quando aveva accusato i Capi ebraici di volerlo uccidere -  vede che Gesù accede ora al Tempio liberamente per pregare e predicare, e viene ad essa il dubbio che – magari dopo le sue affermazioni precedenti – i ‘Capi’ abbiano finito per riconoscerlo come il Cristo, l’Unto, il Messia.
 
E allora ritorna la domanda di sempre: può mai un uomo in carne ed ossa essere il famoso Cristo, il cosiddetto Figlio dell'Uomo, quello di cui hanno tanto parlato i Profeti, tanto agognato nei secoli dall’intero popolo di Israele?
 
Nell’immaginario collettivo – come si usa dire oggi con termine psicanalitico moderno – questa figura mitica del Cristo avrebbe dovuto rivelarsi con apparenze straordinarie, tali da imporsi con tutta evidenza, tali da abbagliare chiunque: il Re dei re avrebbe dovuto avere un’origine misteriosa. Ma 'quello'?
 
'Quello' lo sapevano tutti da dove veniva e di chi era figlio. Non ci si poteva capacitare di come Egli potesse affermare questa sua identità messianica.
 
Gesù deve aver sentito le loro parole, o le ha intuite o, più semplicemente - avendo il dono della introspezione perfetta, in quanto come Uomo era privo di Macchia d'Origine e quindi con la pienezza della Grazia divina - le deve aver lette nei loro cuori. Fatto sta che Egli ritiene giunto il momento di affermare ancor più chiaramente e perentoriamente non solo la sua messianicità ma addirittura la sua origine divina.
 
Stiamo attenti – e forse lo avrete già notato anche voi che leggete - perché vi è un graduale crescendo della ‘manifestazione’ di Gesù.
 
Egli – raggiunta l’età matura e, come uomo, preparatosi spiritualmente nel deserto all’inizio della sua missione – riceve una solenne investitura ufficiale, al guado del Giordano all’atto del battesimo da parte del Battista, con la ‘Voce’ di Dio che si sente tuonare nel cielo per affermare la sua divinità e figliolanza.
 
Poi, l’inizio della missione un po’ in sordina – si fa per dire – con il miracolo di Cana e tanti infermi guariti. Ma potere di miracolo non significa essere necessariamente ‘figlio di Dio’, vari profeti e anche i nostri ‘santi’ hanno fatto miracoli e non sono ‘figli’ di Dio.
 
Gesù all’inizio faceva capire e non capire. Ai suoi stessi apostoli aveva domandato cosa dicesse la gente di lui, chiedendolo poi anche a Pietro, il quale aveva affermato la sua fede nella sua natura di Figlio di Dio.
 
Ma Pietro era appunto un apostolo, per di più illuminato in quel momento da Dio Padre. E comunque, come racconta Matteo, Gesù pregava i suoi discepoli di non dire ancora ad alcuno che egli era il Cristo, cioè il Messia.
 
Poi – quando stanno per maturare i tempi secondo quanto previsto nel disegno divino – Gesù comincia ad affermare sempre più chiaramente la sua messianicità, prima, e la sua natura divina, poi.
 
È un crescendo, ed è quello che fornirà alla fine il pretesto per portarlo alla Croce.
 
Siamo dunque alla Festa dei Tabernacoli del terzo anno di vita pubblica – in autunno - e quindi ci troviamo a solo pochi mesi prima della successiva Pasqua di Passione che sarebbe stata celebrata nel plenilunio di nisam (marzo-aprile).
 
Gesù coglie l’occasione offerta dagli interrogativi che la gente si pone circa la sua identità e – nel Vangelo di Giovanni sopra citato in nota - afferma perentoriamente e soprattutto pubblicamente la sua natura divina: ‘Voi mi conoscete e sapete di dove sono: eppure non sono venuto da Me; ma c’è veramente Uno che mi ha mandato, che voi non conoscete. Io lo conosco, perché vengo da Lui, ed è lui che mi ha mandato’.
 
In queste parole c’è tutto il mistero della Incarnazione che – per noi uomini d’oggi – sembra tanto difficile da comprendere, ma non lo è. Ed è qui che il Gesù valtortiano – che ha letto nei cuori dei presenti – ha deciso, specie dopo l’esperienza del tentativo di incoronarlo re per una errata concezione della figura del Messia, di chiarire questa volta pubblicamente di fronte a tutto il popolo, ma anche ai suoi nemici, la vera natura del Cristo.[39]
 
I soliti scribi e farisei, lividi di odio e rabbia, vorrebbero impedirgli di parlare e malmenarlo ma l’influente, rispettato e temuto Gamaliele, presente anche in questa giornata, dardeggiandoli con il suo sguardo e la sua autorità impone loro di lasciarlo parlare.
 
Nell’Opera e nella visione della mistica questo discorso di Gesù è poderoso e ampio, di grande efficacia oratoria, sapienza e levatura spirituale, ma noi possiamo qui trascriverne solo una parte: [40]
 
 
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«…Gesù si fa avanti, verso il cortile.  Pacato, riprende a parlare. Gamaliele resta dove è, e i suoi discepoli si affannano a portargli tappeto e sgabello perché stia comodo.  Ma egli rimane in piedi, con le sue braccia conserte, il capo chino, gli occhi chiusi, concentrato ad ascoltare.
 
«Mi avete accusato senza ragione come se avessi bestemmiato in luogo di aver detto la verità. Io, non per difendermi, ma per darvi la luce acciò possiate conoscere la Verità, parlo. E non parlo per Me stesso. Ma parlo ricordando le parole nelle quali credete e sulle quali giurate.  
 
Esse testimoniano di Me. Voi, lo so, non vedete in Me che un uomo simile a voi, inferiore a voi.  E vi pare che sia impossibile che un uomo possa essere il Messia.  Almeno pensate che avesse ad essere un angelo, questo Messia, che deve essere di un'origine talmente misteriosa da poter essere re solo per l'autorità che il mistero della sua origine suscita.  
 
Ma quando mai nella storia del nostro popolo, nei libri che formano questa storia e che saranno libri eterni quanto il mondo, perché ad essi dottori di ogni paese e di ogni tempo attingeranno per corroborare la loro scienza e le loro ricerche sul passato con le luci della verità, quando mai in questi libri (Nda.: Salmo 2,7) è detto che Dio abbia parlato ad un suo angelo per dirgli: "Tu mi sarai d'ora in poi Figlio perché Io ti ho generato"?».
 
Vedo Gamaliele che si fa dare una tavoletta e delle pergamene e si siede scrivendo...
 
«Gli angeli, creature spirituali, serve dell'Altissimo e sue messaggere, sono state create da Lui come l'uomo, come gli animali, come tutto ciò che fu creato.  Ma non sono state generate da Lui.  Perché Dio genera unicamente un altro Se stesso, non potendo il Perfetto generare altro che un Perfetto, un altro Essere pari a Se stesso, per non avvilire la sua perfezione col generare una creatura di Sé inferiore.  
 
Or dunque, se Dio non può generare gli angeli e neppure elevarli alla dignità di suoi figli, quale sarà il Figlio al quale Egli dice: "Tu sei mio Figlio.  Oggi ti ho generato"?  E di che natura sarà se, generandolo, Egli dice indicandolo ai suoi angeli: "E Lui adorino tutti gli angeli di Dio"?  
 
E come sarà questo Figlio, per meritare (Nda.: Salmo 110) di sentirsi dire dal Padre, da Colui che è per sua grazia se gli uomini lo possono nominare col cuore che si annichila adorando: "Siedi alla mia destra finché Io faccia dei tuoi nemici sgabello ai tuoi piedi"?
 
Quel Figlio non potrà essere che Dio come il Padre, del quale divide gli attributi e le potenze, e col quale gode della Carità che li letifica negli ineffabili e inconoscibili amori della Perfezione per Se stessa.
 
Ma, se Dio non ha giudicato conveniente elevare al grado di Figlio un angelo, avrebbe mai potuto dire di un uomo ciò che disse di Colui che qui vi parla - e molti fra voi che mi combattete eravate presenti quando lo disse - là al guado di Betabara, al finire di tre anni da questo?  Voi lo udiste e tremaste.  Perché la voce di Dio è inconfondibile, e senza una sua speciale grazia atterra chi la ode e ne scrolla il cuore.
 
Cosa è dunque l'Uomo che vi parla? È forse uno nato da seme e da volere d'uomo come tutti voi?  
 
E potrebbe l'altissimo aver posto lo Spirito suo ad abitare una carne priva di grazia, quale è quella degli uomini nati da voler carnale?  
 
E potrebbe l'altissimo, a soddisfare la gran Colpa, essere pago del sacrificio di un uomo?
 
Pensate.  Egli non elegge un angelo ad esser Messia e Redentore, può mai allora eleggere un uomo ad esserlo?
 
E poteva il Redentore essere soltanto Figlio del Padre senza assumere natura umana, ma con mezzi e poteri che superano le umane deduzioni?  
 
E il Primogenito di Dio poteva mai aver dei genitori, se Egli è il Primogenito eterno?
 
Non vi si sconvolge il superbo pensiero davanti a questi interrogativi, che salgono verso i regni della Verità, sempre più vicini ad essa, e che trovano risposta solo in un cuore umile e pieno di fede?
 
Chi deve essere il Cristo?  Un angelo?  Più che un angelo.  Un uomo?  Più che un uomo.  Un Dio?  
 
Sì, un Dio.  Ma con unita una carne, perché essa possa compiere l'espiazione della carne colpevole.  Ogni cosa va redenta attraverso la materia con cui peccò.  
 
Dio avrebbe perciò dovuto mandare un angelo per espiare le colpe degli angeli decaduti, e che espiasse per Lucifero e i suoi seguaci angelici.  Perché, lo sapete, anche Lucifero peccò. Ma Dio non manda uno spirito angelico a redimere gli angeli tenebrosi. Essi non hanno adorato il Figlio di Dio, e Dio non perdona il peccato contro il suo Verbo generato dal suo Amore.  Però Dio ama l'uomo e manda l'Uomo, l'Unico perfetto, a redimere l'uomo e a ottenere pace con Dio. E giusto è che solo un Uomo-Dio possa compiere la redenzione dell'uomo e placare Dio.
 
Il Padre e il Figlio si sono amati e compresi. E il Padre ha detto: "Voglio".  E il Figlio ha detto: "Voglio". E poi il Figlio ha detto: "Dammi".  E il Padre ha detto: "Prendi", e il Verbo ebbe una carne la cui formazione è misteriosa, e questa carne si chiamò Gesù Cristo, Messia, Colui che deve redimere gli uomini, portarli al Regno, vincere il demonio, infrangere le schiavitù.
 
Vincere il demonio! Non poteva un angelo, non può compiere ciò che il Figlio dell'uomo può. E per questo, alla grande opera ecco che Dio non chiama gli angeli ma l'Uomo.
 
Ecco l'Uomo della cui origine voi siete incerti, negatori o pensosi.  
 
Ecco l'Uomo. L'Uomo accettevole a Dio. L'Uomo rappresentante di tutti i suoi fratelli.  
 
L'Uomo come voi nella somiglianza, l'Uomo superiore e diverso a voi per la provenienza, il quale, non da uomo ma da Dio generato e consacrato al suo ministero, sta davanti all'eccelso altare per essere Sacerdote e Vittima per i peccati del mondo, eterno e supremo Pontefice, Sommo Sacerdote secondo l'ordine di Melchisedecco.
 
Non tremate!  Io non tendo le mani alla tiara pontificale.  
 
Un altro serto mi aspetta. Non tremate! Io non vi toglierò il razionale.  
 
Un altro è già pronto per Me. Ma tremate soltanto che per voi non serva il sacrificio dell'Uomo e la misericordia del Cristo. Vi ho tanto amati, vi amo tanto che ho ottenuto dal Padre di annichilire Me stesso. Vi ho tanto amati e vi amo tanto che ho chiesto di consumare tutto il dolore del mondo per darvi la salute eterna.
 
Perché non mi volete credere? Non potete credere ancora?  
 
Non è detto del Cristo: "Tu sei Sacerdote in eterno secondo l'ordine di Melchisedecco"? Ma quando si è iniziato il sacerdozio?  Forse ai tempi di Abramo? No. E voi lo sapete.  
 
Il re di giustizia e di pace (Nda.: Genesi 14,18-20) che appare ad annunciarmi, con figura profetica, all'aurora del nostro popolo, non vi ammonisce che c'è un sacerdozio più perfetto, che viene direttamente da Dio, così come Melchisedec di cui nessuno poté mai dare le origini e che viene chiamato "il sacerdote" e sacerdote rimarrà in eterno? Non credete più alle parole ispirate? E, se ci credete, come mai, o dottori, non sapete dare una spiegazione accettabile alle parole che dicono, e di Me parlano: "Tu sei Sacerdote in eterno secondo l'ordine di Melchisedecco”?
 
Vi è dunque un altro sacerdozio, oltre, prima di quello di Aronne.  
 
E di questo è detto "sei ". Non "fosti". Non "sarai". Sei sacerdote in eterno. Ecco allora che questa frase preannuncia che l'eterno Sacerdote non sarà della nota stirpe di Aronne, non sarà di nessuna stirpe sacerdotale. Ma sarà di provenienza nuova, misteriosa come Melchisedec. È di questa provenienza. E se la potenza di Dio lo manda, segno è che vuole rinnovare il Sacerdozio e il rito perché divenga giovevole all'Umanità.
 
Conoscete voi la mia origine? No. Sapete voi le mie opere? No. Intuite voi i frutti di esse?  No. Nulla conoscete di Me.  
 
Vedete dunque che anche in questo sono il "Cristo", la cui origine e natura e missione devono essere sconosciute fin quando a Dio non piaccia svelarle agli uomini. Beati quelli che sapranno, che sanno credere prima che la rivelazione tremenda di Dio non li schiacci col suo peso al suolo e ve li inchiodi e stritoli sotto la folgorante, potente verità tuonata dai Cieli, urlata dalla terra: "Costui era il Cristo di Dio".
 
Voi dite: "Egli è di Nazaret. Suo padre era Giuseppe. Sua madre è Maria".  
 
No. Io non ho padre che mi abbia generato uomo. Io non ho madre che mi abbia generato Dio. Eppure ho una carne e l'ho assunta per misteriosa opera dello Spirito, e sono venuto fra voi passando per un tabernacolo santo. E vi salverò, dopo avere formato Me stesso per volere di Dio, vi salverò facendo uscire il vero Me stesso dal tabernacolo del mio Corpo per consumare il grande Sacrificio di un Dio che si immola per la salvezza dell'uomo.
 
Padre, Padre mio! Io te l'ho detto all'inizio dei giorni: "Eccomi a fare la tua volontà".  Io te l'ho detto all’ora di grazia prima di lasciarti per rivestirmi di carne onde patire: "Eccomi a fare la tua volontà".  Io te lo dico ancora una volta per santificare coloro per i quali sono venuto: "Eccomi a fare la tua volontà". E te lo dirò ancora, sempre, sinché la tua volontà sia compiuta ... ».
 
Gesù, che ha alzato le braccia verso il cielo, pregando, ora le abbassa e le raccoglie sul petto e china la testa, chiude gli occhi e si sprofonda in una orazione segreta.
 
La gente bisbiglia.  
 
Non tutti hanno capito, anzi i più (e io con loro) non hanno capito.  Siamo troppo ignoranti. Ma intuiamo che Egli ha enunciato delle grandi cose. E tacciamo ammirati.
 
I malevoli, che non hanno capito o non hanno voluto capire, ghignano: «È un delirante!».  Ma non osano dire di più e si scostano o si avviano alle porte scuotendo il capo. Tanta prudenza io credo sia il frutto delle lance e daghe romane che brillano al sole contro la muraglia estrema…».
 
 
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Gamaliele - il rabbi famoso di cui parlano anche gli Atti degli apostoli e che era stato Maestro di Paolo - lo ha ascoltato pensoso
 
Lui era uno di quei dottori del Tempio che – nel racconto di Luca e con maggior precisione nell’Opera della mistica Valtorta – stavano ascoltando il Gesù dodicenne, meravigliandosi della sapienza ispirata con cui quel giovinetto parlava, quando Maria e Giuseppe lo avevano ritrovato dopo tre giorni di ricerche.
 
Ho scritto a lungo nei miei libri di questo prestigioso personaggio
 
A lui, che era ‘dottore della Legge’ ma anche spirito incorrotto e profondamente giusto, quel Gesù giovinetto – fra le mura del Tempio, volto ardente rivolto al cielo con le braccia spiegate - aveva predetto la propria futura Passione dicendo agli astanti di attenderlo nella sua ora e che quelle pietre avrebbero riudito la sua voce e avrebbero fremuto alla sua ultima parola.
 
Gamaliele aveva intuito che quel fanciullo parlava per spirito profetico ed aveva pure intuito si trattasse dello spirito del futuro Messia.
 
Pur avendo perso poi di vista Gesù, andatosene dal Tempio con i suoi genitori, Gamaliele non aveva mai più dimenticato per vent’anni quelle profetiche parole.
 
Ora egli si chiedeva se quell’uomo che si diceva Messia potesse essere lo stesso giovinetto, ormai cresciuto, che aveva conosciuto tanti anni prima.
 
Gli anni corrispondevano, il linguaggio profetico – ora più virile – anche.
 
Ma non ne era sicuro…
 
Egli non sapeva che quel giovinetto stesse allora profetizzando il proprio sacrificio in croce e quanto alle ‘pietre’ che avrebbero fremuto alla sua ultima parola egli aveva pensato che si riferisse ai loro cuori induriti.
 
Solo al momento della morte di Gesù sul Golgota - nel sentire il terremoto di Gerusalemme scuotere le mura del Tempio, come raccontato dai tre evangelisti sinottici – Gamaliele comprenderà in un lampo che era quello il ‘fremito’ di pietre a cui il Gesù dodicenne aveva alluso.
 
Lui, anziano, sarebbe corso su per il Gòlgota e giunto ai piedi della croce, davanti a quel Messia che tanto aveva atteso ma che era ormai morto e non gli poteva più rispondere, si sarebbe prostrato piangendo disperatamente la colpa di non aver saputo credere quello che avevano capito i più ‘semplici’, e cioè che Gesù era Figlio di Dio.
 
Se volete sapere come finisce la sua storia senza leggere l’Opera, sappiate che Gamaliele finirà per diventare cristiano, esempio – insieme a Saulo che diventerà San Paolo – di quanto possano essere diverse le vie che portano alla santità.

 
 
4.2 Gesù: ‘Chi ha sete, venga a me e beva. Dall’intimo di chi crede in me, come dice la Scrittura, scaturiranno fiumi d’Acqua viva!’.

 
 
Non mi ricordo quanto durasse la Festa dei Tabernacoli, ma il periodo di durata complessivo della festività era certo di parecchi giorni.
 
In ognuno di questi Gesù aveva tenuto specifici importanti discorsi, di cui abbiamo potuto apprezzare - sia pur nelle brevi trascrizioni che abbiamo fatto di taluni brani delle visioni valtortiane - l'elevatezza intellettuale e Sapienza spirituale.
 
Discorsi sulla natura del Regno di Dio, sulla natura del Cristo e infine, nell’ultimo giorno della Festa, quello sull’Acqua viva, di cui parliamo adesso. [41]
 
L’ultimo giorno della Festa era quello conclusivo e dunque il più importante. Vi doveva anche essere il massimo afflusso di pellegrini, prima del loro definitivo rientro ai luoghi di provenienza.
 
Il Tempio, con i suoi magnifici atrii, cortili e porticati, deve essere tutto un brulichìo di gente, con gruppi più o meno folti che, qui e là, conversano fra loro o, meglio, ascoltano i vari rabbi che tengono le ultime ‘lezioni’, spiegando le Scritture.
 
L’arrivo di Gesù, nel cortile del Tempio, non può sfuggire, perché lo segue una folla di discepoli, ammiratori, curiosi e anche malati che sperano in una loro guarigione.
 
Era infatti abituale per Gesù, finito un discorso, ascoltare quelli che gli si accalcavano intorno ed esaudire quelli che – con fede – gli chiedevano consigli o grazia.
 
Giovanni narra che ad un certo punto Gesù si accinge a parlare, in piedi. Doveva quindi aver scelto una posizione sopraelevata, magari su dei gradini, mentre – tonante – proclama: ‘Chi ha sete, venga a me e beva. Dall’intimo di chi crede in me, come dice la Scrittura, scaturiranno fiumi d’Acqua viva!’.
 
Questo dell'Acqua Viva era il ‘tema’ enunciato da Gesù, cioè la sostanza del suo ‘messaggio’, messaggio già anticipato in forma velata alla samaritana di quel pozzo a Sichar e che ora Gesù intende approfondire.
 
Infatti l’Evangelista Giovanni spiega il significato delle parole di Gesù: ‘Diceva questo dello Spirito che dovevano ricevere coloro che avevano creduto in lui, perché non era ancora stato dato lo Spirito, non essendo ancora glorificato Gesù’.
 
Dobbiamo ammettere che, come spiegazione, è ancora poco, ma questa sembra quasi una costante del Cristianesimo sempre costretto ad attendere nel tempo le successive spiegazioni dello Spirito Santo, il Consolatore che Gesù aveva detto che Egli avrebbe lasciato dopo la sua ‘dipartita’ per illuminare le menti.
 
Gesù spiegando infatti la sua Dottrina agli apostoli, quando questi non riuscivano a capirla bene aveva infatti loro detto una volta, più o meno: ‘Non vi preoccupate, dopo di Me verrà il Consolatore, che vi illuminerà e vi farà comprendere tutto’.
 
In verità tutto il Progetto di Dio sembra nascere e svilupparsi all’insegna di una misteriosa ‘collaborazione’ reciproca all’interno della Trinità: il Padre pensa e ’vuole’, il Figlio ‘accetta’ e si incarna, mentre lo Spirito Santo -  che parla poco, a parte quando si serve dei ‘profeti’ - è poi quello che fa tutto
 
Allora, fatta la volontà del Padre, realizzata attraverso il Figlio e finita la missione terrena di Gesù, subentra nella storia della ‘Chiesa’ l’opera dello Spirito Santo che la guiderà incessantemente fino alla conclusione finale, alla fine della Storia.
 
Lo Spirito Santo – così come Gesù ci ha chiamato ad un’opera di corredenzione per aiutare i ‘fratelli’, corredenzione che si realizza nella preghiera e anche nella ‘espiazione’ in terra delle nostre colpe – ci vuole anch’Egli come ‘collaboratori’, e ci ‘illumina’, anzi illumina gli esegeti affinché essi sappiano interpretare le parole di Giovanni perché diventino un pochino più comprensibili per noi tutti.
 
L’Acqua Viva…, dunque.
 
Era l’acqua ‘famosa’ di cui aveva parlato il Profeta Ezechiele.
 
Scribi e farisei, e anche il ‘popolo’ in genere, erano ben documentati sulle Scritture che a quei tempi costituivano per tutti materia di insegnamento scolastico - come per noi la matematica, la letteratura, il latino o il greco - fin dalle scuole che noi diremmo ‘elementari’.
 
Farisei e folla, non parliamo dei sacerdoti, non hanno avuto bisogno di consultare la Bibbia, ed hanno certo capito al volo il riferimento fatto da Gesù: Ezechiele!
 
Se gli ebrei conoscevano bene le Scritture, il problema era semmai quello di interpretarne i simboli e le allegorie in maniera corretta, senza scambiare inoltre la realtà per allegoria, o viceversa.
 
Ma è un problema che abbiamo anche noi oggi.
 
Cosa aveva dunque detto Ezechiele, sei secoli prima?
 
Ezechiele (Ez 47,1-12) aveva raccontato una visione nella quale aveva visto sgorgare, da sotto l’altare di un tempio, dalla destra, un rivolo d’acqua che scendeva verso la bassa valle del Giordano, ingrossandosi sempre più fino a divenire prima ruscello e poi fiume.
 
Ogni essere vivente che vi avesse brulicato dentro sarebbe vissuto.
 
L’acqua del fiume – sboccando nel Mare (io intendo si riferisca fisicamente non tanto al ‘mare’ quanto al ‘lago salato’ del ‘Mar’ Morto) - avrebbe ‘addolcito’, risanandole, le acque salate di quest’ultimo, e dove le acque del fiume non fossero giunte, là sarebbero rimaste ‘saline inospitali’ dove non vi sarebbe stata ‘vita’.
 
Lungo le rive del fiume sarebbero cresciuti tanti ‘alberi’ che avrebbero prodotto ‘frutti’ che avrebbero dato ‘vita’, e anche ‘foglie’ che avrebbero potuto essere utilizzate come ‘medicina’ per curare i ‘malati’.
 
Questa famosa visione di Ezechiele doveva essersi certo prestata, anche a quei tempi, a chissà quante interpretazioni, forse una meno convincente dell’altra.
 
Io non ci provo neanche ma (anche se Giovanni – più sintetico del solito - si è qui limitato alla sola ‘enunciazione’ dell’argomento senza raccontarci il discorso che dovette tenere Gesù, dando forse per scontato che lo Spirito Santo prima o poi ci avrebbe ‘illuminato’) Gesù doveva invece aver spiegato tutto per bene.
 
Dovette trattarsi di un bel discorso estremamente ‘convincente’ se alla fine rimangono tutti a bocca aperta e le stesse guardie mandate ad arrestarlo – cioè a ‘mettergli le ‘mani addosso’, come annota Giovanni – non hanno più il coraggio di farlo.
 
Commenti: ‘Egli è davvero il Profeta…’, ‘Egli è il Cristo…’, ‘No, non lo è, non viene mica da Betlemme, quello è un galileo, di Nazareth…’.
 
Quando le guardie se ne tornano dai sacerdoti a mani…vuote, Giovanni – con un certo senso dell’umorismo – descrive una scenetta gustosa.
 
Da un lato le guardie che si giustificano dicendo che ‘nessun uomo’ (sott’intendendo con ciò che Gesù doveva essere veramente Figlio di Dio: vera bestemmia per i sacerdoti) aveva mai parlato in quella maniera, dall’altro lato i Capi che - al sentir queste ‘ragioni’ - si imbestialiscono e insultano le guardie accusandole di essersi fatte plagiare, visto che nessuno dei capi dei sacerdoti e dei farisei, che in fatto di Legge e di Scritture loro sì che son sapienti, se la sarebbe fatta ‘raccontare’ da lui.
 
"Ma – commentano inviperiti - si sa che quegli imbecilli ignoranti del popolo, oltre a non conoscer la legge, sono dei ‘maledetti’ "…
 
I Capi stanno per esplodere dalla rabbia, pronti magari ad andare ad arrestarlo di persona, quando Nicodemo (quello che per paura era andato di nascosto nottetempo da Gesù chiedendo come ci si potesse guadagnare il Regno dei Cieli) li blocca, questa volta con molto coraggio, affermando che essi – che avrebbero dovuto essere i garanti della legalità –  avrebbero commesso un atto altamente illegale se avessero arrestato e condannato a morte un uomo senza che questi fosse stato prima ascoltato e senza che le accuse fossero state provate.
 
Quelli, presi in contropiede e rabbiosi perché l’obbiezione di Nicodemo - che era un ‘Capo’ - era ‘forte’ e sacrosanta, non possono far altro che irriderlo con astio: ‘Cos’è? Ti senti galileo anche tu, ora? Vatti un po’ a studiare le Scritture, visto che non le sai abbastanza, e dicci se c’è mai un ‘profeta’ che può venire dalla Galilea…!’.
 
 
Non è la prima volta che saltano fuori queste battute sui galilei che evidentemente non godevano davvero di buona fama presso i giudei, come a loro volta non godevano di buona fama i nazareni presso gli stessi galilei, come si evince nel Vangelo di Giovanni quando si parla del primo incontro di Gesù con Natanaele (cioè Bartolomeo) all’inizio dell’apostolato.[42]
 
Se Giovanni accenna al tema dell'Acqua Viva, ma non lo sviluppa, cosa avrà mai detto il Gesù dell’Opera valtortiana che parla invece in maniera così esauriente e sapiente?
 
Lo potrete leggere direttamente nell’Opera[43], ma un concetto mi ha colpito.
 
«Un giorno – dice più o meno il Gesù dell’Opera – allo squillo delle trombe del Giudizio, il mondo perirà e gli uomini morti resusciteranno dal primo all’ultimo per essere avviati – con i loro corpi – alla destinazione finale: Paradiso o Inferno.
 
Ma già ora il mondo è popolato di morti che respirano ancora, quelli che – vivi come animali – sono morti nello spirito.
 
Il Padre ne soffre ma Egli ha già pronto il miracolo che li farà tornare vivi, e molti di essi risorgeranno perché Egli ha preso il suo Spirito, Se stesso, e ha formato una Carne a rivestire la sua Parola, e l’ha mandata a questi morti perché, parlando ad essi, si infondesse di nuovo ad essi la Vita…
 
Io sono la Risurrezione e la Vita…
 
Io sono la Fonte che zampilla vita eterna…
 
Chi ha sete di vita venga e beva. Chi vuole possedere la Vita, ossia Dio, creda in Me, e dal suo seno sgorgheranno non stille, ma fiumi d’Acqua viva. Perché chi crede in Me formerà con Me il nuovo Tempio dal quale scaturiscono le acque salutari delle quali parla Ezechiele…’».
 
 
Ecco dunque cosa é l'Acqua Viva...
 
Questo è un discorso fondamentale per tutti noi, non solo perché mette a fuoco il ruolo del Verbo che si incarna nell'Uomo-Gesù, ma anche perché - nella spiegazione del Gesù valtortiano - riguarda quello che nella Dottrina Cristiana sarebbe diventato il ‘dogma’ della Resurrezione finale dei corpi delle anime dei riviventi nel momento della fine della Storia e del Giudizio Universale.
 
Quella della Resurrezione dei corpi era una credenza diffusa in Israele se già i sette fratelli Maccabei[44], imprigionati insieme alla loro madre, avevano preferito morire piuttosto che rinnegare la propria fede e avevano affermato che, pur privati della loro vita fisica, un giorno essi grazie a Dio sarebbero tornati a rivivere con un corpo nuovo.
 
Quale corpo? Un corpo ‘glorificato’, non più soggetto alle leggi della nostra fisica ed alle necessità dei corpi attuali, un corpo cioè come quello del Gesù risorto il quale entra a porte chiuse nel Cenacolo e che con la sua Resurrezione ci ha voluto dimostrare come per Dio sia possibile tutto: non solo il ridare la vita ad un cadavere ma farlo rivivere in una sua nuova natura, identica nella forma a quella originaria ma sublimata nella sostanza al massimo grado.
 
Sarà questo – quello cioè di un corpo che nell'Aldilà non obbedisce più alle leggi e bisogni carnali dell’uomo attuale – il concetto che Gesù pochi giorni prima della sua Passione spiegherà ai sadducei che, non credendo nella resurrezione dei corpi, gli avevano posto maliziosamente un quesito ‘limite’.
 
Di chi sarebbe stata sposa – nell’Aldilà - quella donna che, morto il primo marito senza darle figli, sarebbe stata (secondo l’uso ebraico di dare una discendenza al fratello morto anzitempo senza aver avuto figli) sposata a turno a ciascuno degli altri sei fratelli, tutti però morti successivamente anch’essi senza averle potuto dare figli? A chi ‘carnalmente’ sarebbe spettata - quella moglie - nell’aldilà, visto che essa era stata ‘sposa’ di tutti e sette i fratelli?[45]
 
Nell’Aldilà – risponderà e farà intendere il Gesù del Vangelo – i corpi non risponderanno più alle esigenze dell’Aldiquà, non si prenderà più né moglie né marito, perché non ci sarà più bisogno di generare carnalmente figli sulla terra per farli poi divenire ‘figli di Dio’ in Cielo.
 
Finita con il Giudizio universale la Storia dell’Umanità, i corpi dei risorti non avranno più lo stimolo della sessualità perché in un mondo che scompare non ci sarà più l'esigenza della riproduzione della specie.
 
Gli uomini che risorgeranno con il loro corpo glorificato, in quanto privi di fomiti o impulsi sessuali, a quel momento saranno in certo qual modo né 'maschi' né 'femmine', saranno cioè simili agli Angeli, anche se questi ultimi sono spiriti senza corpo.

 
 
4.3 Gesù: ‘Io sono la Luce del mondo: chi segue Me non camminerà nelle Tenebre, ma avrà parole di Vita…’.

 
 
Dopo questo discorso, Gesù lascerà Gerusalemme per ulteriori evangelizzazioni ma vi ritornerà qualche tempo dopo.
 
Al Tempio – secondo l’ordine cronologico dell’Opera valtortiana - spiegherà l’importanza della preghiera incessante ed al riguardo racconterà la parabola di quel Giudice disonesto che non voleva rendere giustizia ad una vedova ma che poi finisce per accontentarla non resistendo più alle sue insistenze.
 
Così a maggior ragione Dio - che non è ingiusto come quel giudice ma è buono - esaudirà le preghiere di chi insiste.
 
Sarà in occasione di questa ulteriore frequentazione al tempio che Gesù terrà un altro discorso fondamentale riportato dai Vangeli sul suo essere ‘Luce del mondo’.[46]
 
La prosa degli evangelisti è scarna, è uno 'scheletro' di discorso, si limita al concetto sintetico di fondo, ma neanche un principe del foro, neanche il più famoso degli antichi retori, saprebbe parlare ed argomentare come il Gesù delle visioni di Maria Valtorta[47], senza contare la Sapienza che ne traspare.
 
Giovanni – più di quanto non facciano gli altri evangelisti – insiste molto sulla predicazione di questi ultimi mesi di Gesù a Gerusalemme.
 
L'evangelista continua a ripetere come un ritornello che i suoi nemici non riescono a trovare l’occasione buona per catturarlo perché non era ancora la sua ora.
 
Ma è un’ora che si avvicina a grandi passi.
 
Bisognava sfruttare ora il poco tempo disponibile per dire il massimo possibile, non solo e non tanto per gli ebrei – che Dio sapeva che, per la maggior parte, avrebbero rifiutato il messaggio di Cristo – quanto per tutto il resto dell’Umanità che avrebbe dovuto essere poi convertita, analizzando la Parola di Dio trasmessa attraverso i Vangeli.
 
Per la credibilità stessa di quel che insegnava, e dunque anche per le generazioni future, era fondamentale far capire anche il senso di quello che sarebbe stato il suo Sacrificio: non un sacrificio d’uomo crocifisso, ma di Dio, di un Dio incarnatosi in un uomo per insegnargli quanto necessario alla sua salvezza e che – sia come Uomo che come Dio –  avrebbe offerto volontariamente la sua vita al Padre per il riscatto dell’Umanità la quale avrebbe così potuto – grazie al perdono – essere ammessa nel Cielo.
 
Così al Tempio, punto di incrocio degli israeliti che venivano un po’ da tutte le regioni del mondo allora conosciuto e che poi sarebbero tornati nei loro paesi d’origine raccontando ai loro correligionari quanto avevano visto e sentito in Gerusalemme, Gesù continua la sua predicazione dando autorità alla sua Dottrina riaffermando la sua origine divina: ‘Io sono la Luce del mondo, chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la Luce della Vita’.
 
Ecco, in poche parole, tutta la sostanza della natura di Gesù e della sua missione sulla Terra.
 
Il mondo – dopo il Peccato originale – era rapidamente precipitato nella corruzione spirituale ed intellettuale.
 
L’uomo era diventato sempre più peccatore e Satana aveva esteso ancora di più il suo dominio sopra di lui.
 
Ad un certo punto era stato necessario persino un Diluvio universale – come abbiamo già avuto occasione di accennare – per eliminare una Umanità ‘animalizzata’ che di umano non aveva più niente.
 
Solo un ‘giusto’ – Noè e con lui sua moglie, i suoi tre figli e nuore – viveva nello spirito del Signore, mentre gli altri uomini non ancora del tutto animalizzati si sarebbero pervertiti ben presto a causa del ‘contagio’ morale e spirituale a contatto con i peggiori.
 
I non del tutto ancora pervertiti sarebbero umanamente morti nel Diluvio ma, spiritualmente, si sarebbero salvati nel Limbo in attesa della Redenzione e nell’aspettativa felice di una vita eterna.
 
La razza andava però rinnovata completamente e, come fa il Potatore quando i rami di un albero vanno in cancrena e non danno più frutto, essa doveva essere recisa fino al ceppo perché dalla nuova base potessero spuntare getti sani e vitali.
 
La razza rinnovata aveva cominciato a riprodursi ma, come succede agli alberi che hanno ormai contratto delle gravi malattie crittogamiche o parassitarie presenti nelle stesse radici, anche nei discendenti di Noè avevano iniziato a riprodursi gli effetti patologici conseguenti al Peccato originale.
 
Tali effetti si trasmettevano ai discendenti per via naturale con la riproduzione fisica, ed erano assimilabile ad una sorta di virus che marchiava ormai indelebilmente il complesso 'psichico' dell’uomo con effetti anche somatici.
 
La nuova Umanità – tranne pochi ‘figli’ migliori, i Patriarchi, i grandi Profeti – era tornata nuovamente a dimenticare la propria origine ‘divina’, aveva dimenticato di essere stata creata ‘spirito’ prima ancora che carne, aveva dimenticato di essere stata creata da Dio.
 
Essa si era con il tempo nuovamente imbarbarita e impegolata in una vita di peccato, era di nuovo precipitata nelle tenebre.
 
Ecco dunque il proclama di Gesù al Tempio: l'Umanità è precipitata nelle Tenebre del Peccato, ma sono venuto io che sono la 'Luce del mondo'.
 
Abbiamo detto che i Vangeli furono scritti nei termini sintetici che conosciamo come 'promemoria' di catechesi ed evangelizzazione.
 
Certamente però gli apostoli avevano tutti gli elementi - appresi nei tre anni di vita con Gesù - che consentivano loro di sviluppare quelle tematiche con ampiezza di argomentazioni.
 
I Farisei presenti – cercate di immaginarvi la scena... – ascoltano Gesù che si proclama 'Luce del mondo', lo guardano scettici, e lo contestano ironicamente e acidamente.
 
Mettiamoci nei loro panni: 'Quello che si proclama ‘Luce del mondo’ è un folle, e la sua – per di più – è una testimonianza fasulla perché, come gli fan rilevare, per la legge mosaica servono due testimoni perché una testimonianza sia valida, e uno non può da solo testimoniare validamente a proprio favore'.
 
Gesù sta al gioco e – con un ragionamento per passi successivi – li prende dialetticamente in contropiede, ritorcendogli contro l’argomento.
 
Sapeva il fatto suo Gesù, in fatto di dialettica e retorica, e la Valtorta nella trascrizione delle sue visioni ce ne ha dato un’idea.
 
Gesù risponde – lo si capisce bene da quel che dice Giovanni – che, se anche egli testimonia per sé, la sua è comunque una testimonianza valida, perché egli – Figlio di Dio e Egli stesso Sapienza – sa da dove è venuto e dove andrà mentre l’uomo, l’Umanità, ha perso la memoria delle proprie origini e nelle tenebre di uno spirito dalla vista atrofizzata dal Peccato originale e dagli altri peccati individuali – obbedisce ormai alle leggi dettate da Satana come uno schiavo nato in cattività che con conosce più neanche il sapore della libertà e non sa quindi come condursi e a cosa mirare.
 
Gesù rimprovera ai Farisei di emettere su di lui giudizi ‘secondo la carne’, dove ‘carne’ non significa ‘carne materiale’ ma ‘intelletto materializzato’: cioè spirito ‘morto’ che giudica con i poveri mezzi che gli sono rimasti e quindi con estrema limitatezza, fermandosi alla superficie delle cose, incapace di leggere spiritualmente in profondità, come un miope.
 
Gesù dice anche che egli – per parte sua – non vuole ‘giudicare’ nessuno, perché egli – per ora - è venuto per salvare e non per giudicare (cosa che invece farà alla fine della nostra vita terrena con il Giudizio particolare ed alla fine del mondo con quello universale) ma se proprio dovesse essere costretto a giudicare, ebbene il suo giudizio varrebbe, e come!, perché Egli – uomo, ma Uomo-Dio – ha dentro di sé il Padre che ha inviato Lui, Spirito purissimo, anzi Verbo, sulla Terra.
 
La sua testimonianza - e questo è un ‘affondo’ di Gesù contro il ragionamento iniziale dei Farisei – è invece ben valida perché il Gesù-Uomo, al battesimo del guado del Giordano, ebbe anche dal Cielo la testimonianza del Padre per cui essi – come appunto prescrive il Deuteronomio – sono in realtà in due ad addurre una testimonianza concorde e valida.
 
I Farisei devono essere rimasti interdetti e non può – a loro che erano così attenti in queste cose anche se poi non ne coglievano il significato profondo – non esser venuto in mente quella famosa testimonianza di quella Voce al Giordano che tuonando dall’alto rimbombava un ‘Tu sei il Figlio mio diletto, in te mi sono compiaciuto...’.
 
Non era forse Giovanni Battista un grande profeta? Non l’avevano forse sempre detto essi stessi tanto che avevano pensato che il Messia potesse esser lui, Giovanni?
 
Ma Giovanni aveva invece precisato: ‘Gesù era quello che veniva dopo di lui ma era prima di lui’, e ciò perché Egli era Dio, esistente ab-eterno.
 
Questo era l’episodio che Gesù ricordava ora ai Farisei.
 
Ma loro, sempre sarcastici e di rimbalzo: ‘Dov’è allora tuo padre?’.
 
Essi sapevano bene che Gesù era figlio di un falegname, anzi di un povero falegname.
 
Ma Gesù, compatendoli per la loro cecità spirituale che non gli permetteva di avvertire con l’anima la sua divinità: ‘Non potete riconoscere né Me né mio Padre, se conosceste Me conoscereste anche il Padre mio...’.
 
Ecco, a futura memoria, cioè a memoria dei ‘futuri’, un altro messaggio lasciato nel ‘Testamento’ di Gesù: Egli e il Padre erano una cosa sola.
 
Questo è il grande mistero della Trinità, di Dio Uno e Trino, di Tre Persone distinte che formano una Unità: Padre, Figlio e Spirito Santo.
 
Il Figlio sta al Padre come la Parola sta al Pensiero che la esprime. Parola e pensiero sono – anche per noi uomini – una cosa sola anche se caratterizzate in maniera diversa.
 
Dio Padre è Pensiero volitivo, Dio Figlio è Parola che si realizza, che rende cioè manifesto il Pensiero e lo traduce in atto esteriore, operativo.
 
Come? Grazie allo Spirito Santo che tutto crea e tutto illumina.
 
A ben meditare, Gesù aveva fatto una affermazione molto grave dal punto di vista religioso giudaico. Non solo egli, Uomo in carne ed ossa, aveva affermato di essere Dio ma anche di essere un Dio Figlio del Padre.
 
Gli ebrei erano rigidamente monoteisti, e per di più credevano in un unico Dio del tutto spirituale.
 
La 'carnalità' di Gesù contrastava con la spiritualità del 'loro' Dio, e così pure il concetto di un Dio duplice, cioè Padre e Figlio.
 
L'affermazione poi di un Dio addirittura trinitario con lo Spirito Santo - come affermato da Gesù - cioè di un unico Dio ma formato da tre distinte Persone, era ancor più estraneo alla loro tradizione religiosa ed era pertanto una grave bestemmia.
 
Ancora oggi, quanti 'ecumenicamente' dicono che in fin dei conti cristiani ed ebrei credono nello stesso Dio, dicono una cosa che non ha senso in quanto il Dio in cui credono gli ebrei non ha nulla a che vedere con quello trinitario che ci ha rivelato Gesù.
 
Lo stesso dicasi per i maomettani i quali si limitano ad attribuire a Gesù un semplice ruolo di 'profeta', un profeta importante più dei precedenti, ma – secondo loro - meno importante di Maometto..., venuto per ultimo.
 
 
La prossima riflessione sarà dedicata a:

 
 
5. DISCORSI DI GESÙ: IL DISCORSO DEL ‘BUON PASTORE’ E LA DOPPIA NATURA DI GESÙ.

 
 
5.1 Da che mondo è mondo non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi ad un cieco nato. E se questo non fosse da Dio non avrebbe potuto far nulla… .
 
 
Dopo il tentativo di lapidazione e la sua fuga dal Tempio raccontato dall’evangelista Giovanni[48] rivediamo Gesù ancora a Gerusalemme nell’episodio della guarigione di un nato cieco.[49]
 
È un episodio persino divertente, con quei Farisei lividi di rabbia che - nel venire a conoscenza di quest’altro eclatante miracolo di Gesù che veniva a confermare il suo essere Figlio di Dio - fanno un terzo grado all’ex cieco, accusandolo in sostanza di essere un truffatore che si era finto cieco e si era messo d’accordo con Gesù per attribuirgli appunto ‘fama di miracolo’.
 
Dalle loro prime domande iniziali ai loro insulti finali, il cieco risponde per le rime: ‘Da che mondo è mondo non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi ad un cieco nato. E se questo non fosse da Dio non avrebbe potuto far nulla…’.  
 
Successivamente – dopo alcuni ulteriori viaggi – Gesù ritorna a Gerusalemme dove incontra però nuovamente il miracolato che non lo aveva mai visto in volto.[50]
 
Narra infatti Giovanni che Gesù - nel fare miracolo - aveva sputato per terra, fatto con saliva e terra del fango che gli aveva poi spalmato sugli occhi dicendogli di andarseli a lavare nella piscina di Siloe.
 
Quello aveva obbedito e aveva acquistato la vista ma Gesù nel frattempo se ne era andato. [51]
 
L’Evangelista Giovanni ci racconta ora anche questo secondo episodio.[52]
 
È da questo secondo incontro che Gesù prende spunto per lanciare il suo celebre ‘messaggio’: ‘Io sono il Buon Pastore’, che ha un significato molto più profondo di quanto a prima vista potrebbe sembrare.
 
Come abbiamo più volte notato leggendo il Vangelo di Giovanni, molto spesso i vari episodi vengono presentati uno dopo l’altro come se si succedessero senza soluzione di continuità.
 
Invece – ad una attenta analisi e facendo magari anche uno studio comparato con gli stessi episodi citati negli altri tre vangeli – si scopre che fra l’episodio di un brano e quello precedente è magari passato del tempo.
 
Anche in questo caso, fra la cacciata del cieco dal Tempio di Gerusalemme dove il cieco era stato inizialmente interrogato ed il suo nuovo incontro con Gesù, è passato qualche giorno: lo si apprende dall'Opera valtortiana.
 
Gesù aveva già avuto occasione di guarire dei ciechi e i Vangeli riportano vari accenni a questo riguardo.
 
Ma qui il Vangelo di Giovanni dà molto rilievo a questo miracolo facendo capire che esso aveva destato molto clamore.
 
Perché tanto clamore solo in questo caso, con interrogatori e controinterrogatori, una sorta di processo pubblico al cieco?
 
La ragione la comprendiamo grazie alla visione della mistica Maria Valtorta.
 
Il miracolo non era consistito nel ridare la vista agli occhi del 'non vedente' ma nell'avere infuso dal nulla due bulbi oculari nelle orbite vuote dell'uomo che era nato geneticamente malformato.
 
Un miracolo così straordinario, una creazione dal nulla, una cosa proprio 'da Dio', aveva certamente fatto e rifatto il giro della città, facendo imbestialire ancora di più i Capi giudei.
 
Oltretutto l'uomo non sembrava quasi più lui se non ci fossero stati i genitori ad attestarlo, perché se è noto che forma e colore degli occhi sono fondamentali per riconoscere una persona, due occhi dove prima c'erano solo due cavità vuote cambiano la fisionomia ancora di più.
 
Troppo 'miracoloso’ per potere essere vero, un miracolo del genere.
 
E se fosse stato vero sarebbe stato un miracolo veramente da Dio, una ulteriore strabiliante conferma ai precedenti discorsi di Gesù che avevano preceduto quel tentativo di lapidazione dopo essersi Egli dichiarato Dio.
 
È questa la spiegazione della rabbia e della incredulità dei sacerdoti del Tempio, scribi e farisei che si erano inutilmente accaniti con il miracolato e con i suoi stessi genitori nella speranza di coglierli in fallo.
 
I miracoli riconosciuti ‘ufficialmente’ dalla Commissione internazionale scientifica di Lourdes non lo sono da meno.
 
Anche gli scienziati più ‘prevenuti’ hanno dovuto ammettere che, in quei casi almeno, non si poteva comprendere altrimenti l’assoluta eccezionalità dell’avvenimento, al di fuori di qualsiasi spiegazione scientifica e medica.
 
Dunque Gesù incontra nuovamente il ‘cieco’.
 
Abbiamo già detto che il cieco non conosceva Gesù, come si capisce dal colloquio riportato nel Vangelo di Giovanni. Il cieco sapeva solo che il suo benefattore era quel Gesù che tutti mormoravano essere il Messia, anzi il Figlio di Dio.
 
Cerchiamo di concentrarci mentalmente e di immaginarci la scena.
 
Gesù lo vede, deve essere per strada, lo riconosce, lo chiama, quello viene, non riconosce Gesù e lo guarda interrogativamente.
 
Gesù gli domanda come sta e quello – pensando che tutti devono proprio sapere che lui è un miracolato, anche i ‘forestieri’ come gli pare quell’uomo - risponde che sta benissimo, anzi che meglio di così – con quei due begli occhi che si ritrova – non potrebbe andare.
 
‘Chi te li ha fatti?’, avrà chiesto Gesù.
 
‘Quell’Uomo che tutti chiamano il Messia!’, risponde quello.
 
‘Ma tu ci credi in lui?’
 
‘Crederci? Altro che, se vorrei. Ma non lo conosco nemmeno, e vorrei tanto poterlo conoscere...!’.
 
Gli dice allora Gesù: ‘Lo vedi: è colui che parla con te’.
 
E quello si getta al suolo, gli stringe magari i piedi come solevano fare a quei tempi, e lo adora, come si adora un Dio, perché infatti esclama, come racconta Giovanni: Signore, io credo’.
 
 
 
5.2 Gesù: Il Figlio dell’Uomo è venuto in questo mondo per operare una discriminazione.
 
 
Ecco però che al vedere quella scena e quell’assembramento di persone, poiché certamente con Gesù ci sarà stato l’intero gruppo apostolico, si sarà fermata dell’altra gente a guardare ed ascoltare, e nel mucchio, non saranno certo mancati i soliti scribi e farisei e via dicendo.
 
Gesù approfitta del pubblico e decide allora di prendere lo spunto dal miracolo del cieco che è stato reso ‘vedente’ per fare un discorso.
 
Ergendosi in tutta la sua figura e volgendo intorno uno sguardo circolare con i suoi occhi di zaffiro, Egli enuncia allora il ‘tema’ di introduzione: ‘Il Figlio dell’Uomo è venuto in questo mondo perché si operi una discriminazione: affinché quelli che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi’.
 
Attenzione, questo concetto espresso da Gesù può sembrare un gioco di parole, ma invece nasconde o meglio rivela una profonda verità teologica.
 
Ve ne avevo già parlato all’inizio. L’evangelista Luca (2, 21-35) narra l’infanzia di Gesù e nel raccontare della sua circoncisione e presentazione al Tempio scrive che ad un certo punto si presenta - davanti a Giuseppe e Maria che hanno il bambino in braccio -  Simeone, uomo vecchio e giusto che aspettava ardentemente la redenzione d’Israele.
 
Lo Spirito Santo – così dice Luca – stava su di lui e gli aveva rivelato che egli prima di morire avrebbe veduto il Messia.
 
In quel momento il vecchio Simeone – vedendo Gesù – sospinto dallo Spirito prorompe in una lode, benedice Giuseppe e Maria e poi profetizza a Maria: ‘Ecco, egli è posto per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione; a te pure una spada trapasserà l’anima. Così si sveleranno i pensieri di molti cuori’.
 
Cosa c’entrano la caduta, la risurrezione, la contraddizione e lo svelarsi dei pensieri dei cuori con la discriminazione che sarebbe stata operata dal Figlio dell’Uomo?
 
Riprendiamo allora un momento in esame il Progetto di Dio sull’Umanità.
 
Il primo uomo sbaglia e coinvolge nel suo errore – attraverso le conseguenze psico-somatiche del Peccato Originale sui discendenti – tutta l’Umanità futura.
 
Ma il Dio della Genesi promette salvezza (spirituale) a lui e alla sua discendenza per cui, come a causa di una donna l’Umanità si era ‘perduta’, attraverso un’altra Donna (Maria, che in grande umiltà avrebbe acconsentito al progetto divino e avrebbe dato alla luce Gesù-Redentore) l’Umanità sarebbe stata salvata.
 
Ma quale ‘Umanità’? Quella dei ‘volenterosi’ o quella dei ‘facinorosi’?
 
Quella dei volenterosi! L’Umanità costituita cioè da quelle persone che pur imperfette, pur deboli, pur peccatrici, vorrebbero sforzarsi di migliorare, di emendarsi, anche se la debolezza delle loro forze non glielo consente tanto.
 
Gli altri – i ‘capri’ – ‘non vogliono’ sforzarsi perché l’assetto dell’Umanità gli sta bene così, con le sue ingiustizie, che essi trovano ‘naturali’, fra le quali essi riescono a ‘navigare’ a piacimento con soddisfazione dei loro interessi, che non sono spirituali ma materiali, mentre quelli spirituali essi dicono che sono ‘fola’, fantasia, illusione, incapacità di capire la ‘realtà’: è pieno di gente che la pensa così, oggi più di ieri. No?
 
Allora, al momento buono, il Verbo si incarna, diventa Uomo e comincia ad insegnare, facendosi aiutare dai miracoli perché - se l’Uomo non crede più a Dio che non vede - potrebbe però credere ai miracoli che invece vede.
 
E allora la discriminazione? Lo avevo già spiegato ma ve lo ricordo: il Verbo viene ad operare, insegna la Verità e ognuno sarà libero di accettarla o respingerla.
 
La Verità dividerà però gli uomini nel senso che costoro – posti di fronte ad essa – saranno costretti a rivelare il pensiero del loro cuore, a ‘scegliere’, cioè a schierarsi da una parte o dall’altra e a quel punto sarà possibile a Dio fare una ‘discriminazione’, cioè una divisione, fra ‘pecore’ e ‘capri’.
 
Al momento della morte fisica e del giudizio particolare i ‘capri’ non potranno più dire che essi in vita erano ‘ciechi’ e che ‘non avevano visto’, ma – grazie agli insegnamenti di Gesù che ha rivelato la Verità - essi sapranno che pur avendola vista non l’avevano accettata, e si renderanno allora ben conto della giustezza del giudizio che avranno ricevuto. Ogni uomo è infatti libero di accettare o meno il messaggio di Dio, e quindi di meritare o meno la salvezza nel Regno celeste.
 
Dio, per bontà, ha dunque voluto – con la sua incarnazione – che quelli che erano davvero ‘ciechi’ (vale a dire ignoranti nelle cose di Dio, ma di buona volontà) potessero ‘vedere’ cioè comprendere le cose di Dio alla luce della sua Parola, e quelli che invece ci ‘vedevano’ (cioè che erano o avrebbero dovuto essere già  ‘esperti’ nelle cose del Signore non solo per cognizione religiosa ma anche per semplice cultura che consente di capire meglio ciò che è bene e ciò che è male) ma che poi per cattiva volontà non ne traevano le conseguenze nel loro comportamento, perdessero la loro capacità di ‘vedere’, e cioè la capacità di salvarsi, visto che avevano arrogantemente disprezzato l’opportunità di salvezza che attraverso gli insegnamenti di Gesù era stata loro offerta.
 
Non vi pare tutto di una logica e di una semplicità estrema?
 
Il ‘Credere’ non è strettamente indispensabile per salvarsi: basta comportarsi come se ci credessimo: e cioè comportarsi bene.  Infatti - al resto - ci pensa Lui perché se vi comportate bene, anche se non ci credete, vuol dire che siete pecore del suo Ovile, anche senza saperlo.
 
Gesù – guardandosi intorno, fra la gente, in quella stradetta di Gerusalemme – decide di fare allora questo grande discorso come narrato da Giovanni, anzi Gesù lo fa meglio.
 
Egli parlava bene ma nello stesso tempo si esprimeva con immagini semplici.
 
Ricorre allora – alludendo metaforicamente agli scribi, farisei e sacerdoti presenti, che tutto facevano fuorché prendersi cura del popolo a loro affidato – all’immagine del ‘buon pastore’ il quale conosce le sue pecore, così come queste ‘riconoscono’ la voce del loro pastore.
 
Cosa vuol dire?
 
Vuol dire che Dio, che vive fuori dal tempo, sa ab-eterno quali sono gli uomini che in loro piena libertà accetteranno volontariamente di seguire le ispirazioni che Egli imprimerà nel loro cuore: sono quelli le sue ‘pecore’ che Egli conosce da prima che il Tempo fosse, così come queste ‘pecore’ – volontariamente sintonizzate sulla lunghezza d’onda del Signore – sono quelle che sapranno riconoscere la ‘voce’ della sua Parola, cioè del loro Pastore sceso sulla terra per radunarle.
 
Quello del ‘Buon Pastore’ è un discorso profondo ma semplice.
 
L’Umanità – da sempre - è infestata da ‘cattivi pastori’, cioè da uomini che perseguono il loro interesse e quello dei gruppi di potere o di pressione che essi rappresentano.
 
Non è necessario essere dei buoni ‘cristiani’ per capirlo. Basta il comune buon senso.
 
La società che ci circonda è dominata da questi uomini che perseguono i loro scopi, in tutti i campi, dall’economia alla politica, persino nella religione nella misura in cui questa possa essere utilizzata come un ‘paravento’.
 
Persino nella cultura perché spesso gli ‘uomini-capri’ prendono a copertura di quel che fanno le ‘idee’ che tanti ‘uomini di cultura’ – capri anche loro - gli elaborano perché essi se ne possano servire: questa cosiddetta cultura, questa sorta di ‘dea’, diventa quindi un loro alibi.
 
Negli ultimi secoli, ad esempio – a cominciare da quella ‘francese’ fino ai giorni nostri -  non c’è stata rivoluzione, non c’è stato genocidio, senza che i ‘capi-popolo’ non avessero rivendicato una solida base ‘filosofica’ e culturale’ a giustificazione del loro operato.
 
Le più grandi nefandezze dell’Umanità sono state compiute sotto la copertura di ideologie che le rivestivano di una logica apparentemente ineccepibile e di onorabilità: per il bene collettivo!
 
L’Umanità è dunque sovente governata da uomini, e sono questi i falsi pastori di cui parla Gesù, che – per perseguire quelli che in realtà sono i propri obbiettivi – usano tutti i mezzi per convincere i più deboli, i più incolti, i più creduli – facendo leva anche sui loro istinti, anzi sui nostri istinti peggiori – per tirarseli dietro.
 
È la storia delle ingiustizie, dei dolori e delle guerre interminabili che da millenni hanno squassato e continuano a percorrere l’Umanità.
 
È la storia di taluni grandi ‘Capi’ che all’insegna di filosofie, ideologie, razzismi continuano a dividere i popoli. La storia di quelli che – all’interno persino di certe gerarchie religiose – cercano di utilizzare le stesse religioni come centri di potere o anche come elemento fazioso di divisione fra un popolo di una religione e uno dell’altra.
 
È tutta gente che dell’Amore se la ride.
 
Siamo nati in un mondo sbagliato? Sì e no. All’inizio non lo era ma poi lo è diventato e ormai siamo tutti in ballo.
 
Ma chi – in terra - non passa dalla porta dell’amore, non entra in Cielo.
 
Ecco la realtà più dura per noi umani.
 
Mentre i falsi pastori – fa intendere chiaramente Gesù - perseguono però solo i loro interessi ma poi sono pronti ad abbandonare l’uomo a se stesso, noncuranti della sua rovina perché essi sono dei pastori-idolo, il Verbo che si incarna per amore dell’uomo è pronto a sacrificare – Egli Dio – la propria vita di Uomo-Dio, perché Egli è il vero Pastore, quello che ha creato le anime degli uomini che quindi considera veramente figli suoi, sempre che essi lo vogliano conoscere come padre e non preferiscano invece l’altra paternità, quella che ritengono più congeniale a quel che essi desiderano fare.
 
Il progetto del Verbo non è però solo quello di salvare le ‘pecore’ dell’ovile di Israele, ma anche quelle dell’altro ovile più grande, quello del resto dell’Umanità che – accettando il Cristianesimo – conoscerà la via con la quale ci si salva più facilmente.
 
Quante volte mi sono sentito dire: ‘Ma chi l’ha detto che la religione giusta sia il Cristianesimo’?
 
È una domanda legittima, anche se spesso maschera - sotto una parvenza di domanda logica - quella che in realtà è una voglia di ‘contestazione’.
 
Ma è una domanda mal posta.
 
Prima di porcela bisognerebbe che ci interrogassimo sul fatto se crediamo che esista un Dio, se siamo propensi a credere che siamo degli ‘spiriti’ in carne umana, se intendiamo veramente sforzarci di condurci nella direzione di un comportamento che rispetti gli altri come vorremmo che gli altri rispettassero noi.
 
Scopriremmo però anche che è una domanda ‘inutile’, dal punto di vista dell’Assoluto.
 
Credo che possiamo tutti accettare l’idea che, se Dio esiste, deve essere uno solo per tutti, e non può dividersi in divinità di tutte le specie a seconda dei gusti e delle culture.
 
Se Dio è ‘uno’ per tutti i popoli è però chiaro che anche la sua Verità non può essere che una sola.
 
Ora, non è un mistero che molte religioni siano nate per soddisfare una esigenza interiore di ‘spiritualità’, per soddisfare in qualche modo quel senso di ‘trascendente’ che l’uomo – anche quello primitivo – ha sempre avvertito dentro la propria anima, o nel proprio ‘inconscio’ se la si vuol chiamare così, senso del trascendente che Dio stesso ha impresso all’anima nel crearla affinché essa si ricordi – poi – di avere un Dio al quale ritornare.
 
Fra queste religioni ve ne sono alcune che dicono di essere frutto di una ‘rivelazione’: Dio che ha parlato a certi loro uomini rivelando loro le sue ‘verità’.
 
È difficile negare che Dio possa aver parlato anche agli uomini di altre religioni. Credo anzi che Dio parli a tutti gli uomini, da sempre.
 
Il problema semmai è di stabilire quanto gli uomini abbiano capito, quanto di proprio abbiano aggiunto, quanto abbiano modificato di quanto Dio aveva sussurrato al loro orecchio spirituale.
 
Può però Dio – che è Verità – aver insegnato verità sostanzialmente diverse a religioni diverse?
 
Poiché la Verità è una, la religione vera non può che essere una.
 
Queste sono forse considerazioni un po’ ‘filosofiche’, ma in realtà – indipendentemente dal tipo di ‘teologia’ – quello che a Dio interessa ai fini del ‘passaporto’ per il suo Regno non è la ‘filosofia’, ma la pratica: quella dell’amore.
 
È questo il minimo comun denominatore di tutti i popoli, necessario per una ‘fedina penale’ pulita.
 
Non è il ‘censo’ secondo l’ordine terreno quello che ci dà diritto al ‘passaporto’. Anzi spesso il ‘censo’ è causa di ‘superbia’ mentre chi non ha censo è più facile che sia ‘umile’.
 
L’umile si salva allora meglio del ‘colto’, se pratica l’amore.
 
Bene, Gesù ha ormai finito il suo discorso e noi anche ma, come sempre succede, il ‘pubblico’ del Vangelo di Giovanni si divide.
 
La metafora del buono e del cattivo pastore era fin troppo chiara per quelli della classe dirigente: qualcuno di loro scuote quindi la testa e ribadisce che quello vaneggia e fa discorsi da indemoniato.
 
Qualche altro del popolo – che ha perfettamente inteso l’allusione - ribatte invece che quelli non sono discorsi da indemoniato anche perché ‘un demonio non avrebbe potuto certo aprire quegli occhi a un cieco’.

 
 
5.3 Gesù e la sua doppia natura divina ed umana: ‘Non ignoro come Dio il futuro dei secoli, e non ignoro come Uomo giusto lo stato dei cuori…’.

 
 
È passato qualche tempo dall’episodio precedente legato al secondo incontro con il ‘cieco’ ed al discorso del ‘Buon Pastore’.
 
Gesù aveva lasciato Gerusalemme ma aveva continuato a predicare nei dintorni.
 
A Gerico - lo si evince dall'Opera di Maria Valtorta - Egli incontra nuovamente a casa sua Zaccheo, il Capo dei pubblicani che tempo prima si era convertito, il quale aveva a sua volta nel frattempo convertito un gruppo di suoi colleghi e amici.[53]
 
Moralmente Gesù era abbattuto, ma spiritualmente era felice perché l’ora della Redenzione si avvicinava.
 
Giuda aveva ormai chiaramente capito che il Regno di cui parlava Gesù non era quel regno terreno in cui egli tanto sperava per soddisfare le sue ambizioni. Inoltre presagiva che quella storia – umanamente – sarebbe finita male per Gesù e tutti loro, suoi diretti seguaci.
 
Siamo ormai arrivati nel periodo invernale del terzo anno, quello della Festa della Dedicazione o delle Luci, pochi mesi prima della successiva ultima Pasqua, quella di Passione.
 
Giuda decide in questo periodo di passare al ‘nemico’: cioè a quelli del Tempio.
 
Egli spera – tradendo Gesù e spiegando ai Capi dei Giudei quale sarebbe stato il luogo ed il momento più opportuno per catturarlo senza colpo ferire, isolato dalle folle che lo seguivano - di accattivarsene la ‘simpatia’ e di salvare la pelle.
 
Quella di Giuda – con il quale Gesù aveva vissuto fianco a fianco, notte e giorno, per tre anni - era l’angustia maggiore dell’Uomo-Dio.
 
Non si trattava dell’ostilità di un nemico, ma del tradimento di un ‘amico’.
 
Gesù – ne ho già parlato in precedenza ma qui lo riconfermo - aveva cercato e avrebbe cercato di salvare Giuda sino alla fine, non perché non sapesse - quale Dio che viveva ‘fuori del Tempo e per 'prescienza' - che sarebbe stato tutto inutile, ma perché da Uomo-Dio che viveva nel Tempo Egli voleva dare a Giuda ogni umana opportunità di ravvedersi affinché egli – una volta condannato da Dio – non potesse recriminare che Dio non aveva fatto l’impossibile per salvarlo, fino a quel boccone nell’Ultima Cena prima che Giuda si alzasse da tavola per andare a consegnarlo.
 
Gesù voleva inoltre insegnare agli uomini – specie della futura Chiesa – che quando è in gioco la salvezza di un’anima, che rischia la perdizione per l’eternità, nulla deve essere tralasciato, nessuno sforzo, anche se considerato inutile, sino alla fine, come Egli ha fatto con Giuda.
 
Uno spaccato psicologico di Gesù in questo momento particolare ci viene da un bel colloquio che Egli – mentre cammina per le strade della Giudea – ha con Giovanni, dove si affronta proprio il problema di Giuda le cui colpe e trame Gesù cercava di coprire per evitare che gli altri apostoli – non ancora del tutto ‘santi’- potessero spingersi a farsi giustizia da soli seguendo impulsi come quello di Pietro che – al momento della cattura di Gesù – avrebbe sguainato una spada menando un fendente che, anche se di scarsa mira, aveva pur sempre staccato – anziché la testa - un orecchio ad uno degli ‘scherani’ che erano stati inviati dai sacerdoti a catturare Gesù.
 
Quando il Gruppo apostolico si spostava era sempre Gesù a fare il passo marciando in testa, talvolta attorniato da un paio di discepoli, spesso solo, solo nelle sue preghiere e meditazioni che in questo periodo prossimo alla Passione diventano sempre più ‘cupe’.
 
Gli apostoli usavano seguirlo ad una certa distanza, qualche metro dietro, e discutevano spesso fra di loro.
 
Quando vi era qualche problema o necessità di un chiarimento da parte di Gesù, essi non sempre avevano il coraggio di farsi avanti ma gli mandavano … il più giovane e il più amato da Gesù: Giovanni, il quale infatti ora gli si avvicina e gli dice:[54]
 
 
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«…Si parlava fra noi e si era incerti su una cosa.  Questa: se Tu sai tutto il futuro, o se ti è in parte nascosto. Chi diceva una cosa e chi l'altra».
 
«E tu che dicevi?».
 
«Dicevo che era meglio di tutto chiederlo a Te».
 
«E così sei venuto. Hai fatto bene. Questo almeno serve a Me e a te a godere un momento di amore... È tanto raro, ormai, poter avere un poco di pace! ... ».
 
«È vero!  Come erano belli i primi tempi! ... ».
 
«Sì.  Per l'uomo che siamo noi, erano più belli.  Ma per lo spirito che è in noi sono migliori questi.  Perché ora è più conosciuta la Parola di Dio e perché soffriamo di più. Più si soffre e più si redime, Giovanni...
 
Per questo, pur ricordando i tempi sereni, dobbiamo amare maggiormente questi che ci dànno dolore, e col dolore ci dànno anime. Ma rispondo alla tua domanda.  Ascolta.  
 
Io non ignoro, come Dio.  E non ignoro, come Uomo.  
 
Conosco il futuro degli avvenimenti, perché sono col Padre da prima del tempo e vedo oltre il tempo.  
 
Come Uomo esente da imperfezioni e limitazioni congiunte alla Colpa e alle colpe, ho il dono dell'introspezione dei cuori.  
 
Esso dono non è limitato al Cristo. Ma è in diversa misura di tutti quelli che, avendo raggiunto la santità, sono talmente uniti a Dio da potersi dire che non per sé operano, ma con la Perfezione che è in loro.  
 
Perciò posso risponderti che non ignoro come Dio il futuro dei secoli, e non ignoro come Uomo giusto lo stato dei cuori».
 
 
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5.4 I Giudei lo circondarono e gli dissero: «Fino a quando ci terrai con l’animo sospeso? Se sei tu il Cristo, diccelo apertamente».

 
 
Dopo questo episodio che riguarda la sua natura umana e divina, ritroviamo Gesù al Tempio di Gerusalemme per la festa della Dedicazione.
 
Come già detto, era una festa (detta anche della Purificazione o delle Encenie) che cadeva – secondo il calendario ebraico – il giorno 25 di casleu (novembre-dicembre).
 
È in questa occasione che scoppia un nuovo incidente, raccontato da Giovanni[55], che inasprirà ancora di più i rapporti fra Gesù e i Capi dei Giudei.
 
Gesù era nuovamente tornato a Gerusalemme perché non perdeva le occasioni di festa in quanto queste – con il grande afflusso di pellegrini – gli permettevano di intensificare la predicazione comunicando quelle verità che poi quei pellegrini avrebbero riportato agli altri al rientro nei loro paesi di origine.
 
Lazzaro, il suo grande amico e ‘protettore’ - che con i suoi beni soleva sovvenire, insieme alle sorelle Marta e Maria di Magdala, a molte esigenze di spesa del gruppo apostolico e che per la sua amicizia politica con i romani, riusciva ancora a tenere a bada i giudei – era ormai sempre più malato.
 
I Vangeli non danno particolari sulla sua malattia ma, dall’Opera della mistica Valtorta, si capisce che egli soffriva di una sorta di cancrena agli arti, una malattia che assumeva l’aspetto di una specie di ‘lebbra’, una ‘infezione’ che non era infettiva ma provocava gradualmente un avvelenamento del sangue che avrebbe portato alla morte.
 
Le sorelle lo curavano in casa, nella dimora di Betania, vicina a Gerusalemme, con disinfezioni e impacchi antisettici e antinfiammatori, e stavano ben attente a che non si diffondesse la voce sulla natura della sua malattia che avrebbe potuto essere scambiata per lebbra vera e propria, facendo scattare le norme di legge che prescrivevano che il malato fosse trasferito in un lebbrosario.
 
Ciò a quei tempi avrebbe significato essere abbandonati in cave di spazzatura dalle quali si affacciavano di quando in quando quei lebbrosi che – vedendo passare Gesù – gridavano: ‘Figlio di Davide, salvaci, per pietà’, e lui li salvava, anche se poi non tutti tornavano indietro per ringraziarlo.
 
I Capi giudei sarebbero stati ben lieti di togliersi in quel modo dai piedi Lazzaro, il potente amico e protettore di Gesù, facendolo passare per un lebbroso.
 
Gesù cercava comunque – considerato il ‘clima’ sempre più rovente intorno a lui - di non compromettere troppo Lazzaro e si recava a trovarlo solo quando era strettamente necessario.
 
Dunque, Gesù è ora di nuovo a Gerusalemme, al Tempio, e passeggia sotto il portico di Salomone.
 
Viene subito adocchiato e un gruppetto di quelli del Tempio – che non avevano ancora digerito il discorso del Buon Pastore dal quale si capiva che anche loro erano di quei ‘cattivi pastori’ che portavano a perdizione le ‘pecorelle’ – gli si avvicinano untuosi e con un sorriso ipocrita di falsa sincerità dicendogli con tono accattivante: ‘Dai, dicci finalmente chi sei. Non parlare più per metafore o parabole. Non ci tenere più in sospeso. Se tu sei il Cristo, diccelo una volta per tutte, chiaramente’.
 
Se fossero stati sinceri c’era da farsi cascar le braccia, perché Gesù ormai l’aveva detto in tutte le salse che egli non solo era il Cristo, il Messia, ma anche Figlio di Dio.
 
Ma – poiché vi erano presenti anche altri giudei del popolo ai quali Egli doveva continuare a dare testimonianza – Gesù riafferma pazientemente la sua identità e – come stava facendo e avrebbe fatto sino alla fine con Giuda - cerca di convincerli, ribadendo concetti analoghi:
 
‘Ve l’ho detto, ma voi non volete credere. Ma visto che non volete credere alle mie parole, potreste almeno credere alle mie opere, opere che Io posso fare in nome di Colui che è mio Padre. E io sono suo Figlio!’.
 
Gesù insomma voleva dire: ‘Sono queste opere che – al di là delle mie dichiarazioni – dovrebbero convincervi della mia natura messianica: risuscito i morti, risano i lebbrosi, guarisco i paralitici e i ciechi, libero gli indemoniati. Tralascio di parlarvi dei miracoli che opero sugli ‘spiriti’, convertendoli (e quelli sono i miracoli più difficili e grandiosi ma non ve li ricordo perché quelli a voi non interessano) e non vi basta? Devo continuare? No, è inutile. Voi non credete perché non avete buona volontà, perché ‘non volete’ credere, e ciò avviene perché voi – nel vostro animo – non siete del mio gregge. Voi siete ‘capri’ nello spirito, voi siete gregge di Satana, che è vostro ‘pastore’. È per questo che non mi volete seguire. Ma sappiate che alle ‘mie’ pecore io darò la vita eterna perché esse non periranno mai, come invece perisce chi – spiritualmente – segue l’Altro. E le mie pecore – cioè quelle che nel loro cuore mi seguono perché sono di un medesimo sentimento – Io non me le lascerò strappare mai. Dio me le ha date e nessuno me le potrà togliere, perché nulla può essere tolto a Dio, ed Io sono Uno con Dio, che è mio Padre’.
 
Al sentir dire da Gesù che Egli era un tutt’uno col Padre quelli abbrancano delle pietre per terra... ma Gesù li ferma con un gesto della mano e con uno sguardo imperioso sfavillante di divinità: ‘Per quali di queste opere mi lapidate?!’.
 
E quelli, pietre in mano: ‘Per nessuna in particolare, ma per esserti proclamato Dio, tu che sei solo un uomo. Questa è bestemmia e, come dice la Legge, i bestemmiatori devono essere lapidati!’.
 
Gesù – che aveva del sangue freddo – non si lascia allora scappare l’occasione per fare un bel sermone.
 
Egli - ricordando loro un brano delle Scritture dove Dio, attraverso il Profeta, dice agli uomini, fatti a sua immagine e somiglianza, che essi sono ‘dei’ - completa il ragionamento dialetticamente: ‘Se Dio chiama ‘dei’ quegli uomini ai quali parlava, non posso chiamarmi Dio Io che sono Figlio suo e che soprattutto faccio opere da Dio? Posso ammettere che non vogliate credere a quelle che dico, ma dovreste almeno credere a quello che faccio!’.
 
Ma quelli - ancor più arrabbiati, non potendo ribattere ad un discorso così razionale - gli tirano le pietre.
 
Gesù, in qualche modo, anche questa volta se la cava perché – come già successo in una occasione precedente - riesce ad eclissarsi dal Tempio.
 
Egli se ne va anzi da Gerusalemme e si dirige oltre Giordano[56], in quel luoghi ove aveva già predicato il suo ‘precursore’ Giovanni Battista e dove i seguaci di Giovanni, sentendolo predicare, avevano concluso: ‘Giovanni non fece alcun miracolo, ma tutto quello che disse di costui è vero!’.

 
 
5.5 Un commento conclusivo del Gesù valtortiano sui suoi tre anni di vita pubblica e sul futuro che lo attende.

 
 
Ormai erano tre anni che Gesù evangelizzava incessantemente.
 
Chi avesse voluto amarlo e seguirlo aveva ormai tutti gli elementi di valutazione per farlo.
 
Ma per coloro che avessero preferito rimanere sordi Egli aveva ancora delle cose da dire, e le avrebbe dette nei mesi successivi, all'inizio del quarto anno, alla ripresa della sua evangelizzazione finale che lo avrebbe portato sul Golgota.
 
Il Gesù 'valtortiano', nel 1946, commenta così in un 'dettato' al suo ‘piccolo Giovanni’ il lavoro svolto con la trascrizione delle visioni dei suoi tre anni di vita pubblica di 2000 anni fa:[57]
 
 
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Dice Gesù:
 
«E anche il terzo anno di vita pubblica ha fine. Viene ora il periodo preparatorio alla Passione. Quello nel quale apparentemente tutto sembra limitarsi a poche azioni e a poche persone. Quasi uno sminuirsi della mia figura e della mia missione.
 
In realtà, Colui che pareva vinto e scacciato era l'eroe che si preparava all'apoteosi, e intorno a Lui non le persone ma le passioni delle persone erano accentrate e portate ai limiti massimi.
 
Tutto quanto ha preceduto, e che forse in certi episodi parve senza scopo ai lettori maldisposti o superficiali, qui si illumina della sua luce fosca o splendente. E specie le figure più importanti. Quelle che molti non vogliono riconoscere utili a conoscere, proprio perché in esse è la lezione per i presenti maestri, che vanno più che mai ammaestrati per divenire veri maestri di spirito.
 
Come ho detto a Giovanni e Mannaen, nulla è inutile di ciò che fa Dio, neppure l'esile filo d'erba. Così nulla è di superfluo in questo lavoro. Non le figure splendide e non le deboli e tenebrose. Anzi, per i maestri di spirito, sono di maggior utile le figure deboli e tenebrose che non le figure formate ed eroiche.
 
Come dall'alto di un monte, presso la vetta, si può abbracciare tutta la conformazione del monte e la ragione di essere dei boschi, dei torrenti, dei prati e dei pendii per giungere dalla pianura alla vetta, e si vede tutta la bellezza del panorama, e più forte viene la persuasione che le opere di Dio sono tutte utili e stupende, e che una serve e completa l'altra, e tutte sono presenti per formare la bellezza del Creato, così, sempre per chi è di retto spirito, tutte le diverse figure, episodi, lezioni, di questi tre anni di vita evangelica, contemplate come dall'alto della vetta del monte della mia opera di Maestro, servono a dare la visione esatta di quel complesso politico, religioso, sociale, collettivo, spirituale, egoistico sino al delitto o altruistico sino al sacrificio, in cui Io fui Maestro e nel quale divenni Redentore.
 
La grandiosità del dramma non si vede in una scena ma in tutte le parti di esso.
 
La figura del protagonista emerge dalle luci diverse con cui lo illuminano le parti secondarie.
 
Ormai presso la vetta, e la vetta era il Sacrificio per cui mi ero incarnato, svelate tutte le riposte pieghe dei cuori e tutte le mene delle sette, non c’è che da fare come il viandante giunto presso la cima. Guardare, guardare tutto e tutti.
 
Conoscere il mondo ebraico. Conoscere ciò che Io ero: l'Uomo al disopra del senso, dell'egoismo, del rancore, l'Uomo che ha dovuto essere tentato, da tutto un mondo, alla vendetta, al potere, alle gioie anche oneste delle nozze e della casa, che ha dovuto tutto sopportare vivendo a contatto del mondo e soffrirne, perché infinita era la distanza fra l'imperfezione e il peccato del mondo e la mia Perfezione, e che a tutte le voci, a tutte le seduzioni, a tutte le reazioni del mondo, di Satana e dell'io, ha saputo rispondere: "No", e rimanere puro, mite, fedele, misericordioso, umile, ubbidiente, sino alla morte di Croce.
 
Comprenderà tutto ciò la società di ora, alla quale Io dono questa conoscenza di Me per farla forte contro gli assalti sempre più forti di Satana e del mondo?
 
Anche oggi, come venti secoli or sono, la contraddizione sarà fra quelli per i quali Io mi rivelo.
 
Io sono segno di contraddizione ancora una volta. Ma non Io, per Me stesso, sibbene Io rispetto a ciò che suscito in essi.
 
I buoni, quelli di buona volontà, avranno le reazioni buone dei pastori e degli umili. Gli altri avranno reazioni malvagie come gli scribi, farisei, sadducei e sacerdoti di quel tempo.
 
Ognuno dà ciò che ha. Il buono che viene a contatto dei malvagi scatena un ribollire di maggior malvagità in essi.
 
E giudizio sarà già fatto sugli uomini, come lo fu nel Venerdì di Parasceve, a seconda di come avranno giudicato, accettato e seguito il Maestro che, con un nuovo tentativo di infinita misericordia, si è fatto conoscere una volta ancora.
 
A quanti si apriranno gli occhi e mi riconosceranno e diranno: È Lui. Per questo il nostro cuore ci ardeva in petto mentre ci parlava e ci spiegava le Scritture"?
 
La mia pace a questi e a te, piccolo, fedele, amoroso Giovanni».
 
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Nel primo anno Gesù aveva evangelizzato le genti mostrandosi il paziente Maestro delle verità divine.
 
Nel secondo anno si era mostrato il Misericordioso, il Dio che aveva assunto vesti umane per parlare direttamente agli uomini e chiamarli a sé.
 
Nel terzo Egli è stato il Redentore che, offrendosi Vittima sacrificale, avrebbe espiato per amore i peccati passati, presenti e futuri di tutti gli uomini per ottenere dal Padre – dopo il loro esilio spirituale a seguito del Peccato originale commesso dai due progenitori - la loro riammissione nel Regno dei Cieli.
 
Nel contempo sono balenati in lui i lampi del Giusto e del Forte perché l’Amore divino non esclude la forza della Giustizia.
 
È stato questo infatti l’anno dell'aspro scontro finale con i capi politico-religiosi di Israele, scontro che raggiungerà il culmine fino alla assoluta decisione di ucciderlo dopo il miracolo davvero straordinario della resurrezione di Lazzaro.
 
Nonostante questo miracolo, anzi proprio a causa di questo miracolo che pur attestava senza ombra di dubbio la divinità di Gesù, i Capi di Israele respingeranno senza altro indugio la sua predicazione d’amore e negheranno con protervia, contro ogni ragionevole evidenza, la presenza in lui di una natura divina, compiendo così un grave peccato contro lo Spirito Santo, il Peccato per eccellenza.
 
 
Nel prossimo ciclo di riflessioni approfondiremo l’affermazione del Credo:


 
 
3. PATÌ SOTTO PONZIO PILATO, FU CROCIFISSO, MORÌ E FU SEPOLTO; DISCESE AGLI INFERI…
 

 
   
 
[1] Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’, in 10 volumi – ed. CEV, Isola del Liri (FR)
 
 
 
[2] Genesi 3, 14-15: “Allora il Signore disse al serpente: ‘Poiché tu hai fatto questo, sii maledetto fra tutti gli animali e tutte le bestie della campagna; striscerai sul tuo ventre e mangerai la polvere per tutti i giorni della tua vita! Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua discendenza e la sua; essa ti schiaccerà il capo e tu la insidierai al calcagno.
 
 
 
[3] Cfr. Maria Valtorta, ‘L’Evangelo…’, Vol. I, Cap. 1: Pensiero di Introduzione. Dio volle un seno senza Macchia’ – ed CEV.
 
 
 
[4] Lc 1
 
 
 
[5] M.V.: ‘L’Evangelo…’ – Vol. I, Cap. 16 – Centro Ed. Valtortiano
 
 
 
[6] Dn 9, 20-27
 
 
 
[7] Maria Valtorta, ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. I, Cap. 27, 28, 29 – (Poema I, 44, 45, 46, 47), ed. CEV.
 
 
 
[8] Maria Valtorta, ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. I, Cap. 29 – (Poema I, 47), ed. CEV.
 
 
 
[9] Gv 20, 19
 
 
 
[10] Gn 3, 16
 
 
 
[11] Maria Valtorta, L’Evangelo come mi è stato rivelato – Vol. I, Cap. 136 - (Poema II,103) - ed. CEV.
 
 
 
[12] Ibidem, Vol. IV, Cap. 233 – (Poema IV,94) – ed. CEV.
 
 
 
[13] Maria Valtorta, L’Evangelo come mi è stato rivelato – Vol. I, Cap. 136, (Poema II,103) – ed. CEV.
 
 
 
[14] N.d.A.: in merito alla importantissima questione sulle datazioni, storicità ei differenti stili dei quattro Vangeli canonici, vedere dell’autore “I Vangeli di Matteo, Marco, Luca e del ‘piccolo’ Giovanni”, Vol. I, Cap. 1: I Vangeli, mito o storia?’ – Ed. Segno 2001, oppure il suo Sito internet www.ilcatecumeno.net
 
 
 
[15] Mt 2,13-14
 
 
 
[16] Lc 2,39-40
 
 
 
[17] Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. I, Capp. 35 e 36 (Poema: I, 58 e 60) – ed. C.E.V.
 
 
 
[18] Idem – Vol. I, Capp. 37 e 38 (Poema: I, 62 e 63) – ed. CEV.  
 
 
 
[19] Lc 2, 41-52
 
 
 
[20] Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. I, Cap. 41 (Poema: I, 68) – ed. CEV.  
 
 
 
[21] Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. I, Cap. 41 (Poema: I, 68) – ed. CEV.
 
 
 
[22] Mt 14, 15-23 / Mc 6, 35-46 / Lc 9, 12-17  
 
 
 
[23] Mt 15, 29-19 / Mc 8, 1-10
 
 
 
[24] Gv 6, 2-15
 
 
 
[25] Gv 6, 22-71
 
 
 
[26] M.V.: ‘L’Evangelo…’ – Vol. V, Cap. 353 – C.E.V.
 
 
 
[27] Nota dell'autore: La odierna teologia eretica neo-modernista o 'progressista' - imbevuta di razionalismo o scientismo per cui non ritiene di accreditare, nei racconti evangelici, i miracoli e comunque tutto ciò che appare come contrario alle 'leggi' scientifiche conosciute - è in linea di massima anche evoluzionista. Essa crede infatti impossibile che Dio possa aver creato il primo uomo dal nulla. Queste teologi - che non mancano neanche fra le alte gerarchie della chiesa cattolica - così come non ritengono possibile la Creazione dal nulla di Adamo (il cui corpo tratto dal fango della terra - come dice Genesi - è costituito in effetti da sostanze minerali di cui la terra è composta), preferiscono vederlo discendere da una scimmia. A maggior ragione e per logica deduzione costoro non potranno neanche credere, anche se non osano dirlo esplicitamente, ad altri miracoli come quello della moltiplicazione dei pani, creati dal nulla, e tantomeno a quello della presenza reale di Gesù - in corpo, sangue, anima e divinità - nelle specie eucaristiche. Ecco l'apostasia, cioè l'abbandono della bimillenaria fede tramandataci dai Padri della Chiesa, di cui aveva parlato San Paolo come caratterizzante il regno sia pur fugace dell'Anticristo.
 
 
 
[28] Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. V – Cap. 353 – ed. CEV.
 
 
 
[29] Nota dell'autore: Il riferimento che il Gesù valtortiano fa ai 'sette' pani è una conferma che il discorso del Pane del Cielo è stato fatto dopo il secondo miracolo della moltiplicazione dei pani, e non dopo il primo, quando i pani citati dagli altri evangelisti erano solo cinque.
 
 
 
[30] Nota dell'autore: Questo miracolo dello Spirito Santo spiegherebbe però anche come Maria Valtorta, in visione, sentisse parlare il Gesù di duemila anni fa in lingua...italiana, da lei poi fedelmente trascritta nella sua Opera, mentre evidentemente Egli parlava in lingua ebraica, se non aramaica.
 
 
 
[31] Mt 19, 3-12
 
 
 
[32] Lc 13, 22-35
 
 
 
[33] Lc 11,37-54: Al termine del suo dire un Fariseo lo invitò a pranzo da lui.
 
Entrato in casa, Gesù si mise a tavola. Il Fariseo osservò con meraviglia, che egli non aveva fatto le abluzioni prima del pranzo.
 
Ma il Signore gli disse: «Dunque voi, Farisei, purificate l’esterno della coppa e del piatto, ma il vostro interno è pieno di rapina e di iniquità. Insensati! Colui che ha fatto l’esterno, non ha fatto anche l’interno? Piuttosto, date il contenuto in elemosina, ed ecco che tutto sarà puro per voi.
 
Ma guai a voi, Farisei, che pagate la decima della menta, della ruta e di tutti i legumi, mentre trascurate la giustizia e l’amore di Dio! Tutto questo bisognava praticare, senza però trascurare il resto.
 
Guai a voi, Farisei, perché amate i seggi d’onore nelle sinagoghe e d’essere salutati sulle pubbliche piazze!
 
Guai a voi, perché voi siete come i sepolcri che non si vedono, e sui quali si cammina senza saperlo!».
 
Allora un dottore della legge gli rivolse la parola protestando: «Maestro, parlando così offendi anche noi!». Ed egli rispose: « Guai anche a voi, dottori della legge! Perché imponete agli uomini dei pesi insopportabili, mentre voi non li toccate neppure con un dito.
 
Guai a voi che innalzate sepolcri ai profeti, mentre i vostri padri li hanno uccisi! Voi, così, siete testimoni e approvate le opere dei vostri padri: essi li uccisero e voi costruite i sepolcri. Per questo, appunto, la Sapienza di Dio ha detto: ‘Io manderò loro profeti e apostoli: uccideranno gli uni e perseguiteranno gli altri, affinché sia chiesto conto a questa generazione del sangue di tutti i profeti versato fin dalla creazione del mondo, dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccaria, ucciso fra l’altare e il Tempio!».
 
Sì, io ve lo dico, ne sarà chiesto conto a questa generazione!
 
Guai a voi dottori della legge! Perché avete preso la chiave della scienza, ma non siete entrati voi e lo avete impedito a quelli che volevano entrare!».
 
Quando fu uscito di lì, gli Scribi e i Farisei incominciarono ad essergli fieramente avversi e cercavano di farlo parlare su molte questioni, tendendogli insidie, per sorprendere qualche parola della sua bocca.
 
 
 
[34] Maria Valtorta, Op. cit. vol. VI, Cap. 414 – ed. CEV.
 
 
 
[35] Maria Valtorta, Op. cit. vol. VII, Cap. 464 – ed. CEV.  
 
 
 
[36] Gv 7, 9-24: Ciò detto, si trattenne in Galilea. Ma quando i suoi fratelli furono saliti alla festa, anch'egli vi andò, non pubblicamente, ma quasi di nascosto.  
 
I Giudei, intanto, lo cercavano alla festa e dicevano: « Lui dov'è? ».
 
E si faceva un gran sussurro su di lui tra la gente.  Alcuni dicevano: « È buono »; altri: «No, inganna il popolo ». Ma nessuno parlava pubblicamente di lui per timore dei Giudei.
 
A metà della festa Gesù salì al Tempio e insegnava.  
 
I Giudei, meravigliati, dicevano: « Come mai costui conosce sì bene le Scritture senza aver mai studiato? ».
 
Gesù rispose: « La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato. Chiunque vuol fare la volontà di lui, conoscerà se questa dottrina viene da Dio, o se parlo da me stesso. Chi parla di sua autorità, cerca la propria gloria; ma chi cerca la gloria di colui che l’ha mandato è verace, e non c’è in lui ingiustizia. Non fu Mosè a darvi la legge? Eppure nessuno di voi la osserva. Perché cercate di farmi morire? ».
 
Rispose la gente: « Tu sei indemoniato! Chi cerca di farti morire? ».
 
Gesù replicò loro: « Un’opera sola ho fatto e tutti siete meravigliati. Per il fatto che Mosè vi diede la circoncisione, non che essa venga da Mosè, ma dai Patriarchi, voi circoncidete un uomo anche di sabato. Or, se uno viene circonciso anche di sabato, affinché la legge di Mosè non sia violata, voi vi sdegnate contro di me perché di sabato ho guarito completamente un uomo?
 
Non giudicate secondo l’apparenza, ma giudicate con retto giudizio ».
 
 
 
[37] Lc 17, 20-21: Interrogato poi dai Farisei, quando fosse per venire il Regno di Dio, rispose loro: «Il Regno di Dio non viene con apparato. Né si potrà dire: ‘Eccolo qui, eccolo là’. Perché il Regno di Dio, ecco, è dentro di voi».
 
Nota dell'autore: ancora oggi le interpretazioni rabbiniche del Talmud ed il Sionismo mondialista concepiscono il Regno di Dio in un'ottica materiale, come potere politico e di governo della Nazione Ebraica che - dopo la distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C., con la distruzione del Tempio e la fine del Sacerdozio - interpreta il 'Messianismo' come un ruolo non più di una persona ma della Nazione di Israele rispetto al resto dei popoli 'pagani'.
 
 
 
[38] Gv 7, 25-36: Dicevano allora alcuni abitanti di Gerusalemme: « Non è lui che cercano per farlo morire? Ecco, parla liberamente e non gli dicono nulla. I Capi hanno forse riconosciuto davvero che egli è il Cristo? Ma costui noi sappiamo di dov’è, invece il Cristo, quando verrà, nessuno saprà di dove sia ».
 
Allora Gesù, che insegnava nel Tempio, disse ad alta voce: « Voi mi conoscete e sapete di dove sono: eppure non sono venuto da me; ma c’è veramente uno che mi ha mandato, che voi non conoscete. Io lo conosco, perché vengo da lui ed è lui che mi ha mandato.
 
Cercarono perciò di prenderlo, ma nessuno gli mise le mani addosso, perché non era ancora venuta la sua ora.
 
 
 
[39] M.V.: ’L’Evangelo come mi è stato rivelato’ – Vol. VII, Cap. 487 – C.E.V.
 
 
 
[40] M.V. “L’Evangelo…” – Vol. VII, Cap. 487 – C.E.V.
 
 
 
[41] Gv 7, 37-53: Nell’ultimo giorno, il più solenne della festa, Gesù, in piedi, esclamò ad alta voce: « Chi ha sete, venga a me e beva. Dall’intimo di chi crede in me, come dice la Scrittura, scaturiranno fiumi d’acqua viva ».
 
Diceva questo dello Spirito che dovevano ricevere coloro che avrebbero creduto in lui; perché non era ancora stato dato lo Spirito, non essendo ancora glorificato Gesù.
 
Or, alcuni della folla, udite queste parole, cominciarono a dire: « Egli è davvero il Profeta! ». Altri: «Egli è il Cristo! ».
 
Ma altri dicevano: « Viene forse dalla Galilea il Cristo? Non dice forse la Scrittura che il Cristo ha da venire dalla stirpe di Davide e dal villaggio di Betleem, di dove era Davide? ».
 
E a causa sua vi era dissenso fra la folla.
 
Alcuni di essi volevano prenderlo, ma nessuno gli mise le mani addosso. Le guardie, dunque, tornarono dai gran sacerdoti e dai Farisei, i quali domandarono loro: « Perché non l’avete condotto? ».
 
Le guardie risposero: « Nessun uomo ha mai parlato come lui ».
 
I Farisei replicarono: «Anche voi siete stati sedotti? C’è forse uno solo dei Capi o dei Farisei che abbia creduto in lui? Ma questa folla che non capisce la legge, son dei maledetti ».
 
Allora Nicodemo, quello che era andato di notte da Gesù e che era uno di loro, disse: « La nostra legge condanna forse un uomo prima di averlo sentito e di sapere ciò che fa? ».
 
Gli risposero: « Vieni anche tu dalla Galilea? Studia e vedrai che dalla Galilea non sorge profeta ».
 
Poi ciascuno se ne tornò a casa sua.
 
 
 
[42] Gv 1, 43-46
 
 
 
[43] M.V.: ‘L’Evangelo…’ – Vol. VII, Cap. 491 – C.E.V.  
 
 
 
[44] Secondo libro dei Maccabei (Cap. 7)
 
 
 
[45] Lc 20, 27-38
 
 
 
[46] Gv 8, 12-20: Di nuovo Gesù parlò loro dicendo: « Io sono la Luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della Vita ».
 
Gli dissero i Farisei: « Tu rendi testimonianza a te stesso: la tua testimonianza non vale ».
 
Gesù replicò loro: « Sebbene io renda testimonianza a me stesso, vale sempre la mia testimonianza, perché so donde sono venuto e dove vado. Voi giudicate secondo la carne; io non giudico nessuno. Ma, se giudico io, il mio giudizio vale, perché non sono solo, ma ho con me il Padre che mi ha inviato. E proprio nella vostra legge sta scritto che è valida la testimonianza di due persone. Io rendo testimonianza a me stesso, e mi rende pure testimonianza colui che mi ha mandato, il Padre ».
 
Gli domandarono: « Dov’è tuo padre? ».
 
Rispose Gesù: « Non conoscete né me né mio Padre; se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio ».
 
Gesù disse queste cose nel gazofilacio, insegnando nel Tempio; e nessuno lo prese, perché non era ancora venuta la sua ora.
 
 
 
[47] M.V.: ‘L’Evangelo…’ – Vol. VIII, Cap. 506 – ed. CEV.
 
 
 
[48] Gv 8, 21-59: Di nuovo Gesù disse: «Io me ne vado e voi mi cercherete, ma morrete nel vostro peccato. Dove vado io voi non potete venire ».
 
Dicevano perciò i Giudei: « Che si voglia uccidere, perché dice: ‘Dove vado io voi non potete venire’? ».
 
Egli replicò: «Voi siete di quaggiù, io sono di lassù. Voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. Per questo vi ho detto che morrete nei vostri peccati; perché, se non credete che io sono, morrete nei vostri peccati».
 
Gli dissero allora: « Chi sei tu? ».
 
Gesù rispose loro: « Precisamente ciò che vi dichiaro. Molto ho da dire e da condannare in voi, ma colui che mi ha mandato è verace, ed io annunzio nel mondo ciò che ho udito da lui ».
 
Essi non intesero che parlava loro del Padre.
 
Disse dunque Gesù: « Quando avrete innalzato il Figlio dell’Uomo, allora conoscerete che io sono e che niente faccio da Me, ma parlo come mi ha insegnato il Padre. E chi mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre quello che a lui piace ».
 
Mentre così parlava molti credettero in lui.
 
E Gesù disse ai Giudei che avevano creduto in lui: « Se persevererete nei miei insegnamenti, sarete veramente miei discepoli, conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi ».
 
Gli opposero: « Noi siamo progenie di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno: come puoi dire che saremo liberi? ».
 
Rispose loro Gesù: « In verità, in verità vi dico: chiunque fa il peccato è schiavo del peccato. Or, lo schiavo, non sta sempre in casa; il figlio invece vi sta sempre. Se dunque il Figlio vi libera, sarete veramente liberi. Lo so che siete progenie di Abramo; ma intanto cercate di farmi morire, perché la mia parola non penetra in voi. Io dico quello che ho visto presso il Padre mio, e voi pure fate quello che avete imparato dal padre vostro ».
 
Gli replicarono: « Il padre nostro è Abramo ».
 
Rispose loro Gesù: «Se siete figli di Abramo, fate le opere di Abramo. Ma intanto cercate di far morire me, uomo che v’ho detto la verità, quale l’ho udita presso Dio;
 
Abramo non fece così. Voi fate le opere del padre vostro ».
 
Gli risposero: « Non siamo mica dei bastardi; abbiamo Dio  per unico padre ».
 
« Se Dio fosse vostro Padre, disse allora Gesù, certamente mi amereste, perché io procedo e vengo da Dio; e non sono venuto da me stesso, ma egli mi ha mandato. Perché non capite il mio linguaggio? Perché non potete ascoltare la mia parola. Voi avete per padre il diavolo e volete soddisfare i desideri del padre vostro; egli fu omicida fin dal principio e non perseverò nella verità, perché il lui non c’era verità; quando mentisce parla di quel che gli è proprio, perché è bugiardo e padre della menzogna. A me, invece, perché vi dico la verità, non credete. Chi di voi mi può convincere di peccato? Se vi dico la verità, perché non mi credete? Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non le ascoltate, perché non siete da Dio ».
 
Gli replicarono i Giudei: «Non diciamo, con ragione, che tu sei un Samaritano e un indemoniato?».
 
Gesù rispose: « Io non sono indemoniato, ma onoro il Padre mio e voi mi disprezzate. Io non cerco la mia gloria: c’è chi la cerca e giudica. In verità, in verità vi dico: chi custodisce la mia parola, non vedrà la morte in eterno ».
 
Gli dissero i Giudei: « or vediamo bene che sei indemoniato. Abramo è morto, e così pure i Profeti, e tu dici: ‘Chi custodisce la mia parola, non gusterà la morte in eterno’! sei forse più grande di nostro padre Abramo, che è morto? Anche i Profeti son morti. Chi ti credi?».
 
Gesù rispose: Se io glorifico me stesso, la mia gloria è nulla: chi mi glorifica è mio Padre, di cui voi dite: ‘E’ nostro Dio’; ma non lo conoscete. Io sì, lo conosco, e se dicessi di non conoscerlo sarei, come voi, bugiardo. Ma lo conosco e osservo le sue parole. Abramo, padre vostro, esultò di gioia al pensiero di vedere il mio giorno: lo vide e ne tripudiò ».
 
Gli opposero i Giudei: « Non hai ancora cinquant’anni e hai veduto Abramo? ».
 
Gesù rispose loro: « In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, Io sono ».
 
Dettero allora di piglio alle pietre per tirargliele; ma Gesù si nascose e uscì dal Tempio.
 
 
 
[49] Gv 9, 1-34
 
 
 
[50] Maria Valtorta, Op. cit. Vol. VIII, Cap. 518 – ed. CEV.
 
 
 
[51] Nota dell'autore: Può a prima vista stupire che Gesù-Dio, per fare miracolo, avesse bisogno di quella che potrebbe sembrare una messinscena istrionica. Ricordo però che Gesù, in qualche punto della monumentale Opera valtortiana, aveva una volta dato questa spiegazione: l'umanità degli uomini e degli stessi ebrei della sua epoca era tale che un miracolo, per essere veramente considerato tale dal popolo, aveva bisogno di questa 'esteriorità'' che appagava in qualche modo la loro psicologia, il loro senso e bisogno di 'mistero'. Così pure nelle formule sacre di unzione, dove in realtà non è l'olio sacro che agisce ma Dio che utilizza l'olio come 'tramite'.
 
 
 
[52] Gv 9, 35-41 e 10, 1-21:
 
Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori e, incontratolo, gli disse: «Credi tu nel Figlio dell’Uomo?».
 
Quello rispose: «E chi è, Signore, affinché creda in lui?».
 
Gli disse Gesù: «Tu lo vedi: è colui che parla con te».
 
Allora egli esclamò: «Signore, io credo». E lo adorò.
 
Gesù disse: «Sono venuto in questo mondo perché si operi una discriminazione: affinché quelli che non vedono, vedano; e quelli che vedono, diventino ciechi».
 
Lo udirono alcuni Farisei che erano con lui e gli domandarono: «Siamo forse ciechi anche noi?».
 
Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste colpa; invece voi dite: ‘Noi vediamo’. Il vostro peccato rimane».
 
«In verità, in verità vi dico: chi non entra nell’ovile per la porta, ma vi sale dall’altra parte, è ladro e assassino. Chi invece entra per la porta è pastore delle pecore. A lui apre il portinaio, le pecore ascoltano la sua voce ed egli chiama per nome le proprie pecore e le conduce fuori. E, quando ha fatto uscire tutte le sue, cammina innanzi a loro: le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. Non seguono invece un estraneo, ma fuggono da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».
 
Questa parabola narrò ad essi Gesù, ma quelli non capirono ciò che volesse dir loro.
 
Perciò Gesù riprese: «In verità, in verità vi dico: Io sono la porta delle pecore. Tutti quelli che sono venuti prima di me, sono ladri e assassini; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta. Chi per me passerà, sarà salvo; entrerà, uscirà e troverà pascoli. Il ladro non viene che per rubare, ammazzare e distruggere. Io sono venuto affinché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.
 
Io sono il buon Pastore. Il buon Pastore dà la propria vita per le sue pecore. Il mercenario, invece, è chi non è pastore, a cui non appartengono le pecore, quando vede venire il lupo abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde. Perché è mercenario e non gli importa delle pecore.
 
Io sono il buon Pastore e conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre: e per le mie pecore do la mia vita.
 
Ho pure altre pecore che non sono di questo ovile: anche quelle devo condurre, e ascolteranno la mia voce e si avrà un solo gregge e un solo pastore.
 
Per questo mi ama il Padre, perché io sacrifico la vita per nuovamente riprenderla. Nessuno me la toglie, ma la do io da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
 
Nacque di nuovo dissenso fra i Giudei per queste parole.
 
Molti dicevano: «E’ indemoniato e vaneggia; perché ascoltarlo?».
 
Altri rispondevano: «Questi non sono discorsi da indemoniato: può forse un demonio aprire gli occhi ai ciechi?».
 
 
 
[53] Lc 18, 9-14
 
 
 
[54] M.V.: ‘L’Evangelo…’ – Vol. VIII, Cap. 527 – C.E.V.
 
 
 
[55] Gv 10, 22-40: Si celebrava allora in Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno e Gesù passeggiava nel Tempio, sotto il portico di Salomone.
 
I Giudei lo circondarono e gli dissero: «Fino a quando ci terrai con l’animo sospeso? Se sei tu il Cristo, diccelo apertamente».
 
Rispose loro Gesù: «Ve l’ho detto, ma non credete; le opere che faccio in nome del Padre mio, queste mi rendono testimonianza, tuttavia voi non credete, perché non siete delle pecore mie.
 
Le mie pecore ascoltano la mia voce: io le conosco ed esse mi seguono.
 
Io do loro la vita eterna ed esse non periranno mai, e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti, e nessuno può rapirle di mano al Padre mio. Io e il Padre siamo uno».
 
Di nuovo i Giudei diedero di piglio alle pietre per lapidarlo.
 
Ma Gesù disse loro: «Molte opere buone vi mostrai, per virtù del Padre mio: per quale di queste opere mi lapidate?».
 
Gli risposero i Giudei: «Non ti lapidiamo per nessuna opera buona, ma per una bestemmia, perché tu, che sei uomo, ti fai Dio».
 
Replicò loro Gesù: «Non è scritto nella vostra legge: ‘Io dissi: Voi siete dèi’? Se chiama dèi quelli ai quali fu rivolta la parola di Dio – e la Scrittura non può essere annullata – a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo, voi dite che bestemmia, perché ho detto: ‘Sono Figlio di Dio’? Se non faccio le opere del Padre mio, non credetemi: ma se le faccio, anche se non volete credere a me, credete alle opere, affinché sappiate e conosciate che il Padre è in me ed io nel Padre».
 
Tentarono perciò nuovamente di prenderlo, ma egli sfuggì loro di mano.
 
Se ne andò di nuovo oltre il Giordano, nel luogo dove Giovanni aveva battezzato, e ci si fermò.
 
Or, molti andavano da lui e dicevano: «Giovanni, certo, non fece alcun miracolo, ma tutto quello che disse di costui è vero». E lì molti credettero in lui.
 
 
 
[56] Gv 10, 40-42
 
 
 
[57] M.V.: ‘L’Evangelo…’ – Vol. VIII, Cap. 540.12 – C.E.V. (Dettato del 16.12.1946)
 
 



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